a cura di Graziano Gala e Gaia Giovagnoli

Intervista a Dimitri Milleri

 

Dimitri MilleriQuali sono i tuoi maestri (non solo letterari: cinema, musica, arte figurativa, ecc.)?

Difficile parlare di maestri. Un maestro presupporrebbe un rapporto privilegiato, una relativa stabilità di intenti (etici, estetici, linguistici), ma non è questa la relazione che vivo con ciò che di culturale si situa intorno e alle mie spalle. I linguaggi (quelli delle opere riuscite) portano dentro di sé una coesione funzionale, servono a fare qualcosa, realizzano un progetto. Quando guardo a un’opera che mi tocca profondamente cerco di capire quale sinergia si realizza fra progetto ed esecuzione, tra postura etica dell’autore ed emanazione estetica. A me interessa la cultura come strumento realizzativo, e questo crea dei continui smottamenti nella galassia dei riferimenti, a seconda del tipo di progetto-libro che si va profilando. Ciononostante, in linea generale, mi nutro soprattutto del contatto con la tradizione artistico-culturale del secondo Novecento e con il panorama contemporaneo. Essendo un musicista, la produzione musicale mi interessa: quella classica occidentale successiva alle esperienze delle neaoavanguardie e del jazz sperimentale contemporaneo, ma guardo curiosamente anche alla musica di consumo. In letteratura, parlando del mio ultimo libro, sono stati fondamentali: Alessandro Ceni, Giovanni Raboni, Umberto Fiori, Giorgio Caproni, Guido Mazzoni, Andrea Zanzotto, Amelia Rosselli, Milo De Angelis, Mario Luzi, Philip Larkin, Anne Carson, Ocean Vuong. Non conosco molto bene il cinema e mi considero un attardato per quanto riguarda le arti figurative, ma sto cercando di recuperare. La filosofia è stato un altro grande bacino da cui attingere, in particolare negli ambiti delle teorie della cognizione, delle neuroscienze, teorie dellaperformance ed estetica in generale; anche qui con interesse al dibattito attualmente in corso e alla produzione novecentesca. Ultimamente sento sempre più stringente la necessità di conoscere quello che di poetico viene prodotto dai miei coetanei, tanto che mi sto dedicando a un lavoro di ricerca sui poeti nato dopo il 1980. Ho un buon rapporto con i classici, ma non li frequento troppo. Conosco male il latino e per niente il greco: questo purtroppo mi inibisce nell’affrontare le relative letterature.

 

 Quali poeti della tua generazione senti affini (per temi e/o scelte formali)?

Per quanto riguarda l’uso della lingua: Francesco Vasarri, Bernardo Pacini, Giuseppe Nibali, Demetrio Marra, Simone Burratti. Per quanto riguarda i temi e, più in generale, il modo diorganizzarli nel libro (oltre ai precedentemente citati): Carmen Gallo, Maria Borio, Tommaso Di Dio, Giulia Martini.

 

Cosa cambieresti del panorama poetico di oggi?

Mi piacerebbe che, in quanto scrittori di versi all’interno di uno stato che non incoraggia minimamente la scrittura di versi per via istituzionale, non si sentisse costantemente il bisogno di assumere una postura da autoflagellanti o di additare la vanità degli altri scrittori o presunti tali. È evidente: scrivere poesie oggi significa compiere un atto di esposizione di sé all’interno di un contesto competitivo e chiuso, significa esporre le proprie aspirazioni e il proprio amore nei confronti di una forma artistica estremamente marginale e a detta di molti inutile o non interessante. Il punto è che ripetere questo all’infinito non ci porta da nessuna parte: se si ama davvero la poesia contemporanea i meccanismi sociologici che la riguardano non dovrebbero interessarci quanto o più della produzione testuale, non dovrebbe interessarci la caduta di stile di Tizio o la cattiva coscienza di Caio, senza contare il fatto che divertirsi a metterle in piazza è soltanto un modo per esporsi da sopra un piedistallo, raccontandosi di essere puliti perché si dicono “le cose come stanno”. Lasciamo che le persone facciano le loro piccole o grandi cose, si promuovano, litighino, siano grandi o mediocri: non curiamocene. Guardiamo ai testi, cerchiamo di capire cosa deve sopravvivere e cosa no. Io voglio scrivere e dire: credo in quello che scrivo e spendo per questo tempo ed energie, voglio essere esposto, non voglio far finta che questo sia un passatempo o una passione intermittente, tanto più che credo nel valore esistenziale di quei linguaggi come la poesia, in quanto permettono di allontanarci dalla referenzialità e dalla linearità, facendoci entrare dentro la lingua come possibilità e dentro noi stessi.

 

Quale pensi sia il ruolo di internet nella poesia contemporanea?

A livello tematico, quello di una cosa come le altre all’interno del fenomeno di cui facciamo esperienza: non farei finta che non esistesse e non cercherei di parlarne a ogni costo. È vero: io spesso ho il cellulare in mano, mi esprimo sulle piazze virtuali, faccio e mando contenuti multimediali, meme, faccio videochiamate. Però magari nella stessa giornata faccio incubi, trascrivo Rameau, parlo con mia nonna, guido un cingolato, mangio troppa pizza, uso una zappa. La domanda è: come si fanno stare insieme queste cose, cosa significano? A livello promozionale e conoscitivo è diventato fondamentale: se è vero che la visibilità della poesia mediocre è aumentata a dismisura, è aumentata anche quella della poesia di qualità, e anche zone territoriali meno esposte hanno adesso più occasioni di farsi sentire. I lettori forti non sono spariti. L’operazione di scrematura è magari più faticosa, ma con gli anni e coi secoli, si sa, gli imbuti si restringono e, credo, continuerà a rimanere davvero poco, come è giusto.

 

 

Chi è Dimitri Milleri

Dimitri Milleri nasce a Bibbiena nel 1995. Sui testi sono apparsi nelle antologie Poeti nati negli anni ’80 e ’90, curata di Giulia Martini (Interno Poesia, 2019), Abitare la parola (Ladolfi, 2019) e IV repertorio di poesia contemporanea (Arcipelago Itaca, in uscita nel 2020), oltre che in vari lit-blog e siti online, tra cui Perigeion, Succedeoggi, Interno Poesia, YAWP, Inverso. Alcune sue traduzioni da Ocean Vuong sono apparse sul sito di Nuovi Argomenti. Vincitore della XVI edizione del premio A.V. Reali (sez. giovani), è risultato fra i segnalati al premio Montano con la silloge Sistemi, pubblicata a febbraio 2020 per Interno Poesia.

 

Leggi anche – Lo stato delle cose, Maria Borio