Intervista a Gaia Ginevra Giorgi
Quali sono i tuoi maestri (non solo letterari: cinema, musica, arte figurativa, ecc.)?
Per me è molto difficile nominare i maestri e le maestre. Ci sono state voci – e ci sono sempre, rinnovate – che mi sono risuonate in modo più puntuale e più sconvolgente di altre. Scrivo di getto, sapendo che potrei trascurare qualche figura cruciale. Tra gli italiani, penso a Cesare Pavese, che è stato per me fondante, a Vittorio Bodini, Antonia Pozzi, Amelia Rosselli, Cristina Campo, Guido Morselli, Andrea Zanzotto, Edoardo Sanguineti, Milo De Angelis, Mariangela Gualtieri e Antonella Anedda. Tra gli stranieri, a Sylvia Plath, Paul Celan, Julio Cortázar, Antonin Artaud, Ágota Kristóf, solo per fare alcuni esempi. Tra i miei riferimenti ci sono poi molti filosofi e molte filosofe: Albert Camus, Simone de Beauvoir, Gilles Deleuze, Michel Foucault, Judith Butler, Donna Haraway. È difficile tracciare una genealogia dei maestri e delle maestre, preferisco forse parlare di innamoramenti, accensioni, occasioni, incontri generativi che hanno attivato un immaginario, e che, qualche volta, esauriscono, per poi tornare ancora sotto nuove forme. Per quanto riguarda il cinema, per esempio, ho avuto a più riprese una fatale fascinazione per gli autori polacchi, come Krzysztof Kieslowski, Andrzej Żuławski, Roman Polański, Pawel Pawlikowski, solo per fare alcuni nomi. Ho amato molto la nuova onda italiana degli anni Sessanta, dal primo Bellocchio a Bertolucci, Pietrangeli e Pasolini. Tra i nostri contemporanei mi piacciono molto Andrea Arnold, Xavier Dolan, Gaspar Noé, Harmony Korine, Céline Sciamma e Yorgos Lanthimos.
Quali poeti della tua generazione senti affini (per temi e/o scelte formali)?
Ci sono poi geografie che mi legano ad alcuni poeti e ad alcune poetesse della mia generazione in particolare. Per posizionamento, soluzioni formali, sguardo e sentire. Per esempio, penso di condividere un alfabeto specifico, una lingua comune, una cifra, con Gaia Giovagnoli, un gusto per le parole e i mercati con Francesco Terzago, l’attitudine al suono e al ritmo con Julian Zhara e Giulia Martini, la tendenza a svuotare, a ridurre all’osso, con Samir Galal Mohamed, l’ironia con Maddalena Lotter e Roberta Durante, la temperatura con Serena Di Biase e Ilaria Caffio. Sto sicuramente tralasciando qualcuno che mi è vicino, è inevitabile. Ci sono anche poeti che mi piacciono molto e per cui ho sviluppato un’affettività sincera, pur o a maggior ragione, avendo apparentemente poco o nulla in comune, come, per esempio, Alessandro Burbank, Alice Diacono, Valentina Colonna.
Cosa cambieresti del panorama poetico di oggi?
Le grafiche! Sto scherzando, ma solo in parte. Del panorama poetico contemporaneo spesso mi innervosiscono le estetiche, le scelte formali e la vaghezza. Mi piacerebbe leggere meno poesia innocua, ecco. Vorrei, e accade effettivamente qualche volta, poter leggere versi più perturbanti, più segnanti. Più o meno cerebrale, non importa. Purché più vivi. Mi piacerebbe che la poesia attivasse sempre un discorso, anche un tumulto, che fosse materia scottante. Non deve per forza essere sostanza rassicurante, anzi. Spesso leggo poesia ben confezionata e non mi basta. Vorrei essere disturbata dai versi, sconvolta, trascinata altrove, o quanto meno vorrei che i versi mi offrissero la possibilità di attivare un pensiero rizomatico sul testo. Non lo so.
Quale pensi sia il ruolo di internet nella poesia contemporanea?
Ho l’impressione che, per quanto riguarda le possibilità di circolazione e di diffusione del materiale poetico, le piattaforme on-line funzionino piuttosto bene. Su un piano di divulgazione dei contenuti il dispositivo del social-network ha permesso alle poesie, più che alla poesia, di raggiungere un numero più alto di lettori. Questa è una possibilità del mezzo che penso sia generativa di occasioni. È vero, però, che i lettori effettivi di poesia restano pochi, che lo facevano prima e che lo farebbero anche senza internet, mentre chi incontra la poesia su internet per coincidenze algoritmiche probabilmente si limiterà a comprare un libro di Alda Merini e poi, confuso, nel migliore dei casi parteciperà a un poetry-slam. Trovo, tuttavia, che da un lato la diffusione della poesia on-line tende verso un rischio di appiattimento della lingua e verso una fruizione più passiva e disimpegnata, dall’altro non danneggia affatto chi di poesia si occupa davvero, perché lo farà comunque al di fuori della rete, probabilmente attraverso un tempo personale di studio e di lettura, prima che di scrittura. Oltretutto, nella giungla di chi scrollando impara a memoria due frasi di Franco Arminio e poi se ne dimentica per sempre, c’è la possibilità che qualcuno si appassioni veramente e che, piano piano, dal profilo Instagram di Rupi Kaur, si ritrovi tra le mani Dalle memorie di un piccolo ipertrofico di Tommaso Ottonieri. O almeno questo è il mio augurio.
Chi è Gaia Ginevra Giorgi
Gaia Ginevra Giorgi (1992) è autrice e performer. Laureata in Filosofia presso l’Università di Torino, attualmente studia Teatro e Arti Performative presso l’Università Iuav di Venezia. Nel 2016 pubblica “Sisifo” (Alter Ego Edizioni), suo esordio poetico e allo stesso tempo performance che indaga la poesia come fatto artistico visivo, fonetico e gestuale, oltreché letterario, e che ne sperimenta il rapporto con i nuovi dispositivi. Supportata dalla piattaforma europea di poesia “Versopolis”, partecipa a diversi Festival Internazionali, come quello di Istanbul, Sibiu e Madrid. Tradotta in turco, romeno e spagnolo, nel 2017 pubblica “Manovre segrete” (Interno Poesia) – edito in Spagna da La Bella Varsovia, con una traduzione di María Martínez Bautista – e realizza il suo primo progetto di videopoesia. Del 2019 è “Proprio come per le formule magiche” (progetto selezionato per Asolo Art Film Festival), una performance/dispositivo di messa in crisi del testo poetico, che mette in relazione corpo, parola e macchina. Nel 2019 pubblica anche il saggio biografico “Sylvia Plath. L’altare scuro del sole”. La sua poesia è apparsa su svariate riviste di settore e antologie tra cui “Un verde più nuovo dell’erba” (LietoColle), e “Abitare la parola” (Ladolfi).
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