Topografia, di Sylvie Richterová
La recensione di Davide Morganti
Leggere Sylvie Richterová significa affrontare il senso del tempo, la scrittrice cèca provoca infatti reazioni continue alle parole che si disseminano sulla pagina seguendo il principio della fisica quantistica che il tempo lo annienta e non lo celebra. Il romanzo “Topografia” (Rina Edizioni, pag. 200, tr. It. Caterina Graziadei e Sylvie Richterová, euro 20) non ha una trama precisa se non, forse, nella prima parte quando narra di una famiglia cecoslovacca che parte per le vacanze in Jugoslavia, prima di allargarsi a capitoli che non partono dall’uomo ma dalle cose. La scrittrice, la cui prima edizione del presente romanzo oggi rivista è del 1981, dopo aver pubblicato in samizdat negli anni Settanta e Ottanta nella Cecoslovacchia comunista, abbatte l’antropocentrismo della letteratura e la sposta di lato.
“La mia fine è tranquilla, silenziosa, nulla di drammatico, nulla di estremo trovava mentre si coricava un mezzo minuto prima del giorno precedente. Dalla città erano scomparse tutte le persone, le case e gli oggetti erano rimasti intatti”.
La scrittura della Richterová ha un doppio aspetto: concreta e spirituale, è la ricerca di nuove visioni che il tempo non comprende. L’aspetto romanzesco è secondario anzi viene meno del tutto, disintegrando il canone ottocentesco che ha imposto di nuovo la sua legge nei romanzi monodirezionali con tanto di istruzioni per l’uso (“il personaggio deve crescere”, per esempio, è il mantra isterico delle scuole di scrittura) del XXI secolo. Richterová attraverso le parole, fatte di illuminazioni e di improvvise memorie autobiografiche, ricerca altro.
“Hanno tanto desiderato che tutto questo uscisse fuori dal tempo. In uno spazio eterno, trasportato nei secoli dalle parole. Anche io volevo che fosse possibile. passarvi attraverso senza incidenti. Non già per un insegnamento. Piuttosto per comprendere, per prendere. Baleni di luce, in certe circostanze, indescrivibili. Nella coscienza di solito chiusa dentro spesse pareti nere, incorniciate dalla mancanza di luce. La domanda da dove dovrebbe venire quella luce: non si deve avere buio negli occhi”.
Il tempo, dunque, così inconsistente, è fatto di tanti cunicoli che bisogna scavare come talpe per poter cercare oltre il buio che copre di continuo la vita degli uomini. Il viaggio e gli incontri dei protagonisti dello splendido romanzo sono soprattutto temporalità che non sempre coincidono tra loro. C’è una metafisica potente, una raffinata filosofia della parola che, in senso cristiano, si fa via. Al di là dei gustosi episodi che vengono raccontati, Richterová restituisce alla parola la sua forza anagogica, partendo dalla brutale presenza della dittatura novecentesca si affaccia sulla Trascendenza.
“Mi manca ormai solo la parola che non ho mai udito. Solo le parole che non so”.
A differenza di Wittgenstein, che invitava a tacere sull’Oltre, Richterová vede le parole come luoghi che aprono altri luoghi, solo che non sempre si incontrano. “Topografia” è un romanzo che si legge come un libro di mistica e come un libro di persone che imparano a essere umani attraverso le cose, quelle piccole, molto più vicine all’invisibile.