Emanuela Cocco: la parola che incide la carne
recensione di Silvia Guberti
Ci sono libri per tutti, quelli che tradizionalmente vengono definiti “opere commerciali” e che per vendere, appunto, devono essere trasversali, ammiccare, trovare il consenso un po’ qui e un po’ là. Nulla di male.
E poi ci sono i libri della Cocco. Non ammicca, lei, non cerca facili prese. Trofeo non è un libro per tutti. È almeno un 7° grado nell’arrampicata, non una cosa su cui procedere senza farsi prendere un po’ dal timore e dalla vertigine. Non scrive, la Cocco, incide. La parola è un bisturi e lei è un chirurgo, anzi, un neurochirurgo.
Difficile dire qualcosa della trama senza spoilerare. La storia che racconta è quella di un serial killer solo in modo incidentale, tuttavia abbastanza perché possa raccogliere una bella fanbase tra gli amanti del true crime. Non è tuttavia lui a narrare, non è il suo punto di vista che ci interessa. Qui sono i trofei a parlare, e tra i trofei “il” Trofeo. L’ultimo arrivato, l’ultimo a trovare posto nel cassetto degli oggetti da collezionare.
Il cambio di prospettiva sballa tutto, ci mette scomodi. Le cose-persone (i trofei) si interfacciano con una persona-cosa (l’assassino). Chi è cosa, dunque? Ci sono le vittime, c’è il carnefice, ma c’è anche qualcosa nel mezzo. E in questa terra di mezzo, in cui il trofeo diventa vivo attraverso le parole della vittima, attraverso il sangue e la sua trama mischiati, nasce qualcosa che assomiglia a un sentimento (amore? bisogno?) in un deserto in cui amore non ci dovrebbe essere.
Non ti puoi distrarre, leggendo Trofeo – ma la cosa viene più che naturale, ti prende alla gola, non ti molla: le parole sono importanti, da prima all’ultima. Sono il fondamento, per spingersi all’estremo. Parole che si imparano, che finalmente danno la voce, che fanno esistere le cose per davvero.
Ti piaceva illuderti. La tua voce mi confonde e mi sfinisce. Dice le cose che desidera, le dice come implorando mentre sa che non sono vere. Per farle diventare vere deve salire di tono verso vette altissime, acuti impareggiabili che però le fanno steccare. Per essere vera, questa voce, ha bisogno di uno sforzo di immaginazione enorme.
Ho avuto bisogno di due letture, perché dopo la prima avevo ancora sete. Avevo capito tutto? Il senso era tutto lì? Ne dubitavo. E infatti c’era da andare oltre, da cogliere nuove sfumature. Trofeo non è solo narrativa, lambisce le sponde della poesia, e come la poesia ambisce alla rilettura.
Non parlerò degli influssi, di quali autori ci rivedo dentro. Altri lo hanno già fatto molto bene, ma cosa più importante, lo ha fatto l’autrice a fine testo. Ci lascia una cartina, una mappa per seguirla, che è anche un atto di amore, a mio avviso. Verso gli autori che vuole diffondere, verso i suoi lettori che indirizza. Un po’ come quando la nonna ti dice: hai mangiato? Ci sono le polpette nel frigo. Ecco: hai letto? Be’, per te ho selezionato questo e questo, con amore.
Emanuela Cocco, dark lady della letteratura italiana, ha in realtà un cuore grande così.