SalTo18
intervista a Giovanni Lucchese
Dopo il breve video pubblicato nei giorni scorsi sulla nostra pagina Facebook in cui abbiamo presentato Giovanni Lucchese, che con Alter Ego ha pubblicato il romanzo “Questo sangue non è mio” e la raccolta di racconti “Pop Toys”, vi proponiamo ora il resto dell’intervista all’autore che a dispetto delle indubbie doti artistiche nella vita fa tutt’altro.
Caro Giovanni, raccontaci qualcosa di te.
Vivo a Roma, sono del ‘70, anche se per un errore di stampa sul libro è scritto ‘79, e quasi quasi faccio correggere gli altri e questi nove anni regalati me li tengo! Nella vita “normale” faccio un lavoro completamente diverso e tutt’altro che artistico: sono un analista dati, quindi passo tutte le mie giornate davanti al computer. Tuttavia ho una parte artistica che si è sviluppata pian piano nell’arco della mia vita, prima da spettatore che da autore, con il cinema, con la musica, sono un grande divoratore di film, di libri, di ogni forma di espressione e poi negli ultimi sei/sette anni ho deciso di iniziare a raccontare qualcosa che fosse mio. Ho frequentato una scuola di scrittura, la Scuola Omero, e lì ho iniziato a credere nelle mie possibilità. Sai, quando siamo nelle nostre case a scrivere ci sentiamo tutti Hemingway, è confrontandosi, avendo un feedback da qualcuno di competente che le cose cambiano. Adesso sto puntando a concentrarmi su questo nuovo aspetto della mia vita, anche se viviamo in un Paese in cui è molto dura.
Ecco, appunto: di scrittura, secondo te, si può vivere?
Magari! Se mangi molto poco, non ti vesti ed hai una casa di proprietà forse sì. Credo che sia molto difficile vivere di sola scrittura, a meno che lo scrivere libri non ti porti poi a qualche altro ambito collegato, a scrivere su un giornale, a fare l’opinionista in televisione… Ripeto: se fai una buona dieta, forse per qualche mese ce la fai.
Come è nata l’idea di scrivere e successivamente questo noir?
La mia passione per la scrittura è nata da bambino, dal fatto che sono sempre stato un lettore compulsivo. Dovendo scegliere un modo in un esprimere il mio lato artistico la scrittura è stata la scelta più naturale. D’altronde le storie le inventavo già da bambino, non le scrivevo, ma le raccontavo ai miei genitori, passavo le ore a raccontare loro favole o mondi che mi inventavo. Mi sono reso conto con il tempo che quando scrivi alla fine scrivi sempre un po’ di stesso, di quello che hai dentro. All’inizio credi di raccontare storie che riguardano altre persone o che tu hai inventato, in realtà penso che tu stia semplicemente rielaborando qualcosa che ti portavi dentro. Forse ho espresso questa cosa in maniera concreta un po’ tardi, però tanto in Italia se non hai almeno quarant’anni non sei uno scrittore serio, quindi l’età è perfetta.
Quanto è importante leggere per uno scrittore? I dati dicono che si pubblicano moltissimi libri ogni anno, ma si legge molto meno…
Per uno scrittore leggere è importantissimo. È come se uno volesse fare il calciatore e non avesse mai assistito ad una partita di pallone. Io penso che prima uno debba essere un lettore, e solo dopo uno scrittore. Leggere permette di acquisire competenze linguistiche fondamentali.
A proposito di formazione, secondo te è importante frequentare dei corsi o il talento è tutto?
Il talento è di certo un dono, ma se non è educato, se non acquisisci i mezzi per gestirlo non hai la possibilità di utilizzarlo nella maniera giusta. Sono rarissimi i casi di talenti puri ed in ogni caso è facile bruciarsi senza le giuste competenze. Più talento c’è più, più è necessario gestirlo.
Leggendo il tuo libro ho apprezzato molto la costruzione dei dialoghi, che ho trovato molto realistici, in un libro che peraltro è fondato quasi esclusivamente sul dialogo. Quanto è stato difficile scriverli?
C’è qualcuno a cui Giovanni Lucchese si ispira?
Personalmente adoro lo stile di Chuck Palahniuk, adoro la sua capacità di farti credere alle cose più assurde. Delle storie come le sue le inventa solo lui. Te le fa proprio vedere, non sta lì a spiegarti le cose. Mi piace molto anche lo stile di Stephen King perché spesso lascia al lettore la possibilità di dare un senso proprio, personale, alla storia. È bello che il lettore in qualche modo possa giocare un po’ con l’autore.