Intervista a Emanuela Cocco

di Silvia Guberti

Correva l’anno 1964 e Rizzoli pubblicava I maestri del racconto italiano (con fascetta indicante: “Il meglio da Verga ai nostri giorni”). Costo del volume: 5000 lire, circa 55 euro dei nostri giorni. Un prezzo non indifferente per un libro di narrativa, antologia di racconti o romanzo che sia.

Sorvolando sulla qualità indiscutibile dei racconti presenti nel volume (con autori che vanno da Svevo a Calvino, Moravia, Brancati, Manzini, Mastronardi, Bianciardi, Pavese, Gadda, Serao, ma potrei continuare ancora molto), è un’altra la vera chicca di questo volume: l’introduzione di Elio Pagliarini e Walter Pedullà, che contiene un excursus sulla storia del racconto, da cui emergono alcuni elementi interessanti.

Primo fra tutti, la definizione di racconto come “genere stilistico tipico della prosa narrativa italiana del Novecento”, (e dunque come è mutata questa percezione, già alla fine del Novecento e fino a oggi?); in secondo luogo la definizione di racconto come qualcosa di più arduo del romanzo, che si gioca in poche pagine il tutto per tutto, dove l’eventuale incapacità dello scrittore non può essere mascherata (e quindi perché c’è questa inconfessabile idea che il racconto sia solo un mezzo per arrivare a un fine?).

Dalla seconda di copertina:

«[…] racconto è in letteratura un genere arduo, nella misura in cui ardua è ogni prova che s’esaurisca nel gesto, nel colpo d’occhio, nel flash, insomma nella cosa vista e colta quasi fulmineamente, senza pentimento e senza via d’uscita, bersaglio da tiro di precisione. La “bravura” d’uno scrittore – è stato detto – si valuta nella breve occasione del racconto: la sua capacità di cogliere a volo una verità indimenticabile, di fermare il momento una volta per sempre.»

Di questo e di altre suggestioni voglio parlare con Emanuela Cocco, scrittrice, editor e curatrice editoriale della collana tReMa, edita da Edizioni Arcoiris, quattro volumi di racconti neri, inquietanti, weird. Un’operazione editoriale coraggiosa che ha il duplice merito di riportare l’attenzione sulla forma racconto e di scovare voci emergenti, accanto a quelle di autori già noti non solo nell’ambito delle riviste letterarie.

 

Ritorno-a-hanging-rock-copertinaS: Pagliarini e Pedullà sostengono che il racconto rispecchia più del romanzo la velocità della vita che viviamo, (e io mi trovo d’accordo) così come le serie TV lo fanno forse più del cinema, eppure le grandi case editrici sembrano immuni al fascino di questa forma di testo, a meno che non si tratti di notissimi, Carver, Hemingway e pochi altri.

Perché c’è questa sorta di diffidenza verso la pubblicazione di racconti?

 E: Negli ultimi anni mi pare che le cose stiano cambiando, penso all’esperienza felice di “Racconti Edizioni”, che pubblica esclusivamente racconti, ma anche a esordi di autori italiani contemporanei che partono proprio con una raccolta di racconti, Alessio Mosca appena uscito per Nottetempo con “Chiromantica medica”, per citarne uno appena uscito, e penso anche alla riscoperta di autori di racconti come Francisco Tario, sto leggendo in questi giorni “ Fra le tue dita gelate” (Safarà) e sono racconti splendidi, senza tempo. Non so se il racconto rispecchia la velocità della vita, in realtà a me fa pensare a un fermo immagine, un semplice frame nella linea di una storia, mentre il romanzo è un lungo piano sequenza, un un complesso montaggio di vari piani, inquadrature, movimenti di macchina. Ma poi non riesco a generalizzare quando parlo di racconti, perché autori molto diversi danno al racconto un’accezione diversa. Penso alle istantanee di Katherine Mansfield, alla resa precisa e veloce di un gesto che rivela un carattere, o alle novelle di Chechov con quelle ampie digressioni sulla vita, la morte, la gioia e la disperazione, e trovo il senso di interi romanzi in quelle trame contratte, così come se penso a un lungo racconto di Hubert Selby Jr (“Il cappotto”) mi sembra di aver letto a tutti gli effetti un romanzo. Ci sono tante di quelle operazioni testuali che si possono compiere all’interno di un racconto o di un romanzo che alla fine non riesco a far stare la mia idea dentro delle categorie precise, ci ho rinunciato anni fa.

