Quarta puntata della rubrica semiseria  ̶d̶i̶ ̶c̶r̶i̶t̶i̶c̶a̶ ̶c̶i̶n̶e̶m̶a̶t̶o̶g̶r̶a̶f̶i̶c̶a̶

a cura di Tiziana Cazzato

 

È scoccata mezzanotte e mi piacerebbe raccontarvi che sono scappata da un ballo in un magnifico palazzo, prima della fine di un incantesimo. Mi piacerebbe dirvi che ho piantato nel mezzo della sala un bellissimo principe, fra le braccia del quale vorrei ritornare.

Voi sapete bene, però, che non può essere così e che se fossi in giro a quest’ora, non dovrei preoccuparmi di una scarpetta di cristallo persa (semmai fossi così masochista da indossarle!), ma di trovare un valido motivo per un’autocertificazione, che porto sempre in borsa, completa solo dei dati anagrafici.

Sta suonando ora la mezzanotte e io, nel passare dalla cucina alla camera da letto, non corro il rischio di perdere nemmeno le pantofole: in casa cammino sempre scalza e poi so sempre dove le lascio, anche perché dovessi perderle, mi toccherebbe cercarle da me. La casa – come del resto la mia vita – non è accessoriata di un cavaliere pronto a sospirare sulle mie ciabatte e a riportarmele solo con la scusa di rivedermi.

La mezzanotte arrivando, mi ha trovata, sì, come una Cenerentola, davanti al lavello, a risciacquare i piatti e riordinare la cucina, e non si deve sentire nemmeno in colpa, perché il suo puntuale sopraggiungere non mette fine ad alcuna magia: si limita a ricordarmi che la giornata è finita e che potrei cominciare a pensare di andarmene a dormire. La sveglia domattina suonerà inesorabile alle sei.

Faccio una rapida e calda doccia, avvolgo la casa nell’abbraccio del buio e mi infilo sotto le coperte, sperando di essere vinta da un sonno, che la notte si scorda spesso di portarmi in dono. Se mi mettessi a contare le pecore, rischierei di far diventare il mondo un immenso ovile o di trovare davvero l’ultimissimo numero che nessuno ha mai contato. Non ho nemmeno voglia di leggere stasera: potrei trovarmi all’ultima di queste duecento pagine o poco meno che mi trascino dietro non so più ormai da quanti giorni senza alcuna emozione, alcun coinvolgimento.

Provo a capire cosa mi piacerebbe fare, come se stessi programmando il palinsesto di una giornata che sta per cominciare e non una su cui è calato da un po’ il bel sipario.

Senza accendere la luce esco dal letto e vado con passo sicuro verso la scrivania. Prendo il computer (mi starà  odiando: forse sperava finalmente di poter risposare) e ritorno al calduccio della trapuntina. Guarderò un film. Questa sera voglio affidarmi al caso, sperando solo di beccarne uno che mi faccia addormentare o che mi faccia commuovere, piangere a dirotto. Anche quello è un modo per rilassarmi dai pensieri.

Neanche nella scelta casuale di un film mi sento fortunata e la buona sorte, ancora una volta, gioca nella squadra opposta.

Permettetemi prima una digressione: vi prometto che proverò a non annoiarvi e da voi invece la promessa di ascoltarmi fino all’ultima parola.

Una delle cose che più mi piace guardare in televisione sono le rubriche di trailer cinematografici e non c’è film che non mi verrebbe voglia di vedere. Anche per una sola scena, o per una battuta, o perché nel cast c’è un attore o un’attrice che mi piace molto. E perché no?!, soprattutto per la trama che sembra avvincente, coinvolgente, emozionante. E perché sì!, quel film è proprio quello che ci vuole in quel determinato momento della vita. Mi farà ridere di cuore o versare lacrime sulle drammatiche vicende del o della protagonista del film, ma anche e soprattutto della mia vita.

Ma come quasi tutti i messaggi promozionali, anche i trailer sono ingannevoli e quante volte scopro che quella bella scena è l’unica oasi in un deserto di celluloide in cui la storia non ha alcun senso o la trama è così scontata, da farmi credere di esser diventata una sceneggiatrice. Ci sono poi quei film che sorprendono e che mettono lo spettatore di fronte a un colpo di scena che mai si sarebbe aspettato. Sono quei film di trama, perché la loro forza è tutta lì, in quella storia che prende, cattura e che, alla fine, anche se non c’è null’altro di valore o artistico, consolano e al comparire della parola fine, almeno si può dire Mah! Tutto sommato…ci si può accontentare, anche se il tempo poteva essere investito meglio.

