Visti e Svisti – la rubrica semiseria di critica cinematografica

a cura di Tiziana Cazzato

 

Come Rock Hudson, in un vecchio film del 1961 diretto da  Robert Mulligan, Visti e Svisti – la rubrica semiseria di critica cinematografica “Torna a settembre”.

Torna in una domenica di pioggia, quando ancora mi trovo nel mio paese di origine, Specchia, bagnato da una pioggia lenta ma fitta. Ho davanti la grande finestra che illumina la mia vecchia stanza e alle spalle la valigia aperta, quella di un lungo viaggio e pile di libri in attesa di essere impacchettati per raggiungermi poi in quel di Milano, dove dovrei – spero quanto prima – offrire i miei servigi di insegnante.

Torna dopo una giusta stagione di riposo, concessa più a voi, amici cinefili e non solo, che a me, arrivata a Specchia non solo per tuffarmi nelle azzurre acque dalle alte coste frastagliate dell’Adriatico o per farmi accarezzare i piedi dal mare che giunge piano sulla battigia della costa bassa e sabbiosa dello Ionio. Mentirei se dicessi di non essere stata al mare e se non ci fossi andata, anche se la mia abbronzatura testimonia il contrario, avrei commesso un reato contro me stessa e contro quella parte di umanità che non può concedersi nemmeno un giorno di vacanza al mare.

Il mio luglio, così come il mio agosto sono stati anche segnati dagli eventi che, insieme all’associazione LibrArti – di cui sono onorata di essere il presidente – e alcune persone di buona volontà (che non finirò mai di ringraziare), ho curato e realizzato, trasformando dei piccoli sogni in grandi realtà (ogni riferimento a immobiliari e persone è puramente casuale). Non vi annoierò raccontandovi quello che, se proprio vi vien la voglia, potete scoprire facendovi una passeggiata (letteraria) su Facebook  e/o Instagram, anche perché se siete capitati qui – di proposito o per caso – è per scoprire il film che io ho visto, che forse avete già visto pure voi, e di cui vi instillerò il piacere di andare a riguardare o guardare.

Avete già intuito che la pellicola, scelta (non di mia spontanea volontà, ma per aver seguito il consiglio di chi continua – e spero non si stancherà di farlo – a suggerirmi film belli) a inaugurare la seconda stagione di questa necessaria rubrica di cinema che vi riserverà una grande sorpresa, mi è piaciuta. E non poco.

Pericle_il_nero_locandinaPericle Il nero, il terzo lungometraggio di Stefano Mordini (già protagonista nella rubrica con Lasciami andare e dal prossimo 7 ottobre in sala con La scuola cattolica, tratto dal romanzo Premio Strega di Edoardo Albinati), è tratto dall’omonimo romanzo (trasferendo l’ambientazione da Napoli a Bruxelles) di Giuseppe Ferrandino, edito da Adelphi, racconta la vita di Pericle Scalzone, che di mestiere fa letteralmente il culo alla gente. Un noir nero, nerissimo alla cui visione, dalle primissime scene, ho pensato di non riuscire a reggere, ma ho resistito e sono rimasta imbrigliata in una storia sì di camorra, ma anche e forse soprattutto in un racconto di dolorosa formazione, forse più correttamente di emancipazione.

Pericle è un criminale, è uomo di fiducia del boss don Luigi Pizza (chiamato così per il gran numero di pizzerie di cui diventa proprietario), che, per aver commesso – durante una missione punitiva – un errore forse fatale, viene allontanato dal suo padrino e da quella che egli credeva fosse una famiglia. La sua famiglia.

È costretto a fuggire, crede di essere perseguitato. Si nasconde a Calais, nella città francese che apre l’orizzonte a una nuova libertà, a un altrove ignoto, che potrebbe portarlo oltre quella linea oscura che è stata, fino a quel momento la sua vita.

Mordini sposta così la macchina da presa sul racconto di un personaggio che incute paura, disprezzo, per indagare nel suo animo, fra le sue paure, i suoi dolori, la sua solitudine. Il profondo verde sguardo di Riccardo Scamarcio, all’inizio duro, imperscrutabile, incrocia quello dello spettatore e gli apre un mondo fino ad allora taciuto persino a se stesso. Entrambi vanno oltre a ciò che Pericle è o è stato, per scoprire quello che ha sempre voluto essere: un uomo alla ricerca di un affetto vero da dare e da ricevere. L’incontro con Anastasia (Marina Foïs), una donna abbandonata con due figli dal marito, che vive come il protagonista una forma, seppur diversa, di disperazione, accende un barlume su quei sogni irrealizzati, segna la svolta della storia e del cuore:

Non ci sono mai stato dentro la casa di una donna. Certe volte, però, mi sono immaginato che anche io potevo avere una famiglia. Così, per gioco, accompagnare i figli a scuola, mi inventavo le facce di mia moglie, delle bambine…

Anastasia affronta la sua solitudine, con tenacia, con un filo di speranza che dovrebbero portarla a lasciare la boulangerie per cui lavora e aprire, finalmente, lontana da Calais, una sua panetteria. Una fuga diversa da quella di Pericle che non sa come superare quella linea oscura, tracciata anche come tatuaggio lungo la schiena, ma da cui scopre – in questo racconto intimistico, psicologico – potersi liberare, affrontando con coraggio il passato e chiudendo con tutto quello che aveva ucciso ciò che lui poteva e voleva veramente essere.

Il regista indaga la fragilità dell’animo umano, ne ricostruisce i tormenti, in un film intenso che non vuole consolare, ma aprire squarci anche su un finale affidato alla sensibilità, all’immaginazione dello spettatore. Mordini non vuole raccontare ogni dettaglio, resta lì, dietro la macchina da presa, a scrutare dietro gli alti palazzi di cemento della città, a scoprire, a respirare la paura avvolta nelle luci della notte, a trattenere il respiro quando la città moderna e la dura realtà schiacciano l’uomo, per riprendere e fargli riprendere fiato nella luce, di fronte all’azzurro del mare, che vediamo da dietro le spalle di un personaggio in lacrime.

“Pericle il nero” è davvero, semplicemente un gran bel film, che trascina, convince come l’interpretazione di Riccardo Scamarcio,  a cui va un lunghissimo applauso per essersi cucito addosso un difficile personaggio con una generosità e una bravura che contraddistinguono solo i veri grandi attori.

 

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