 

S: A questa mancanza di sostegno al racconto da parte della maggioranza dei grandi editori, corrisponde invece un’iperproduzione di testi, con risultati spesso mediocri, da parte di autori che vogliono farsi largo nel mondo letterario (ho la sensazione che il racconto rappresenti più un mezzo che un fine, una tappa obbligata per approdare al romanzo). Da cosa credi dipenda la facilità con cui ci si approccia al racconto?

 E: Leggo molti racconti sulle riviste, è vero molti sono mediocri, ma tanti altri sono piccoli gioielli. Forse la facilità deriva da un fraintendimento, la convinzione che un testo breve sia più abbordabile di un testo lungo e con un tempo di scrittura ampio. In realtà la prosa scadente brilla come una mina sulla pagina, basta poco per scovarla. Chi congeda un racconto dietro l’altro senza curarsi della sua coerenza, bellezza, della sua capacità di ammaliare e irretire il lettore (o di qualsiasi altro mandato si voglia affidare ei propri testi) manca di rispetto al lettore ma ancora di più a sé stesso come autore, chi glielo fa fare? Non esiste una raccolta punti per quanti racconti riusciamo a piazzare, mi pare. Per quello che mi riguarda ne scrivo pochi e faccio uscire di casa solo quelli di cui sono convinta.

 

S: Leggo molti racconti di esordienti e ho la netta sensazione che vi sia confusione su questa forma letteraria; spesso i testi assomigliano più a pagine di diario o a dissertazioni su alcuni temi – in particolare il tempo che passa, non ci sono più i bei vecchi tempi e così via.

Quali pensi che siano gli elementi che fanno di un racconto un racconto?

 E: Mi ripeto, non ci sono elementi fissi. Nessuno vieta che una pagina di diario non possa diventare un racconto perfetto, Cortázar lo ha fatto più volte, tanto per fare un solo nome, il primo che mi viene in mente. Credo che ogni pretesa di classificare in modo netto una forma letteraria sia destinata allo scacco. Il testo detta la sua legge interna, trova la sua forma, posso perdere mesi a stabilire cosa non è un racconto e poi trovare subito l’autore formidabile capaci di smentirmi senza nessuna fatica. Le categorie mi interessano poco, spesso drammaturgia, poesia e narrativa convivono senza nessun problema, e così nel racconto si rispecchiano le architetture del romanzo e il romanzo organizza i suoi movimenti mutuandoli dal racconto, la trovo una cosa bella e giusta.

 

club-silencio-copertinaS: È impossibile parlare di racconti senza sconfinare nel mondo delle riviste letterarie, ambito privilegiato di pubblicazione. Credi che le riviste stiano in qualche modo plasmando una certa idea di racconto, o che abbiano una qualche influenza su quello che sarà il racconto del futuro?

 E: No, non penso sia così. Certo ci sono riviste con un’identità precisa, attorno alle quali si riunisce un modo di fare racconto, non posso non citare “Verde rivista” per prima cosa perché è stato lì che per la prima volta ho sentito che la mia scrittura veniva completamente accolta, ma anche perché su questa rivista ho trovato molti dei più bravi autori di racconti che poi ho chiamato a partecipare a tReMa, uno tra tutti Paolo Gamerro.  Poi sì ci sono riviste che propongono una e una sola frusta idea di racconto, che magari io trovo anche deludente e quelle smetto di leggerle. Ci sono stilemi, stereotipi che si tramandano di racconto in racconto in certe riviste, ci sono riviste che pubblicano qualsiasi cosa, poi ci sono riviste che hanno una loro personalità, che sono belle, serie e che continuo a leggerle con amore. Ne cito una sulla quale non ho mai pubblicato ma che ha tirato fuori autori sempre interessanti: “inutile”. Alcuni autori di tReMa vengono anche da lì.

