Muruaneq cafè, una rubrica di Davide Morganti
La grande fuga, l’ultimo romanzo di Ulf Stark
La morte e l’infanzia potrebbe chiamarsi l’ultimo libro dello scrittore svedese Ulf Stark, deceduto nel 2017 (La grande fuga, illustrazioni di Kitty Crowther, Iperborea, tr. It. Laura Cangemi, pag. 154, euro 12) dove si racconta di nonno Gottfrid e del suo nipotino Ulf che, grazie a una bugia del bambino, scappano verso l’isola dove il vecchio era stato felice con sua moglie, ormai scomparsa; l’uomo è ispido, addolorato dalla solitudine e dall’indifferenza del figlio (il padre di Ulf); la loro fuga è un gioco, un sogno, un desiderio che si realizza, un atto ultimo.
La vecchiaia e l’infanzia, descritte con burbera felicità dall’autore, sono fine e principio che vengono allontanati senza che questa distanza appartenga davvero alla loro natura; la complicità di nonno e nipote è raccontata con linguaggio semplice, affettuoso che mantiene allo stesso tempo lo stupore del piccolo Ulf; le illustrazioni della disegnatrice belga sono essenziali, infantili, ricreano un mondo, quello che parte dai bambini, che di continuo si perde tra adulti a disagio nel loro ruolo. I dialoghi sono continui, fitti, travolgenti, spesso buffi, vanno dritti alla storia, provocano contrasti, complicità, sotterfugi e tutto avendo sempre ben precisa la meta finale.
“Le bugie non finivano mai. Appena te ne inventavi una azzeccata bisognava trovarne un’altra per non tradirsi sulla prima. E così si andava avanti finché non veniva fuori un mondo intero di bugie. Meno male che la mamma mi aveva letto tante storie quando ero piccolo e che ero diventato un campione nell’inventarmi le cose. Mio padre sarebbe stato più difficile da convincere. Ci teneva molto, alla verità. Bisognava essere preparati”.
Opera di tenera complicità dove le bugie perdono la loro ipocrita pesantezza moralistica per farsi creazione e salvezza, necessità e cura, se Ulf avesse avuto la coscienza pelosa di Lisa Simpson suo nonno mai avrebbe potuto realizzare il suo ultimo sogno, distrutto dal desiderio di esibire rettitudine; il libro di Stark, con garbata ironia resa in maniera egregia dalla piacevole
traduzione di Laura Cangemi, parla di morte e solitudine, di incomunicabilità e desiderio di comunicare, c’è un brio malinconico, specie nelle pagine finali, che rincuora e sostiene il conforto che gli uomini dovrebbero provare ogni volta che si incontrano.
“Era così si era rotto il femore la prima volta, una notte di febbraio a venti sotto zero. Invece di vestirsi davvero, si era soltanto messo il cappotto e aveva infilato i piedi nelle pantofole. Tornando indietro era scivolato su un lastrone di ghiaccio e aveva dovuto strisciare nella neve fino alla porta del vicino per chiedergli aiuto, visto che non riusciva ad arrivare alla maniglia di casa sua”.
La secchezza della prosa di Stark raggiunge l’obiettivo di tracciare figure nette così che il lettore possa vedere, sostenuto dalle affettuose illustrazioni di Kitty Crowther, le loro vite, la loro intimità, il loro futuro; il disegno finale, che racchiude un intero percorso di vita, è dello stesso scrittore, inno all’amore, all’unione, alla vicinanza soprattutto quando il tramonto ti cambia la faccia. Libro sulla vecchiaia, dunque, e sull’importanza per i giovani e giovanissimi di quelli che una volta venivano chiamati vecchi; libro che dichiara il suo amore per l’umanità sorda per troppo rumore, quello che la rende sola.