La rubrica semiseria ̶d̶i̶ ̶c̶r̶i̶t̶i̶c̶a̶ ̶c̶i̶n̶e̶m̶a̶t̶o̶g̶r̶a̶f̶i̶c̶a̶ curata da Tiziana Cazzato

Mar Nero di Federico Bondi

 

È domenica 25 ottobre. Ho da poco finito di pranzare, quando il premier Conte annuncia la chiusura di cinema, teatri e… Resto ferma, con il coperchio della pentola fra le mani, cercando di rallentare e riordinare anche i pensieri. È un’operazione un po’ complicata perché nella mia testa c’è un sovraffollamento di idee che, a volte, decidono di venire fuori dal letargo tutte insieme, con la stessa “urgenza” e con pari voglia di vivere oltre i confini della mia mente. Decido di non commentare la notizia: anche perché non ha gran senso che dica ad alta voce il mio pensiero, quando a sentirlo non ci sono altro che io. Guardo l’orologio e, senza bisogno di emanare alcun decreto, decido di andare al cinema. Non so però ancora quale film vedere: ho poco più di tre chilometri per fare la mia scelta. Il piacere regalatomi dalla lettura di Starnone mi porterebbe a scegliere Lacci (e poi nel cast c’è pure Luigi Lo Cascio!), ma un mio collega mi ha fatto un po’ passar la voglia, consigliandomi, invece, caldamente il film d’esordio di Pietro Castellitto, I predatori.  Arrivo al botteghino e scopro che il film premiato a Venezia per la miglior sceneggiatura è iniziato da un’ora, mentre per vedere quello tratto dal romanzo dello scrittore napoletano dovrò aspettare un’ora e mezza.  Ho pazienza, ma anche un pizzico di buon senso (ancora!) e soprattutto tanto lavoro che mi aspetta a casa.

Eccomi, allora, entrare nella sala Excelsior, sprofondare in una poltrona isolata e lontana da tutti, a vedere l’unico film che non avevo preso in considerazione, Cosa sarà di Francesco Bruni, con Kim Rossi Stuart, approdato pochi giorni dopo il decreto su tutti i canali streaming, per quelli che al cinema non ci possono più andare e per quelli che, la stragrande maggioranza, non ci vanno mai e che sono i primi a contestare un provvedimento che resta pur sempre un enigma.

Mentre torno a casa, le domande hanno preso il posto delle idee, ormai assopite, nella mia testa e cercano di aiutarmi a capire se il film mi sia piaciuto o meno. Ho pianto molto, ma non so se le lacrime versate sono per l’immedesimazione con la figlia del protagonista che rivendica il suo diritto – pur avendo una riconosciuta forza interiore – di essere fragile e di avere paura o per quel Cosa sarà, (a cui mi permetto di aggiungere un punto interrogativo [come nella canzone di Dalla e De Gregori]) di noi che, mai come in questo periodo, camminiamo in bilico,  sul cornicione di una realtà troppo alta da comprendere e da cui cerchiamo in tutti i modi di non cadere, continuando a guardare avanti, senza voltarci,  pronti a farci sempre sorprendere dagli altri e dalla vita.

E oggi anche da me!

mar-nero-locandinaEntrata in casa, tolgo le scarpe, accendo una fievole e calda luce, e mi preparo a… lavorare? Non ci penso minimamente. Il lunedì entro a scuola un po’ più tardi e la notte, come cantavano le Kessler, è ancora piccola.

Riprendo un DVD che avevo già guardato pochi giorni addietro, accendo lo schermo della TV e mi siedo a terra, sul tappeto e…

Eccole le note degli archi che danzano insieme con quelle della fisarmonica, in un preludio che ha il sapore di un viaggio armonioso di musiche e atmosfere, di luoghi e persone che si incontrano, si incrociano, si rivivono ognuna nella quotidianità dell’altra.

Una storia semplice, come quella che solo il più grande cinema italiano sa raccontare. Una storia, composta di parole e silenzi, fotogrammi e immagini catturati dallo sguardo di chi riesce a mettere a fuoco la bellezza nella quotidianità, nella naturalezza dei gesti e dei luoghi, senza enfatizzare, senza estetizzare.

