Intervista a Giuseppe Nibali
a cura di Graziano Gala e Gaia Giovagnoli
Quali sono i tuoi maestri (non solo letterari: cinema, musica, arte figurativa, ecc.)?
Per rispondere pienamente a una domanda del genere dovremmo bene fissare le nostre lenti ideologiche: serve distanza. Così il tema del maestro, tra i problemi della letteratura recente, è forse il più spinoso, almeno per me.
Mio padre, mi verrebbe da rispondere d’un fiato. Ma so bene che una risposta del genere sarebbe, a dire poco, parziale. Eppure mio padre mi ha insegnato ciò che non è facile insegnare: la ricerca. L’importanza della ricerca. E così è grazie a lui che io sono diventato un bravo cercatore, un uomo capace di trovare dei maestri, maestri morti, soprattutto. Eppure non è stato mio padre a leggere i miei primi testi, non è stato mio padre a perdere su quelli i suoi pomeriggi, anche se so che avrebbe voluto.
Potrei dunque provare la via scettica, la via nichilista e dire con le parole di Pier Paolo Pasolini, che, semplicemente, avendo iniziato da piccolo a scrivere le prime poesie, i primi versi, ho poi continuato fino a farlo diventare un vizio, una condizione imperitura. Alla propria biografia, alla propria storia, non è possibile fuggire. Nel mio caso, dunque, la Sicilia, che è la terra dei padri (miei e d’Europa) non smette di essere un’ispirazione costante. Per questo Consolo, Sciascia, Bufalino, Quasimodo, Sgalambro.
Allo stesso tempo, l’altra realtà: la pianura. Da Bologna a Milano, e qui Luzi, Pasolini, Fortini, Montale, Milo, Benedetti, Alessandro Ceni e per la prosa: Tondelli, Tadini, Malerba, Malaparte, Morselli, D’Arzo.
Quali poeti della tua generazione senti affini (per temi e/o scelte formali)?
Mi chiedi di raccontarti l’amore. Ho letto tantissima poesia, tanto che ultimamente mi viene davvero difficile dedicarmici. Ho molti amici di cui stimo il lavoro, sia tra i coetanei sia nella generazione appena precedente. Su tutti, due: sicuramente Tommaso Di Dio, con cui curo alcuni interessanti progetti a Milano, e Bernardo Pacini. Ma non posso non citare Carmen Gallo e Francesco Maria Terzago, che sono scrittori finissimi, Sinisi, Scaramella, Furnari, Tartaglia, Donaera e Valerio Grutt.
Dico però che la traccia è sempre la stessa: una poesia lirica che non rinuncia all’epos, che non rinuncia al racconto veterotestamentario della grande nazione umana, del popolo. Ogni poesia, ogni poetica, deve per me mirare alle stelle, a rifare Dante, a rifare Virgilio, a rifare Omero. Poeta è chi sente la commozione dell’elemento umano, fuori da questo ci sono le canzonette, le letterine, la metafisica del cioccolatino: molto meglio farsi una sega.
Cosa cambieresti del panorama poetico di oggi?
Le chiacchiere. Ma credo che sia problema endemico di ogni tempo e di ogni ambiente. Io sono convinto che bisogna leggere molto, studiare molto. Dall’altro lato credo che bisognerebbe immaginare una prospettiva di libertà che sia diversa da quella contemporanea.
C’è una grande e secondo me giustificata volontà di potenza. Tutti i nostri coetanei vogliono un riconoscimento, io per primo, ed è legittimo. Ma la domanda è: a quale riconoscimento miriamo? Quanti tra i nostri coetanei vogliono o provano a scrivere la grande opera? E ancora: chi la sta scrivendo? Paradossalmente la fine della possibilità di una “carriera” in Poesia (mi riferisco all’ambiente novecentesco) ha creato, con la sua impossibilità, un carrierismo sfrenato. Piccole cronache, che la maggior parte delle volte nascono e muoiono sui social, ma che messe tutte insieme e viste dall’esterno forse raccontano qualcosa della crisi umana del nostro tempo.
Quale pensi sia il ruolo di internet nella poesia contemporanea?
Credo, come ho già avuto modo di dire, che il contemporaneo abbia a che fare con la percezione. Cito sempre un esempio noto: Barilli-Caravaggio. Ripescato dal buio della storia Merisi viene rigettato di peso sul tagliere del Novecento da un grande critico. Perché? Perché Caravaggio è novecentesco.
La poesia deve raccontare il mondo contemporaneo, la sua storia, i suoi vizi di forma, le sue strutture. E credo per questo che, in un certo modo, la poesia di ogni tempo (quando non è stata puro esercizio di stile) abbia cercato di mettere in versi il proprio contemporaneo, basti pensare alla poesia europea di guerra, o a quella borghese subito successiva.
Di internet mi interessa una sua traduzione in poesia, non la fruizione di poesie su internet. Intendo dire: la società si muove oggi tra script, operazioni in codice binario, droni, un codice nuovo. Ogni nuova tecnologia riformula il mondo (e i popoli con esso) come medium e come messaggio, diciamo che io mi interesso maggiormente al messaggio per formazione sociologica, e poco mi curo di distici pubblicati su instagram.
Chi è Giuseppe Nibali
Giuseppe Nibali è nato a Catania nel 1991. Si è laureato in Lettere Moderne e in Italianistica a Bologna dove è stato membro del Consiglio Direttivo Centro di Poesia Contemporanea dell’Università.
Giornalista Pubblicista, dal 2017 è direttore editoriale della rivista online Midnight Magazine e curatore del progetto Ultima.
Ha pubblicato i libri di poesia: Come dio su tre croci (Edizioni AE, 2013), e La voce di Cassandra – Studi sul corpo di una vergine. Sue poesie appaiono in diverse antologie poetiche e blog. Insegna italiano, storia e filosofia in un Liceo di Milano.
Leggi anche – Lo stato delle cose – Tommaso Di Dio