 

S: Arrivando a te e alla tua attività di curatrice della collana di racconti tReMa, di cui è da poco uscito il secondo volume Club Silencio. Di solito letteratura e cinema sono legati da un filo che porta dalla prima al secondo, si parte dal libro per arrivare al film o alla serie, mentre tu hai fatto esattamente l’opposto. Come ti è venuta questa idea?

 E: Per me cinema e letteratura vanno insieme. Ragiono sui movimenti del testo come fossero movimenti di macchina, soluzioni di montaggio. Le parole costruiscono immagini, gli effetti cinematografici possono essere restituiti in letteratura. Nel caso della collana volevo dare un messaggio molto chiaro e immediato al lettore, volevo dirgli: qui troverai autori che scrivono in modo molto diverso tra loro, ma l’atmosfera nella quale sono immerse le storie e quella di questo film. I film che ho scelto sono film che hanno un carattere e una bellezza che trovo difficile mettere in discussione. Sono una sorta di lancio visivo del libro. Nel quinto libro di tReMa, dedicato a Fassbinder, il film di riferimento è “Martha.” di Rainer Werner Fassbinder, tratto dal racconto “For the Rest of Her Life” di Cornell Woolrich. È stato il mio primo film di Fassbinder. Ricordo che vidi la locandina al cinema, c’era il volto di Margit Carstensen, questo volto bellissimo e disperato di una donna che occupava quasi pe intero la locandina, una donna che indossava una corona di spine. Poi c’era sotto un’altra foto di scena, la donna era sulla sedia a rotelle e un uomo, dietro di lei la spingeva. E l’uomo era Helmut Salomon, per me indissolubilmente legato al film “Peeping Tom” di Michael Powell e io rimasi immediatamente affascinata dalla storia. Sapevo in un certo senso già tutto: sadismo, paura, sopraffazione, violenza nella relazione, amore e morte, che poi è un distillato del cinema di Fassbinder. Ecco io vorrei dare sempre al lettore un’esperienza simile, un primo impatto forte con il libro che hanno tra le mani, vorrei dirgli: anche a una prima occhiata sai di cosa parleremo, più o meno. Per questo devo però ringraziare Claudia D’Angelo, che cura tutte le copertine della collana e che sta creando delle immagini inquietanti ma anche evocative e chiare.

 

S: Le contaminazioni tra forme d’arte differenti continuano con le illustrazioni di Cristiano Baricelli e Sergio Caruso. Al di là della bellezza delle illustrazioni (splendidamente inquietanti quelle di Ritorno a Hanging Rock, che ho già potuto leggere), perché hai deciso di aggiungere una componente figurativa al volume?

 E: Di questa scelta e in genere del rapporto tra illustrazione e letteratura ne discuto spesso con Pierpaolo Di Mino e Veronica Leffe, anche alla luce dello splendido lavoro che loro stanno facendo con Il libro azzurro (se non sapete cosa sia andatelo a cercare ve ne prego) e alla fine insieme siamo arrivati alla conclusione che l’illustrazione non illustra un bel niente ma crea, nomina, dice, fa la sua parte, è un linguaggio e non è subordinato al testo ma lo amplia, è un’ulteriore presa in carico del senso della storia, del racconto, che può anche uscire fuori da quanto il racconto circoscrive. Insomma, le illustrazioni sono ulteriori racconti sinistri a volte raccapriccianti, e tReMa non sarebbe la stessa cosa senza queste opere, come un controcampo della storia, un nuovo punto di vista che muove al pensiero, e, ovviamente, alla paura.

 

S: So che hai selezionato gli autori personalmente tra quelli di cui, negli anni, hai seguito e apprezzato l’opera. Hai già individuato chi contribuirà agli ultimi due volumi della collana? Puoi darmi qualche anticipazione?

