SalTo18
intervista ad Armando Comi
Grazie ad un incredibile colpo di fortuna riusciamo ad intercettare Armando Comi allo stand di Newton & Compton e lui, molto gentilmente, ci concede un’intervista. Con Armando abbiamo parlato della genesi del suo ultimo romanzo “I quattro enigmi degli eretici”, thriller mozzafiato ambientato nella Roma del tardo Medioevo.
Come è iniziata la tua passione per la scrittura?
La mia passione per la scrittura è nata quando ero bambino. Sono rimasto da solo in un contesto in cui non volevo stare e pur di superare quel momento ho iniziato ad immaginare di descrivere quello che stavo facendo istante dopo istante. Poi, in un secondo momento, l’ho scritto veramente.
Hai frequentato dei corsi per sostenere questa tua passione?
Quando ho vissuto a Londra ho lavorato un po’ sulle tecniche di scrittura. Ho cercato comunque di affiancare alla passione personale la tecnica, che è a mio parere fondamentale. Io lavoro in tre fasi, la scaletta, il trattamento e solo infine la scrittura. Spesso del trattamento, che è la parte più lunga, nella stesura conclusiva non finisce nulla: paradossalmente la pagina finale potrebbe non avere nulla a che fare con quella del trattamento iniziale.
Impieghi molto tempo a scrivere o scrivi di getto?
Impiego moltissimo tempo a fare la scaletta, a riempire le caselle di avvenimenti e di scene. Soltanto quando sono certo di avere la scena giusta inizio a fare il trattamento. Nel trattamento finisce un po’ tutto, anche vicende della vita dei personaggi che poi non troveranno collocazione nella stesura finale. Un po’ come faceva Luchino Visconti, che riempiva gli armadi dei suoi attori con gli abiti dell’epoca senza però farli vedere in scena. Diceva: gli attori penseranno veramente di essere in quell’epoca, perché quando apriranno i cassetti troveranno solo abiti di quell’epoca. Io nel trattamento delle mie storie faccio un po’ la stessa cosa, vi faccio confluire tutto ciò che ritengo necessario, anche se poi non troverà uno sbocco nella narrazione vera e propria. In ogni caso io so che quel materiale c’è e sono convinto che il lettore un po’ lo respiri.
Da dove è nata l’idea de “I quattro enigmi degli eretici?
L’idea è nata quando lavoravo in Università. Mi sono trovato alle prese con il profetismo medioevale, che in Italia significa confrontarsi con un personaggio come Cola di Rienzo, il quale cercò effettivamente di creare uno Stato basato su alcune profezie che venivano dal contesto esoterico e mistico di Gioacchino da Fiore. Accanto a questo già ricco filone si aggiunge il fatto che i contemporanei ritenevano che Cola di Rienzo avesse uno specchio magico. Tutto ciò mi è sembrato troppo curioso perché restasse tra gli scaffali di una ricerca accademica ed ecco che ho deciso di farlo confluire in un romanzo.
Quanto della tua vita, in termini almeno di suggestioni, confluisce nelle tue narrazioni?
È una bellissima domanda perché muoversi nel tempo significa spesso anche muoversi nello spazio, e muoversi nello spazio significa andare a visitare i luoghi dei personaggi che stai per descrivere. E quindi cosa fai? Vai a Roma e ti cali non nella Roma barocca o Seicentesca, ma in quella Medioevale, più difficile da scoprire. Ti siedi, respiri gli odori, senti le voci e quella è la tua vita contemporanea. Poi prendi quello che stai sentendo e lo catapulti nel passato provando ad immaginare quello che poteva essere un uomo di quel periodo con i pericoli che poteva vivere. Per un personaggio come Cola di Rienzo questo è stato maggiormente necessario perché si metteva facilmente nei guai e creava facilmente pericolo agli altri.
Il tuo lavoro si basa su fatti reali quindi?
Sì, il romanzo si basa essenzialmente su fatti realmente accaduti, e questo è quello che stupisce di più chi lo legge, perché alle volte si costruiscono scene esagerate pur di mantenere il lettore incollato alla pagina. Questa volta non ho dovuto creare scene del genere perché esagerato è già il personaggio di cui parlo. Quando troverete che Cola di Rienzo battezzò il proprio figlio nel sangue di un nemico sappiate che è stato proprio così, non l’ho inventato.
Quanto è importante la ricerca i quello che scrivi?
La ricerca nel mio caso è fondamentale. Io scrivo romanzi storici, che vuol dire ricostruire un’epoca, un modo di pensare, un modo di approcciarsi alle cose. Senza la ricerca un romanzo storico non può esistere.
Quali sono gli autori a cui ti ispiri?
Tolstoj mi ha messo su una sorta di montagne russe emozionali e mi sono detto: dovrei provare a scrivere come lui. Invece per quanto riguarda l’Italia il mio grande autore di riferimento è Gesualdo Bufalino.
Come si arriva a pubblicare con una casa editrice come Newton & Compton?
Ci si arriva lavorando, non ci sono scorciatoie. Credo che debbano esserci comunque una serie di ingredienti tra cui la leggibilità, paradossalmente forse la cosa più difficile è riuscire a scrivere in maniera semplice.