La rubrica semiseria ̶d̶i̶ ̶c̶r̶i̶t̶i̶c̶a̶ ̶c̶i̶n̶e̶m̶a̶t̶o̶g̶r̶a̶f̶i̶c̶a̶
a cura di Tiziana Cazzato
“2046” di Wong Kar-wai
La mia passione per il cinema affonda le sue radici in tempi lontani. Non troppo lontani, sia chiaro! Credo semplicemente sia nata con me, che con il passare del tempo, a furia di guardare film, serie e anche cartoni animati ho sviluppato doti di… regista.
Eh sì, amici di Visti e svisti e de Il loggione letterario, io sono una regista e non potete nemmeno immaginare quanti film ho girato e continuo a girare nella mia testa. Sono molto prolifica!
Il desiderio di essere con voi sincera e onesta, mi porta quest’oggi, a mettere da parte, almeno per una volta, la mia proverbiale modestia, e confessarvi che dei miei film non sono solo regista, ma anche sceneggiatrice e interprete. Oh, dimenticavo! Sono anche l’unica e sola spettatrice. Almeno per ora. Un dì potrei decidere di tirarli fuori dalla mia testa, registrarli e, infine, proiettarli in una sala cinematografica. Pensandoci bene, però, è meglio che restino dove sono: non vorrei vedermi candidata ai David di Donatello, a scapito di qualcun altro.
I miei film, in fondo, non sono dei veri capolavori, ma io non ne disconosco nemmeno uno: cerco gli aspetti degni di nota, rifletto sugli errori e mi impegno a migliorare il tutto al ciak successivo. Il mio tallone d’ Achille, se proprio vogliamo cercare un difetto, sono i finali: preferirei un lieto fine, ma non so scriverli. I bei finali me li lascio sempre scappare.
Sono un po’ come il protagonista di 2046, film uscito in Italia nel lontano 2004 per la regia di Wong Kar-wai.
È il 1966, il signor Cho-Mo Wan (Tony Leung), giornalista e scrittore, torna a Hong Kong, dopo essere stato a Singapore, per cercare l’unica donna che ha veramente amato. Affitta la stanza 2047, quella accanto alla 2046, appunto, dove ha vissuto quella passata passione d’amore, che ora è vivida nel ricordo e nei racconti che scrive. 2046 è, infatti, anche il titolo del romanzo a cui si sta dedicando, mentre cerca nel letto e fra le braccia di altre donne di ritrovare la sua Su Li-Zhen. Senza però riuscire a innamorarsi. Senza riuscire ad amare. Forse perché ha deciso di non amare più!
Egli vive nel ricordo di quell’unico vero sentimento provato e che teme non sia stato mai ricambiato dalla donna. Un ricordo bagnato di lacrime, come quelle che accarezzano i volti delle donne, che non resistono al suo fascino, ai suoi modi eleganti e affettati, e che finiscono con l’innamorarsene. Come quelle che silenziose accarezzano il mio di volto, per quella densa e intensa malinconia che scorre lungo tutta la pellicola e mi avvolge. Mentre la figlia del padrone dell’albergo parla da sola ad alta voce, nella stanza 2046, per cercare di imparare il giapponese e poter comunicare con l’uomo che ama e dal quale, però, il padre riesce ad allontanarla.
Mentre una prostituta spera, fra le lacrime, di poter tornare indietro, di poter avere dall’uomo che ama un’altra occasione. Per se stessa, per lui, per entrambi. Il signor Chow però non si volta, continua a camminare avvolto nella nebbia. Continua ad allontanarsi, a negare, nel suo vivere storie fugaci, il bisogno di un amore vero. Che trapela nel romanzo distopico, che va scrivendo, dove racconta dell’amore per una donna robot, sul cui volto è percettibile – persino sul suo! – la malinconia intensa e delicata che impregna non solo le pagine del futuro libro, ma ogni singolo fotogramma della pellicola.
Un film che è, sì, ambientato nel 1966 a Hong Kong (tanti i riferimenti alla storia e alla cronaca di quegli anni) ma che rompe ogni riferimento allo spazio e al tempo per svolgersi su più piani narrativi, come quello del flashback o delle scene meta-narrative, tratte dall’opera che Chow sta componendo. Un vero e proprio flusso di coscienza del protagonista, fra passato, presente e tempo inventato, che ci fa respirare il bisogno insito in ognuno di noi di trovare quella felicità immutabile, di trovare quelle risposte che, a volte però, abbiamo paura di conoscere. Il signor Chow costruisce nel suo romanzo 2046 un universo, un punto, un non luogo dove tutti, uomini e donne, corrono il rischio di andare per ritrovare i ricordi perduti. Là, dove nulla può cambiare e non si sente il bisogno di tornare indietro.
Non si ha la certezza, però, che ciò accada realmente, perché da 2046 nessuno è più tornato per testimoniarlo o soltanto raccontarlo. Non si ha, quindi, la certezza che a 2046 ci si possa trovare senza perdersi più e che l’amore non sia solo un luogo di fratture e dolori.
Intensità poetica sulle note di una colonna sonora che percorre diversi generi e diversi tempi, di una luce calda e sensuale, che amplifica l’atmosfera di un racconto intimo e nostalgico. Di una narrazione che si svolge soprattutto all’interno delle stanze, degli alberghi, di luoghi che si fanno metafora dei sentimenti racchiusi nelle profondità del cuore, custoditi gelosamente, con il desiderio di non raccontarli neppure a se stessi. Con il desiderio di non rivelarsi, nemmeno quando a riflettere la vita e l’essenza dei protagonisti, ci sono gli specchi a evidenziare la solitudine degli esseri umani, delle loro parole e dei loro silenzi. A raddoppiare la distanza, quella lontananza che mette ostacoli all’amore, agli incontri e fa divenire gli uomini e le loro storie dei meri fantasmi.
Un film raffinato, che travolge i pensieri, i sentimenti, l’animo con una delicatezza disarmante, con l’armonia di suoni e colori che vorresti accendere. Per imparare a non avere rimpianti. Per non dover desiderare di tornare indietro o aspettare il 2046 (anno della felicità per il regista, perché Hong Kong tornerà a far parte definitivamente della Cina) o di andare ancora al 2046, in questo non luogo, per recuperare quel ricordo sfuggito, quel lieto fine scappato dalle mani.
Un film con cui prendere appuntamento, per non perderlo. Un film consigliatissimo, proprio quando si avvicina il giorno della riapertura dei cinema. Si ritorna finalmente in sala e si torna proprio con un altro capolavoro del regista di Hong Kong, In the Mood for Love. Andiamoci!
Leggi anche – Visti e svisti, Il traditore