Intervista a Maria Borio
Quali sono i tuoi maestri (non solo letterari: cinema, musica, arte figurativa, ecc.)?
Un riferimento per me importante è Vittorio Sereni. Mi interessa anche Amelia Rosselli: non tanto per lo stile, ma per le riflessioni sul ritmo della poesia e perché il suo immaginario è vertiginosamente prensile. Gli autori da cui mi sento abbracciata sono quelli che sono riusciti a rappresentare la complessità dell’esperienza e a proiettarsi in una dimensione collettiva: fra questi, anche Iosif Brodskij e Wallace Stevens. Se dovessi pensare a una poesia che provi a fondare un nuovo presupposto della vita e dell’umano – oltre l’antropocentrismo moderno… – guarderei a una costellazione di cui Sereni, Rosselli, Stevens, Brodskij sono solo degli esempi. In generale, per me contano gli autori e gli artisti che creano una visione, che non ha nulla a che fare con la visionarietà, ma con un immaginario. Gli autori e gli artisti per cui il senso dell’umano è cruciale e che costruiscono autenticamente un immaginario nei loro lavori. Per questo sono coraggiosi molto più di tanti sperimentatori d’avanguardia o di tanti scrittori dichiaratamente engagé. Forse i miei veri maestri sono stati anche dei mezzi di comunicazione. Mi spiego meglio: sono stata portata dentro la letteratura grazie a audio-libri e film di animazione quando ero bambina. C’è stata una forma di linguaggio istintiva prima della riflessione della lettura. Ciò che vedevo e sentivo mi faceva pensare a un immaginario che non si risolveva in ciò che vedevo e sentivo. Non mi accontentavo, e non appena ho potuto ho cercato il linguaggio ulteriore: la parola. Ma ricordo tutte le immagini e le storie che mi figuravo guardando e ascoltando, come uno stato primordiale della letteratura. Chissà come si forma uno stato primordiale della letteratura oggi, in un mondo dove l’accesso agli audio e ai video è molto più facile? Se ci penso bene, è proprio in questo stato che si può capire che la letteratura è davvero una cosa normale nel senso che appartiene all’esperienza e così forma l’immaginario. Oggi si usa spesso il termine “narrazione” in tanti contesti che non riguardano la letteratura: la narrazione della migrazione, della violenza, dell’ecologia, del capitalismo, la narrazione di… come una formula applicabile a ogni aspetto della vita. Qualcuno ha portato la letteratura fuori da se stressa, oppure ha portato la vita dentro la letteratura (d’altra parte in una dimensione virtuale tutto si potrebbe letteraturizzare…)? Ma questo non rivela qualcosa di molto più naturale? Di una cosa sono certa: riconoscere, a un certo punto della vita, da adulti, come si è formato in noi e come si è evoluto quello stato primordiale della letteratura è una cosa stupenda per l’essere umano.
Quali poeti della tua generazione senti affini (per temi e/o scelte formali)?
Non ho avuto la fortuna di appartenere a un sodalizio, come quelli attorno a cui si formano ad esempio le riviste. Ho conosciuto i poeti della mia generazione relativamente tardi: loro già erano aggregati, in qualche modo ogni area geografica aveva ancora il suo stile d’elezione, come una corsia preferenziale. Sto parlando di circa dieci anni fa, quando l’antropologia dei social network era agli inizi e le confraternite in loco, magari sorte da amicizie universitarie, avevano un respiro che, con gli occhi di adesso, mi sembra davvero speciale. La solitudine mi ha portato alcuni svantaggi – come non essere mai restata fino a tardi a leggere insieme ai sodali, a confrontarmi, a cancellare o aggiungere in un testo la parola che un amico può consigliare – e alcuni vantaggi: soprattutto, non sentirmi ideologicamente legata a nessuna poetica a cui si può aderire in modo teorico, ma non carnale. A venticinque anni avevo paura di riconoscere davvero il valore degli autori da cui stavo imparando e, al tempo stesso, mi sentivo libera di imparare da tutti. Tutti i miei coetanei erano un serbatoio, a volte più dei maestri: dai maestri si impara per discendenza o autorità (che la si voglia contrastare o meno), dai coetanei si impara nel farsi di un processo creativo e esistenziale in cui si è insieme sul campo, pronti a passarsi la palla o a puntare all’avversario. Ho sempre letto i miei coetanei per sentirmi meno sola. Perché con i grandi maestri, alla fine, una volta chiuso il libro, non ci si sente sempre un po’ soli? Credo di aver sentito affinità con un pezzetto di stile di ciascuno dei miei coetanei. So che può sembrare molto strano. Sono nata in un tempo in cui lo scontro delle ideologie – tipo Sanguineti vs Montale – non è più così acceso, le ideologie letterarie di per se stesse erano diventate flebili, e allora anche in chi era così diverso da me trovavo quel frammento luminoso, caduto magari dal mio caleidoscopio, che stavo cercando. Questo non vuol dire che non abbia i miei gusti e che non ritenga che alcuni libri e alcune forme siano più giuste e autentiche di altre. Ma l’amicizia fra sodali, quella profonda, sì, mi è sempre mancata.
Cosa cambieresti del panorama poetico di oggi?
Sento una mancanza di lettura, di riflessione e una sottostima istituzionale e professionale della poesia. La poesia è una parte “normale” della vita, non dovrebbe essere considerata al di fuori della consuetudine. Se dico “al di fuori” intendo: difficile, strana, avulsa dalla pragmatica, non produttiva. La realtà è anche la poesia, la poesia è anche un modo per farci pensare meglio la realtà. Per questo alla poesia si deve sempre chiedere tanto, non ci si può accontentare, non è una didascalia dei sentimenti o del linguaggio. È un modo per stare al mondo intensamente, a cui si deve rispetto.
Se potessi scegliere un secolo e un contesto poetico, quale sarebbe? Cosa ruberesti?
Sono felice, come donna, di appartenere a questi anni – e non solo per la letteratura. A volte immagino come avrebbe potuto essere la mia formazione se, tra tutte le opere dei secoli passati, avessi potuto leggere e studiare in modo quantitativamente equilibrato autori e autrici. Immaginate un Dolce Stil Novo in cui ci sia una corrispondenza di sonetti fra Dante e Beatrice?
Una lettura del genere è un privilegio impossibile. Ma forse tra centinaia di anni, se ancora la specie umana sarà sulla terra, qualcuno potrà essere più fortunato di noi – e non solo per la letteratura.
Chi è Maria Borio
Maria Borio, poeta e saggista, ha scritto le raccolte Vite unite (in “XII Quaderno di poesia italiana contemporanea”, Marcos y Marcos 2015), L’altro limite (pordenonelegge-lietocolle, 2017) eTrasparenza (“Lyra giovani”, Interlinea, 2019), e le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui (Marsilio, 2018). Cura la sezione poesia di «Nuovi Argomenti».
Ph. Credits: Dino Ignani | https://www.dinoignani.net/maria_borio.html