L’uccello padulo
di Giovanni Lucchese
Abbiamo incontrato per la prima volta Giovanni Lucchese al Salone Internazionale del Libro di Torino, dove abbiamo parlato con lui di Questo sangue non è mio, romanzo-viaggio nella mente di Carlotta, così si chiama la protagonista, in cui alberga L’altra, quella forte, quella decisa, quella che per la sua goffaggine prova un misto di pietà e disprezzo, quella che la farà ritrovare con le mani sporche di sangue. (Questo sangue non è mio ha poi vinto la seconda edizione di Giallo al Centro, la kermesse letteraria ideata dall’associazione culturale Macondo guidata da Roberta Giovannetti e Paola Corradini).
Tra una chiacchiera e l’altra – potete vedere come è andata nell’intervista qui sotto – abbiamo parlato anche di Pop Toys, l’opera d’esordio uscita nel 2016 sempre con Alter Ego, casa editrice che dimostra di avere sempre fiuto per la selezione degli autori e gran gusto per le copertine.
Mai ci saremmo aspettati, tuttavia, un ritorno in un tempo così breve e in una forma tanto smagliante anche se, a onore del vero, Giovanni Lucchese trasuda energia e brio da tutti i pori. Invece eccolo qui, fresco di stampa, il suo secondo romanzo, L’uccello padulo.
La storia
Gianandrea Ludovisi, detto Billo, è il giovane rampollo di una nobile famiglia romana; affascinate, viziato e totalmente dedito alla bella vita e all’autodistruzione, Billo trascorre le proprie giornate tra una festa e l’altra, spesso sotto l’effetto di droghe e alcol.
La droga è una puttana abile e generosa che alla fine ti presenta sempre un conto bello salato. Ti fa divertire, ti illude che nulla di male potrà accaderti finché resterai al suo fianco, ti lascia pensare di essere in grado di gestire la tua euforia e di poterla ripescare dentro di te quando ne avrai bisogno. Col cazzo.
Eppure, l’inferno delle droghe è a volte preferibile a una vita fatta di apparenze, relazioni scarne e menzogne dorate, come quelle che costituiscono l’humus in cui la famiglia Ludovisi prolifera.
Tutto potrebbe continuare così, nella vita di Billo, se un giorno il suo amico Skizzo non lo lasciasse in mezzo a una strada di periferia, in botta completa e senza mutande. Fisicamente senza mutande. È in questo stato pietoso che il protagonista incontra Mamma Sophie e, in seguito, la sua personale corte dei miracoli…
Queste persone hanno in comune con me più di quanto credessi. Abbiamo tutti paura di non sopravvivere, di non riuscire a tornare a casa per vedere l’alba.
L’uccello padulo
Senza svelarvi troppo, possiamo dirvi che L’uccello padulo è un viaggio attraverso la gioventù, dal basso all’alto e dall’alto in basso, senza che, a primo impatto, si possa dire quale sia l’alto e quale il basso. La prigione dorata del lusso senza alcuna prospettiva? Il degrado del marciapiede? Ciò che finisce per dare significato a un’esistenza in bilico è piuttosto la genuinità dei rapporti interpersonali che trascendono il contesto e le convenzioni, per cui diventa “mamma” (quella che comprende e che cura), chi biologicamente non ha alcuna possibilità di esserlo.
Giovanni Lucchese, in questa terza opera, sa unire la propria verve a una nuova consapevolezza artistica. Ne L’uccello padulo lo stile dissacrante e la sottile ironia, si uniscono a una riflessione, a tratti malinconica, sulla difficoltà di crescere in un tempo in cui le maschere sono state calate da un pezzo e non ci si può più nascondere dietro le apparenze. Lucchese, un po’ come un artista della Trap dà mirabilmente voce a tutta una generazione che, guardandosi attorno, sente che è tempo di lavar via i vecchi cliché a vantaggio di un trucco nuovo, manifesto, sgargiante.