Una vendetta lunga una generazione
Recensione di Stefano Bonazzi – 24/11/2020
Ho perso il conto dei libri pubblicati da Gianluca.
Ho perso il contro eppure continuo a leggerli.
Ricordo che qualche anno fa ebbi l’occasione di scrivere un articolo su questo autore cult di Bologna, amico di bevute, insegnante di scrittura creativa, fanatico del Bologna e di Bruce Springsteen e per recuperare la lista completa dei suoi titoli editi (senza contare le centinaia di racconti apparsi su svariate antologie…) mi affidai a Wikipedia: anch’essa fallì miseramente. Non riusciamo a stargli dietro, a Morozzi e così oggi, al suo trentaseiesimo libro, mi ritrovo di nuovo a immergermi nella sua torbida, perversa, affascinante Bologna.
Sì, perché, per quei pochi che ancora non lo sapessero, all’interno di questo affabile cultore di fumetti e serie nerd si nascondono due personalità ben distinte capaci di saltellare spensieratamente dalle pruriginose atmosfere della commedia nostrana ai toni più claustrofobici del thriller pulp. Eppure, oggi, basta quella sanguinolenta X rossa che campeggia in copertina, opera del talentuoso Maurizio Ceccato, a farci intuire fin da subito verso quale dei due emisferi morozziani verte questo nuovo Andromeda.
Senza troppi preamboli, il romanzo ci catapulta all’interno di una magione insonorizzata sui colli bolognesi. All’interno, c’è un uomo legato a una croce di sant’Andrea, il suo nome è Dimitri. Di fronte a lui troviamo Borg, un soprannome ereditato dalla sua passione tennistica. Borg ha con sé una motosega e dei secchi di cemento. Quel che dice a Dimitri è semplice e terribile: “Io ti libererò senza farti niente, se solo ti ricorderai il mio vero nome. Pronuncialo, e non ti accadrà nulla. Altrimenti, ti farò a pezzi poco alla volta”.
Da questo punto in poi, attraverso una lunga sequenza di flashback, Borg ci racconterà il motivo del suo profondo odio nei confronti di Dimitri e dei fatti che l’hanno portato a compiere un gesto tanto estremo.
Morozzi se la prende comoda, parte dagli anni Ottanta, dalla gioventù del protagonista, da una Bologna borghese intrisa di valori morali e assurdi paradossi. Con uno stile che cattura e ammalia, pagina dopo pagina, Gianluca ci accompagna nelle notti insonni del ragazzo, ricordi intrisi di immagini inquietanti che attingono dal quotidiano e dalla cronaca più nera di quegli anni. L’incidente di Vermicino, la strage di Bologna e poi le estati trascorse in Riviera, i primi concerti, le musicassette con le tracce montate in modo da far colpo sulle ragazze e poi le canne, l’alcool, le fughe da quella scuola bigotta, i giubbotti in pelle, e le corse in motorino sui colli, L’Osteria da Vito, Guccini… Rocco, il primo scapestrato amico. Alina, il primo amore.
Pagine di una generazione che nascondono un senso di agrodolce nostalgia ma anche numerosi lati oscuri.
Crescita, scoperta, disillusione.
Sì, perché Andromeda (Giulio Perrone Editore), a differenza di quanto si possa pensare dalle prime pagine e dai pochi paragrafi dedicati alle torture, è principalmente un romanzo di formazione. Triste e cinica formazione.
Morozzi ci porta per mano lungo un trentennio di scoperte in cui è impossibile non riconoscere almeno un aspetto della nostra gioventù e lo fa con una tecnica collaudata che negli anni è diventata il suo tratto distintivo.
Morozzi ci catapulta fin da subito nell’incubo.
La sua penna è una morsa in grado di ammaliare il lettore fin dall’incipit, per poi accompagnarlo in quel lento, oscuro abisso, dove ogni informazione viene certosinamente concessa in un crescendo di tensione e twist che collideranno in un finale shock, come sempre, impossibile da prevedere.
Per chi già conosce il tratto Morozziano, leggere Andromeda sarà come fare un tuffo nel contesto delle sue opere migliori (Blackout, Radiomorte, Cicatrici...), per tutti gli altri, invece, si rivelerà una piacevole, adrenalinica scoperta, un romanzo-fiume che li terrà inchiodati fino all’ultima pagina, per poi volerne ancora, ancora e ancora…
Questo è Morozzi e per questo lo amiamo.