 E: Sì gli autori di tReMa sono autori che leggevo da anni, più alcune nuove felici scoperte. I prossimi due volumi, non saranno gli ultimi perché sto già lavorando per il quinto libro, che è questo di cui ti ho appena parlato, dedicato a Fassbinder. Il terzo e il quarto volume affrontano, invece altre due tappe importanti della letteratura dello orrore, e del sinistro: le case infestate, i luoghi maledetti, e la necrocultura, il rapporto tra i vivi e i morti. I due film di riferimento saranno quindi: “Shining” di Stanley Kubrick e “Vertigo” di Alfred Hitchcock. Il terzo volume sarà illustrato da Angelo Mennillo e gli autori (li devo citare tutti, per non fare torto a nessuno) saranno: Dario De Marco, Veronica Galletta, Francesco Follieri, Romeo Vernazza, Pierpaolo Di Mino con Veronica Leffe, Micol Beltramini e Angelo Mennillo, Cristiano Saccoccia, Simone Lisi, Luca Mignola, Andrea Frau, Andrea Zandomeneghi, Arturo Belluardo, Claudio Morandini, Fabrizio Lucherini, Marta Cai, Gabriele Scalessa. Prefazione e postfazione saranno a cura di Andrea Cafarella e Paola Del Zoppo. Ospite per la narrativa straniera sarà Francisco Megallanes. Mentre il quarto libro sarà interamente illustrato da Veronica Leffe e tra gli autori avremo: Andrea esposito, Carmen Verde, Lucio Besana, Stefano Felici, Orso Tosco, Laura Bucciarelli, Beatrice Galluzzi, Antonio Esposito, Lucio Leone, Eric Delerue, Sara Verdecchia, Simone Sauza, Luca Marinelli, Chiara Lecito, Lorenzo Vargas. L’ospite sarà Manuel Moyano Ortega. Con i contributi critici di Walter Catalano e altri in via di definizione. Le copertine saranno, come sempre, a cura di Claudia D’Angelo. Sul quinto volume, per ora, non anticipo nulla ma sto già lavorando con alcuni autori.

 

 S: So che sei anche un’insegnante di scrittura creativa. Se dovessi consigliare ai tuoi studenti 3 racconti che ogni aspirante scrittore dovrebbe aver letto, quali sarebbero?

Emanuela Cocco

Ho impiegato ore solo per rispondere a quest’ultima domanda. I titoli sono troppi quindi rispondo così senza pensare oltre. Per prima cosa, oltre i tre titoli, non posso non citare Alberto Laiseca e i suoi racconti, uno scrittore argentino che ammiro, e che invito a leggere perché ha il potere di rendere la materia narrativa incandescente, oltre a farti pensare che ci vuole coraggio e irriverenza quando ci si approccia alla scrittura. Quindi sicuramente “Uccidendo nani a bastonate” (Edizioni Arcoiris, traduzione di Loris Tassi e Lorenza Di Lella) ma anche “Grazie Chanchúbelo” (Wojtek, traduzione di Loris Tassi). Oltre all’imprescindibile Laiseca, ecco i miei tre consigli:  “Michael Kohlhaas” di Heinrich von Kleist per capire cosa vuol dire impeto e assalto in letteratura e cosa significa maneggiare, ai fini del racconto, un vero straziante e insopportabile dilemma morale. “Tonio Kröger” di Thomas Mann, per chiedere a sé stessi perché si scrive, e dove risiede il paese della nostra nostalgia. “Consigli alla piccola Peyton” di Dorothy Parker, per vedere la grazia e l’intelligenza all’opera, per sentire come un racconto ben scritto può riconciliarci con la parte di noi che sentiamo deficitaria e per constatare che a volte le situazioni più drammatiche sono anche le più esilaranti.

 

EMANUELA COCCO 

Emanuela Cocco è editor freelance e direttrice editoriale di “tReMa”, collana di letteratura nera, sinistra e perturbante, pubblicata da Edizioni Arcoiris. Ha fondato SCRIVERE DI NOTTE (contro)Scuola di scrittura, è tra i fondatori di Terra di nessuno, spazio di critica della drammaturgia. Ha scritto per il teatro e per la televisione, come autrice e come critica.  Ha pubblicato drammaturgia, racconti e saggi di analisi letteraria su diverse riviste. Ha collaborato come lettrice con il Premio Italo Calvino. Collabora con la rivista Carmilla.  “Tu che eri ogni ragazza” (Wojtek) è il suo primo romanzo.

 

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