Una storia semplice, che profuma di poesia fra le rive del Danubio che attraversa la Romania, metafora di vite, vicende che sembrano correre in parallelo, senza riuscire mai ad incontrarsi e che sono, però, accarezzate dalla stessa acqua che alla fine si tuffa fiduciosa fra le grandi braccia del mare. È da lì, da Sulina, da una cittadina e porto franco rumeni, che parte Angela (sorprendente Dorotheea Petre), lasciando il suo Paese, la sua famiglia e i suoi amori, per riuscire a costruire un sogno semplice: avere un figlio e dargli la possibilità di studiare, di avere un destino diverso dal suo e da quello di suo marito Adrian.

È dalla Romania che arriva a Firenze, per prendersi cura di Gemma (superlativa Ilaria Occhini, miglior interpretazione femminile al Festival Internazionale del film di Locarno), un’anziana vedova, madre di un solo figlio, Enrico, che però vive con la moglie a Trieste. La donna è indurita nel carattere dalla vita, dai dolori del corpo e di un’anima che ha respirato forse troppa solitudine. Non vuole nella sua casa né accetta Angela: non accetta il suo ruolo, la sua presenza, la sua diversità. Costruisce fra lei e la giovane badante un muro, destinato a sgretolarsi con la pazienza silenziosa e tenace della ragazza, che, sì, forse viene da una realtà lontana dalla sua, ma nella quale si rivede giovane, in una Firenze colpita dall’alluvione e soprattutto da un Arno ribelle, straripante nei giorni d’inizio novembre del 1966. Si specchia nei profondi grandi occhi di Angela e come in un replay rivive i sacrifici per fare studiare il figlio Enrico e dargli una vita migliore della sua. Inizia, così, non solo un incontro, ma un’accoglienza, una capacità di comprendersi che va oltre la lingua, oltre le parole. Durante le telefonate ai familiari in Romania, a Gemma resta impresso il dolce suono della voce con cui Angela si rivolge ai suoi e lo schiocco dei baci, di quei baci che restano impressi non solo sul volto, ma persino nel cuore.

mar-nero-petre-occhiniE resta impressa nell’anima questa poetica e delicata storia non solo d’amicizia fra due donne, ma fra due anime del mondo che imparano ad ascoltarsi pur parlando lingue diverse, che sanno prendersi per mano e attraversare insieme il corso di un fiume che accarezza, con le sue acque, rive che, solo all’apparenza, sembrano destinate a non incontrarsi.

Resta impresso nella memoria il film d’esordio di Federico Bondi, “Mar Nero” (arrivato nelle sale nel gennaio del 2009), che racconta una storia semplice, di vita vera, ambientata fra la fine del 2006 e l’inizio del 2007, quando l’Europa finalmente accoglieva fra i suoi Stati la Bulgaria e la Romania.

Un film (che nel rivederlo mi ha regalato nuove emozioni, dolci lacrime)  in cui non esistono eccessi e l’armoniosa narrazione è sincera, spontanea, composta di parole che non sono mai di troppo, della magia della musica, di luci e ombreggiature suggestive, incantevoli nella verità della loro artistica naturalezza che spingono lo sguardo lontano, oltre quella lunga strada che ci può far ritornare sui nostri passi, in un passato che si veste di nuovo futuro e verso un domani pieno di sorprese, privo di quell’ormai (parola cancellata dal mio vocabolario) e ricco di quei baci con lo schiocco, quei baci sottolineati che vi auguro di ricevere nella vostra quotidianità. Soprattutto in giorni come quelli che stiamo vivendo.

 

Io, da parte mia, non devo più percorrere (purtroppo) i tre chilometri o poco più per andare a tuffarmi nella comoda poltrona di un cinema, ma quando domenica 25 ottobre Conte ha decretato la chiusura delle sale, mi ha solo invitato a percorrere un’altra strada per continuare a regalarmi film, proiezioni e per sostenere soprattutto quella magnifica macchina d’arte chiamata cinema. E che ci regala storie semplici, universali, indimenticabili. Come questa (visibile in streaming). Come quelle che solo il grande cinema italiano sa raccontare.

 

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