Intervista a Riccardo Frolloni

 

Riccardo-Frolloni-fotoQuali sono i tuoi maestri (non solo letterari: cinema, musica, arte figurativa, ecc.)?

A sedici anni l’Urlo di Ginsberg mi ha cambiato la vita, come la musica dei Massimo Volume e dei CCCP, dei Joy Division e dei Cure, poi ho visto Il cavallo di Torino di Béla Tarr, i capolavori di Bergman, Andrej Rublev di Tarkovskij, e Nel magma di Luzi, tutto Caproni. Negli anni ho approfondito la poesia americana e canadese, oggi anche Richard Harrison, che ho tradotto, lo sento un maestro, un genio come Anne Carson, la saggistica e la poesia della prima Atwood, e Charles Simic, Mark Strand, John Ashbery, Les Murray, Frank O’Hara e sempre Robert Lowell, W.C. Williams, John Berryman, Hart Crane. Non conto neanche Montale, Eliot, Auden, Walcott, come i classici. Ora studio la poesia di Fiori, Anedda, Dal Bianco, De Angelis, Ceni, o Di Ruscio, Pagnanelli, Santori, spora a tutti Benedetti, l’incontro con la sua poesia ha segnato una svolta. Un più recente maestro anche Nooteboom, il suo L’occhio del monaco è meraviglioso.

 

Quali poeti della tua generazione senti affini (per temi e/o scelte formali)?

Credo ci sia una generazione allargata (ma non troppo) che comprende i nati nei Novanta e alcuni dei nati negli Ottanta, i restanti dei quali sono invece, a mio avviso, molto più simili ai nati nei Settanta, ad un Novecento. Con poetiche vicine o distanti, poco importa, ma affini nel concepire la poesia: Furnari, Filograna, Cagnazzo, Giovagnoli, De Lisi, Cardelli, Nibali, Donaera, Terzago, Lotter, ma potrei dirne anche altri, la questione è complessa. Aspetto inoltre alcune pubblicazioni, quelle di Di Palma, Occhionero e Dell’Acqua, compagni di strada.

 

Cosa cambieresti del panorama poetico di oggi?

È una guerra fra poveri, ci si vuole male per un niente. Non si intende la stessa cosa quando si parla di poesia, in una sorta di parallasse, e con questo non chiamo ad una visione unica ma all’ampiezza e alla pluralità della parola. Non mi pare fattibile un dialogo sincero, in questo equilibrio di amicizie. Non vorrei perdere anche il senso della parola amico. L’idea di circolo virtuoso mi sembra un punto da cui partire.

 

Fai riferimento solo al Novecento o ti senti vicino a qualche autore emerso negli ultimi 20 anni?

I fratelli maggiori, di cui mi fido molto più di tanti padri o zii, fiducia intellettuale e artistica: Di Dio, Gallo, Mancinelli, Lanza, Russo, Steffan…

 

Chi è Riccardo Frolloni

Nato nel ’93 a Macerata, laureato in Italianistica con lode, pubblica la sua prima raccolta di poesie “Languide istantanee Polaroid” (Affinità Elettive Edizioni, vincitore premio “Le Stanze del Tempo” 2014 e finalista premio “Elena Violani-Landi” 2015). Ha tradotto l’ultimo libro del canadese Richard Harrison “Sul non perdere le ceneri di mio padre” (’roundmidnight edizioni 2018); e diversi altri autori come Ron Padgett e Frank O’Hara per alcune riviste. Dal 2018 al 2020 è stato direttore del Centro di poesia contemporanea dell’Università di Bologna. Ha lavorato per la School of Continuing Studies dell’Università di Toronto come lettore e assistente. Insegna italiano e latino al liceo.

 

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