Intervista a Giorgio Ghiotti
Quali sono i tuoi maestri (non solo letterari: cinema, musica, arte figurativa, ecc.)?
È bello poter attingere a molti campi dell’arte, avere tanti maestri e tante maestre, che poi cambiano magari al cambiare dei tempi (dei tuoi tempi). Non è solo bello, è anche bene. Mi è maestra la poesia, lo sguardo e il ragionare di Biancamaria Frabotta. E la poesia e la prosa di Giovanna Sicari, anche lei “monteverdina” (acquisita lei, autoctono io) come me. Amo poi molto la musica, ho suonato il pianoforte per dodici anni; Mozart è forse il più grande di tutti, e non solo per il repertorio pianistico. Però l’emozione che sanno darmi alcuni passaggi di Bach (le suites inglesi, i preludi e le fughe) o di Schubert (il quarto Momento musicale è un vero gioiello, o il Trio d’archi e pianoforte) è insuperabile, ed è quel tipo di emozione che ti ragiona dentro anche a distanza di tempo, che è quello che sanno fare i maestri. Vorrei frequentare di più il cinema ma sono un pigro di natura, e spesso arrivo tardi, quando i film sono già fuori programmazione.
Quali poeti della tua generazione senti affini (per temi e/o scelte formali)?
Il poeta è sempre diviso tra una grande solitudine e un sentirsi parte di una comunità – se questa comunità c’è, e regge. I poeti della mia generazione hanno pubblicato le loro prime prove, qualcuno deve ancora pubblicare, pochi sono già a una seconda raccolta. Questo per dire che è difficile riferirsi a una comunità poetica generazionale. Ma poi, in effetti, non credo neanche che una comunità debba essere divisa per generazioni, se mai l’opposto – dovrebbe poter accogliere tutti. Questo per dire che sì, ci sono poeti miei coetanei che sento affini, ma più che per temi e scelte formali (come pure potrebbe darsi), per un comune sentire nel cammino che abbiamo iniziato a intraprendere: Ivonne Mussoni, sicuramente, ma anche Rudy Toffanetti, Gianluca Furnari, Francesca Santucci, Gabriele Galloni e Francesco Ottonello – dimentico sicuramente qualcuno.
Cosa cambieresti del panorama poetico di oggi?
Ci ho pensato a lungo, e la risposta è che non cambierei nulla. Ogni tempo ha i suoi poeti, i suoi sistemi culturali, migliori, peggiori. Mi piace vedere quello che riusciremo a fare coi mezzi che abbiamo. Educherei il pubblico, però, e tornerei a fare più che tanti festival di poesia, tante letture pubbliche come fra gli anni Ottanta e Novanta, soprattutto nelle zone urbane in cui la bellezza più fatica a farsi sentire – non perché non ci siano orecchie buone, o adatte, ma perché pochissimi hanno interesse nel portare bellezza in certi spazi: periferie, province…
Fai riferimento solo al Novecento o ti senti vicino a qualche autore emerso negli ultimi 20 anni?
Si pensa a questo numero che un po’ fa impressione, 20 anni, credendolo un tempo gigantesco; e però mi accorgo che i poeti ai quali più mi sento vicino continuano sì a scrivere, ma hanno esordito ben più di vent’anni fa, negli anni Settanta, Ottanta, Novanta. È qualcosa su cui rifletto da un po’, questa specie di “sfilacciarsi” delle generazioni. Fenomeno per il quale i poeti della mia generazione si voltano più volentieri verso i nonni e le nonne che non verso i padri e le madri. Tra gli esordi degli ultimi 20 anni però ci sono libri di poeti ai quali, pur non sentendomi poeticamente vicino (per stile, immaginario, scelte formali ecc.), guardo con ammirazione e grande interesse, e che mi piace sempre leggere. Quattro nomi a esempio: Nicola Bultrini, Lidia Riviello, Tommaso Di Dio, e il poeta dialettale Andrea Longega.
Chi è Giorgio Ghiotti
Giorgio Ghiotti è nato a Roma nel 1994 e vive tra Roma e Milano, dove studia Italianistica contemporanea e collabora con la casa editrice Bompiani. Ha esordito nella narrativa con la raccolta di racconti Dio giocava a pallone (nottetempo) e nella poesia con Estinzione dell’uomo bambino (Perrone, pref. di Vivian Lamarque). Ha pubblicato inoltre Mesdemoiselles. Le nuove signore della scrittura (Perrone), Rondini per formiche (nottetempo), Via degli Angeli (Bompiani, con Angela Bubba), La città che ti abita (Empirìa, pref. di Biancamaria Frabotta), Costellazioni (Empirìa), Gli occhi vuoti dei santi (Hacca), Il lucernario (Empirìa). Scrive di libri sulle pagine culturali de “Il manifesto”.