L’idea di un’intervista era nell’aria da un po’, ma l’occasione dell’uscita del 1° numero era troppo ghiotta per non attenderlo. Abbiamo aspettato quindi il 18 febbraio, il giorno d’esordio (eh sì, anche quelli di CRACK sono un po’ esordienti!) per fare qualche domanda, anche un po’ cattivella, ai componenti della squadra. Ma loro sono CRACK, la rivista di rottura, e quindi pensiamo di potercele permettere.
Alcuni di voi provengono dalla fortunata rivista Carie: secondo voi il mondo aveva davvero bisogno di una nuova rivista letteraria?
Il mondo forse no, ma di sicuro noi sì. Il fatto di aver lasciato Carie non ci aveva tolto la voglia fare una rivista. Perché è davvero bellissimo (anche se impegnativo) leggere e giudicare uno o due nuovi racconti al giorno, è un’attività che crea dipendenza. Poi con CRACK abbiamo deciso di mettere in ballo anche altro oltre ai racconti, perciò ci sono rubriche, interviste e approfondimenti: noi ci divertiamo e crediamo che possa piacere ai lettori trovare cose diverse nello stesso contenitore. Poi tra un po’ il mondo ci dirà se ha apprezzato.
Quali sono le discriminanti che vi fanno propendere o meno per la pubblicazione di un racconto? Quanti sono i voti in gioco?
Gli aspetti che valutiamo sono tre: valore della trama, qualità della scrittura e livello di emozionalità. In realtà sono davvero tanti i racconti che passano la prima selezione ma ci tocca essere spietati nella scelta finale perché siamo obbligati a stare in un numero finito di pagine (60-64 al massimo) perciò ne respingiamo anche di validi. Alla fine fra quelli che ci sono piaciuti scegliamo in modo da avere temi e gli stili diversi, così da offrire al lettore più varietà possibile. Abbiamo promesso di non essere mai noiosi e vogliamo mantenere la parola data.
Quanto è importante per un autore emergente cercare un proprio spazio su una rivista?
Noi crediamo che sia molto importante. Non si va alle olimpiadi se prima non si fanno le selezioni regionali perciò una rivista seria (e con seria intendiamo che faccia editing) è il primo banco di prova per uno scrittore che deve farsi i muscoli. Secondo noi pubblicare su una rivista dovrebbe aiutare lo scrittore a capire le proprie potenzialità e i limiti, e stimolarlo a migliorarsi. Se poi un racconto mandato a sette riviste viene respinto sette volte forse la domanda che l’autore dovrebbe farsi è: “ma non è che ho scritto una cosa brutta?”
Perché uno scrittore dovrebbe scegliere voi?
Oh già, bella domanda, perché? Forse perché siamo orribilmente schietti perciò agiamo seguendo i nostri gusti e se prendiamo un racconto è perché ci ha convinti davvero (per correttezza non faremo nomi ma abbiamo respinto un paio di racconti che non ci avevano convinti anche se scritti da autori già noti). O forse anche perché non ci piace prenderci troppo sul serio (anche se facciamo terribilmente sul serio) perciò il nostro approccio alla letteratura non è mai drammatico. Siamo simpatici? Facciamo casino sui social media?
Avete fatto una scelta coraggiosa, ossia quella di pubblicare CRACK non sono online, ma anche in cartaceo, nonostante i costi di stampa. Perché?
Perché siamo vintage e la carta ci piace un sacco: c’è più “consistenza” nella carta. E forse perché ci piace l’idea che un lettore entri in libreria a chiedere la sua copia gratuita di CRACK e ne esca con anche un libro.
Il numero 1 di CRACK vede poche donne pubblicate eppure a leggere, secondo le indagini di settore, le donne sono molte più degli uomini. È un caso?
Questa volta sì, il numero due, ad esempio avrà due racconti di autrici, l’intervista a un’editrice e a un’attrice in due rubriche diverse. Però lo stare nella “quota qualunque cosa” ci sta un po’ stretto come parametro. Noi si pubblica quello che ci è piaciuto qualunque sia il genere in cui l’autore si riconosce. Quello su cui facciamo attenzione è di avere in ogni numero il giusto mix di generi letterari e scritture diverse in modo da non farlo risultare troppo uniforme. Ad esempio in un numero cerchiamo di avere un solo racconto distopico, un “cuoreammore”, uno tristissimo, uno poetico, uno divertente, uno horror, uno difficile, un flusso di coscienza… se poi dovessimo anche bilanciare i generi (maschile e femminile) non ci passerebbe più.
Non possiamo esimerci dal farvi una domanda che ci ha seguito per tutti questi mesi: perché l’avete chiamata CRACK?
Perché il nome “Connessioni” ce l’ha fregato una rivista di elettrotecnici.
Ah, no? Volevi una risposta seria? Perché abbiamo voluto rompere la continuità con le riviste più classiche cercando di crearne una fortemente caratterizzata dalla grafica che avesse contenuti di alta qualità trattati con calviniana leggerezza. E perché quando Roberto, il nostro art director, ci ha proposto il logo abbiamo sentito che quella “A”, un po’ anarchica al centro di CRACK, eravamo proprio noi.