La rubrica semiseria ̶d̶i̶ ̶c̶r̶i̶t̶i̶c̶a̶ ̶c̶i̶n̶e̶m̶a̶t̶o̶g̶r̶a̶f̶i̶c̶a̶
a cura di Tiziana Cazzato
È finalmente domenica o forse dovrei dire, OPS! oggi è domenica, non sabato e io sono maledettamente in ritardo, ma spero mi perdonerete. È stata clemente la mia super direttrice, Silvia Guberti, potete esserlo anche voi. Ho avuto giornate davvero intense, un continuo correre (metaforico sia chiaro!) fra lavoro, lavoro e… lavoro. E qualcuno starà già pensando che suonata la campanella dell’ultima ora, un insegnante torna a casa e…
… E ci sono le lezioni da preparare, i documenti da compilare, le mail a cui rispondere, le riunioni (mica sono poche, eh!) e anche le verifiche da correggere. E devi prenderti pure il tempo per piangere, quando leggi che buio è un monosillabo ed è, quindi, indivisibile. Poi penso che a fare quell’errore ingenuo è lo stesso alunno (di undici anni) che, sulla parola fine del film “Stand by me – ricordo di un’estate” ha detto: “È una narrazione in prima persona. Il narratore fa un lungo flashback per riportarci ai suoi dodici anni e ci racconta cosa accadde nel 1959 – epoca in cui si svolgono i fatti che durano tre giorni – (questo prof è il tempo della storia diviso in epoca e durata) nella piccola città di Castle Rock, il luogo che rappresentava allora tutto il suo mondo”. Io l’ho ascoltato trattenendo il respiro, senza immaginare che poi avrebbe aggiunto: “Abbiamo capito, prof, perché ci fa guardare i film. Perché tutto fa parte del programma sulla narrazione e lei ci fa andare oltre i testi e sappiamo pure che ci darà dei compiti su tutti i film che vedremo”. E agli occhi lucidi si aggiunge un dolce (?) sorriso che regalo a tutti, mentre assegno i compiti di epica (che loro adorano!) e un nuovo mito da analizzare. Poi apro il libro “Storie della storia del mondo” di Laura Orvieto e leggo loro il capitolo in cui Paride arriva a Sparta e, dopo essere stato accolto con tutti gli onori da re Menelao, porta via con sé Elena, scatenando l’ira di tutte le mie alunne che esprimono con veemenza la disapprovazione nei confronti del comportamento del principe di Troia e della regina di Sparta, la quale abbandona marito e figlia: “Per andarsene poi con un altro che vorrei proprio vedere se è davvero così bello!” Vorrebbero quindi una foto di Paride e io posso solo far vedere l’attore che lo ha interpretato in “Troy” e loro guardando il volto sulla LIM di Orlando Bloom concludono: “Comunque Elena ha sbagliato! E pure Paride è stato un traditore!”.
Fermo la lettura e resto ad ascoltarli, mentre si scambiano le diverse considerazioni. Mi limito a moderare, a fare in modo che le loro voci non si accavallino e che imparino ad ascoltarsi e a rispettare le opinioni altrui.
Così come anch’io ho rispettato la scelta di Bridget Jones, quando nel suo diario ha scritto di preferire Mark Darcy a Daniel Cleaver, decisamente più divertente e affascinante (almeno per me!). Ed è proprio la colonna sonora del film interpretato da Renée Zellweger a fare da sottofondo a questa pagina dedicata al film che mi ha fatto compagnia proprio nella notte appena trascorsa, quando, novità delle novità, non riuscivo a prendere sonno.
Il talento del calabrone è disponibile su Amazon Prime Video dallo scorso 18 novembre ed è un film che vede protagonisti Sergio Castellitto, Anna Foglietta e Lorenzo Richelmy, per la regia di Giacomo Cimini. È un thriller telefonico, oserei dire, perché tutta la vicenda viene ricostruita in una telefonata che il professor Carlo De Mattei fa al Dj Steph in diretta notturna su Radio 105: “Big night Milano, big night Italia!”.
Carlo, interpretato da Sergio Castellitto, telefona in diretta non certo per indovinare la città in cui il dj ha trascorso la sua prima vacanza da solo e vincere, così, i biglietti di un concerto, ma perché, chiuso nella sua auto, mentre attraversa le belle luci notturne del capoluogo lombardo, vuole essere ascoltato prima di porre fine alla sua vita. Sì, perché il professore sta pensando di suicidarsi, ma prima vuole siano soddisfatte alcune sue richieste, altrimenti potrebbe fare una strage: ha un ordigno esplosivo in macchina! Un lungo confronto fra un uomo raffinato ed elegante e il giovane dj di successo, intervallato dalla messa in onda dei brani musicali richiesti dall’uomo vestito in smoking, mentre gira sulla sua auto fra le strade di Milano.
E sono belle, sì, le luci della città, ma se tutti i milanesi decidessero di spegnerle contemporaneamente e avvolgessero Milano nel buio, si potrebbe godere anche della bellezza delle stelle più piccole e lontane, così come sognava da bambino il figlio di Carlo, Giulio, morto suicida la sera in cui avrebbe dovuto tenere il suo primo concerto in teatro.
Sono particolari rivelati in una lunga confessione che porta gli ascoltatori, primo fra tutti Steph, ad andare oltre le minacce di un’esplosione che mette in allerta i Carabinieri e il loro tenente colonello Sara Amedei, che arriva nella sede radiofonica per impedire il disastro e anticipare le mosse dell’attentatore in un abito da sera rosso. E se comprendo benissimo il fatto che lei abbia chiesto che le fossero portati gli anfibi, per liberarsi delle scarpe coi tacchi, non capisco il perché lei indossi la fondina su quell’elegante abito, senza aver richiesto anche un comodo paio di pantaloni o una tuta. (Più che altro per non sciupare il vestito!)
Un film che parte con delle buone premesse, ma che si perdono nel buio metropolitano, nel traffico tecnologico e nel mondo informatico di telefoni, chat, social network e computer, fino a sfociare in un lungo finale in cui ogni parola, ogni gesto acquisisce un significato diverso e accende una luce sul concetto di verità, non sempre riconoscibile e distinguibile dal non vero, sulla storia, in alcuni momenti prevedibile e non molto originale, e sulla pellicola che si può anche guardare.
Sono passate da poco le due, quando arriva l’ultimo titolo di coda, ma prima di spegnere il computer approfondisco una curiosità, accesasi durante la visione.
Il calabrone, come spiega il professore nel film, non potrebbe volare, perché le sue ali sono troppo piccole rispetto al suo corpo: la struttura alare del calabrone, in relazione al suo peso, non è adatta al volo, ma lui non lo sa e vola lo stesso. Si tratta di una leggenda, nata negli anni Trenta del Novecento e avviata da un professore svizzero che durante una cena propose tale enigma: le ali dei calabroni hanno proprietà aerodinamiche che non permetterebbero loro di volare. E allora perché volano?
Il calabrone non viola alcuna legge fisica e potrei condividere la conclusione a cui sono arrivati gli scienziati nel 2005, studiando il movimento delle ali dell’insetto, ma preferisco, in questa sede, la spiegazione “romantica”: il calabrone vola, perché non sa di non poter volare. Analogia perfetta per aprire uno spiraglio nella nostra esistenza e credere che forse, davvero, nella vita, nulla è impossibile.
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