Poi ci sono quei film con cast stellare e vien subito da esclamare Caspita!  E subito a guardarlo, per poi scoprire che la produzione ha puntato e investito solo sui nomi degli attori, perché, scomodando persino Shakespeare (stanotte svegliamo pure i morti!), alla fine è solo molto rumore per nulla. O bastava rivolgersi al nostro Califfo (si desti pure il cantautore) e dire semplicemente tutto il resto è noia?!

terapia-di-coppia-per-amanti-locandinaE allora il film per cui non mi sono tuffata, sentitami anche da lui respinta, nelle braccia di Morfeo? Non è accompagnato da una scelta ponderata- come si può essere ponderati quando la lancetta continua la sua profonda corsa notturna! Facendo scorrere la freccetta sulle anteprime dei film proposti da Netflix mi sono fermata sul volto di un’attrice e mi sono chiesta se quella fosse davvero Ambra Angiolini! Nella ricerca di conferma – è andata davvero così- i miei occhi hanno iniziato a seguire i fotogrammi del film diretto da Alessio Maria Federici, Terapia di coppia per amanti. Viviana e Modesto sono amanti ed entrambi sposati. Hanno entrambi un solo figlio adolescente. Viviana e Modesto sono amanti, ma il loro rapporto è così complicato che lei ritiene necessario di dover intraprendere una terapia di coppia. Per salvare i loro rispettivi matrimoni? Macché, hanno paura (soprattutto lei) che la fedifraga relazione giunga al capolinea. E per scongiurarlo si rivolgono a un terapista, il cui status quo è quello di perenne traditore (almeno è quello che ho intuito!)

Le premesse ci sarebbero tutte e anche qualche scena o battuta strappa il sorriso allo spettatore, ma poi… I due protagonisti vivono la loro condizione di amanti, senza che i loro rispettivi coniugi ci facciano particolarmente caso. Una telefonata nel cuore della notte, sveglia l’intera famiglia di Modesto. Suo figlio si alza e silenzia l’Iphone del padre che è l’unico a continuare a dormire. E quando la moglie chiede spiegazioni, ecco pronta la storiella ad hoc: il telefono che ha suonato nel cuore della notte è quello del figlio adolescente che, qualche giorno dopo, riceve dal padre la carta di credito e il beneplacito per acquistare un Iphone prima che la madre faccia due più due e si ricordi che il figlio ha un altro modello di smartphone.

Viviana, dal canto suo, arriva puntualmente in ritardo quando deve prendere suo figlio dalla piscina e tutto si riduce a poche battute di un marito che si vede costretto a lasciare il suo lavoro di giornalista (se ho capito bene!) per supplire una madre che chissà per quale motivo (a lui non interessa scoprirlo!) dimentica sempre quell’appuntamento. Se almeno lavorasse!

Per la durata di tutta la pellicola poche domande danzano nella mia testa, tenendomi sveglia come non avrei voluto. Ma perché tutta questa assurda messinscena? Viviana e Modesto potrebbero separarsi dai rispettivi coniugi, perché tanto i loro appaiono come matrimoni inesistenti. Potrebbero- se è ciò che desiderano- vivere la loro storia senza questi finti sotterfugi che sono ignoti a tutti gli altri personaggi della storia.

Ma Modesto è un chitarrista? E poi perché? Per accordare la chitarra di un terapista, messo in crisi come uomo e come professionista da questa coppia d’amanti colpita da un’insofferenza che a volte si respira in matrimoni logori?! Perché sì, come vi ho già detto, il dottor Malavolta ha anch’egli una relazione extraconiugale e soffre perché la giovane amante lo tiene sotto scacco. Ed egli stesso accetta consigli dai suoi due pazienti, fino a capire che forse non può esercitare la professione, né apparire in televisione come esperto di questioni amorose. E vorrei potervi dire altro, ma mi sembra di aver già spoilerato a sufficienza! Vi confido solo, prima di lasciarvi, che ho perso 97 minuti di una breve notte per vedere un film che non mi ha catturata per la storia, né per il cast stellare (con immenso rispetto e grande stima per Sergio Rubini), ma solo per scoprire se l’attrice nel fotogramma era Ambra Angiolini oppure no.

Vi lascio la curiosità di cercare da soli la risposta, anche se non vincerete nulla. Un altro indizio? Il protagonista maschile è Pietro Sermonti. Per il prossimo film mi sono affidata, ancora una volta, ai preziosi consigli di chi di cinema davvero se ne intende e che mi ha fatto scoprire delle pellicole straordinarie di cui vi parlerò nelle prossime puntate.

Vi risparmierò invece la mia semiseria recensione sull’ultimo film di Gabriele Muccino (son troppo buona!) che ho visto in una serata della scorsa estate nell’atrio di Palazzo Risolo, nel mio paese, a Specchia.  Ho letto pochi minuti fa dell’amara delusione del regista: per un errore della sua casa di produzione, Gli anni più belli non è candidato fra i film che potrebbero rappresentare l’Italia alla prossima notte degli Oscar. Scusate, ma mi vien da pensare che non tutti gli errori vengono per nuocere e il film di Muccino ( che può vantarsi  ed essere orgoglioso del suo “La ricerca della felicità”) non è proprio quello che vorrei rappresentasse il nostro Paese agli Oscar, anche perché…

Ma ora BASTA!, spengo luce e schermo del computer. Devo seriamente pensare a dormire e mentre mi rigiro nel letto mi dico: “Nei prossimi giorni, Tiziana, Colazione da Tiffany. Una volta l’anno, com’è consigliato da un old dream maker.

 

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