Intervista a Irene Paganucci

 

foto-irene-paganucciQuali sono i tuoi maestri (non solo letterari: cinema, musica, arte figurativa, ecc.)?

Prima di tutto vi ringrazio per il pensiero e l’ospitalità, cose ancora più gradite e più preziose in questi giorni. Non mi sento di parlare propriamente di maestri, ho degli autori e delle autrici che mi sono molto cari. Con la Cavalli ho conosciuto la poesia contemporanea, quella poesia di gente viva di cui a scuola non si parla, di poeti che si svegliano in un letto la mattina e che si lavano e si vestono, che fanno colazione. Giorgio Caproni mi ha insegnato la “difficile facilità” – Giorgio Caproni e pure i versi sottilissimi di Vivian Lamarque –, la levità della parola che ne espande la potenza, una poesia che acquista peso più leggeri sono i versi. Andrea Zanzotto mi ha allenato a non capire e ad ascoltare, a dare meno peso al senso e a darne invece molto al suono; mi viene in mente la Duchessa nell’Alice di Lewis Carroll, «chi semina suoni raccoglie senso» (in traduzione di Aldo Busi). Ma è una lista ingenerosa, dovrei fare molti nomi. Per la prosa, ho letto tutto, o quasi tutto, di Buzzati. Nel cinema Moretti mi ha prestato tanti spunti, mi ha mostrato come spesso ironia e disperazione siano due facce della stessa, umanissima medaglia. Rileggendo queste righe mi sento “troppo italiana”, è nella prosa, per lo più, che oltrepasso la frontiera. Per esempio ultimamente sto leggendo grandi autori, dai libri di Philippe Forest a quelli di Joan Didion. Al momento mi interessa chi si inoltra in terre estreme, chi si spinge a raccontare qualche cosa di indicibile. Ora sto andando fuori tema e mi sto pure dilungando (ma almeno “fuori” in questo senso ci possiamo ancora andare).

 

Quali poeti della tua generazione senti affini (per temi e/o scelte formali)?

È da molto che non leggo libri nuovi di poesia, specialmente di poeti della mia generazione. Causa impegni di altro tipo ho mollato un po’ la presa, ho letto poco e scritto poco, sempre in termini poetici (e ho scritto poco, son convinta, perché ho letto molto poco). Ma di cose interessanti ne girano parecchie e sarebbe riduttivo fare solo alcuni nomi (ecco l’anima democristiana che fa ingresso sulla scena). Facciamo che segnalo uno degli ultimi che ho letto e che ho apprezzato particolarmente, che ho sentito molto affine: Le buone maniere, di Marco Simonelli, uscito per Valigie Rosse nel 2018.

 

Cosa cambieresti del panorama poetico di oggi?

Di fatto la poesia è ancora troppo per pochi. A differenza della prosa, che riesce a circolare mantenendo anche una certa qualità dei contenuti, la poesia non ci riesce e si rivolge a pochi eletti, così i poeti sono letti essenzialmente dai poeti. Non credo che sia colpa di qualcuno o di qualcosa. Credo si possa “rimediare” a cominciare dalla scuola, ritagliando degli spazi dedicati alla poesia che ne possano trasmettere il piacere più sincero. Faccio a volte degli incontri nelle scuole elementari, leggo ai bambini la Szymborska – chiaramente andando a scegliere – o la poesia metasemantica di Fosco Maraini. Nei loro occhi, quasi sempre, si può leggere un “ancora!”.

 

Quale pensi sia il ruolo di internet nella poesia contemporanea?

La rete ha un grande ruolo, soprattutto per chi scrive. Ti permette di conoscere e di entrare in relazione con persone che, altrimenti, faticheresti a incontrare. Per la poesia è fondamentale, perché è una piccola comunità. La cosa bella è che consente di diffondere gli inediti, poesie non pubblicate o non ancora pubblicate che finiscono per fare un’esistenza a sé, sganciata dalla vita, spesso dura, della carta. Mi piacerebbe che in futuro questo ruolo si ampliasse, che si aprisse a una funzione molto più divulgativa.

 

Chi è Irene Paganucci

Irene Paganucci è nata nel 1988, vive a Lucca ed è dottoranda in “Sociologia, storia e cultura politica” presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Ha pubblicato la raccolta poetica Di questo legno storto che sono io (Marco Saya Edizioni, 2013), segnalata come opera d’esordio al concorso nazionale di poesia e narrativa “Guido Gozzano”. Suoi testi editi e inediti sono apparsi su riviste web e cartacee, come “L’Unità”, “Versante Ripido”, “La Balena Bianca”, “Atelier”, “L’EstroVerso”, “Leggendaria”. Per il Gruppo Teatro 4e48, ha scritto lo spettacolo “Signore perbene – Viaggio nella poesia italiana al femminile”. Ha tenuto seminari di poesia contemporanea presso alcuni licei e istituti italiani. Vincitrice dell’edizione 2016 del Premio Rimini, ha poi pubblicato la sua seconda raccolta Mentre si mettono a posto le cose (Raffaelli, 2016).

 

Leggi anche – Lo stato delle cose – Riccardo Frolloni