Il presepe erotico
di Eugenio Maria Testaverde
Questa è una “falsa”, nel senso di minchiata va. Che non è vero insomma. Però la dico lo stesso.
Ora è Natale e tutti siamo più buoni, gentili, generosi, disponibili, accondiscendenti e cose varie. Il Natale è fare regali, regali, regali e ricevere minchiate, minchiate, minchiate. Ma anche quelli che facciamo noi sono minchiate, le cose giuste bisogna dire. E ogni anno la stessa storia: quest’anno facciamo solo pensierini, tutti d’accordo, amici e parenti, si spende massimo cinquemila lire.
Un pensierino per mia moglie:
(MANO SULLA TEMPIA PER TRE SECONDI)
Fatto!
Un pensierino per i figli – ne ho due, se lo dividono -:
(MANO SULLA TEMPIA PER SEI SECONDI)
Fatto!
La suocera! Un pensierino per la suocera:
(MANO SULLA TEMPIA PER UN SECONDO)
Fatto! No, questo costa troppo lo giro a mia sorella.
Insomma, un sacco di pensierini, tutte minchiate inutili da riciclare per la donna, la portiera ch’è vedova poverina e un pensierino le spetta, la vicina rompicoglioni, la cugina dall’America di passaggio proprio ora per le feste, ma che cazzo ci viene a fare che col traffico non ci possiamo muovere, ci mancava lei. Tutti pensierini da confezionare nella carta regalo da cinquemila a foglio. I pensierini da tremila cadauno! Impacchetta, scotcha, annastra! Impacchetta, scotcha, annastra!
Il nastro da arricciare, un dramma nel dramma. Prendi le forbici, le allarghi le cosce, incastri il nastro dorato tra la lama ed il pollice e tiri deciso. Al primo colpo si rompe il nastro, al secondo ti tagli il pollice, ma lui si affloscia irrimediabilmente: “ploff” come il pisello di un ottantenne che non ci può niente per arricciarlo. Ma come cazzo fanno i commessi dei negozi che arricciano che è una meraviglia? Vabbè certo loro sono giovani, se non arricciano loro chi arriccia, l’ottantenne? A proposito, me lo stavo scordando, il pensierino per il nonno, prima che sia troppo tardi.
(MANO SULLA TEMPIA PER UN SECONDO)
Fatto!
E non c’è bisogno di abiliarsi per il nastro che non si arriccia, con lui.
Ma il Natale comincia il sette di dicembre alle sette, in tutte le case degli italiani che si rispettino e che hanno una famiglia: la vigilia della Madonna. Maria che tragedia!
Il Natale è famiglia e la famiglia il sette dicembre si mobilita. La mia famiglia si mobilita alle sei del mattino: mia figlia si alza, si prepara in mezz’ora, lei che c’impiega non meno di tre ore per rifarsi, se ha premura, ed esce prima che la casa si svegli. E la casa si sveglia col rumore della porta che quella stronza di mia figlia sbatte quando esce. Mia moglie si sveglia e mio figlio si sveglia. IO MI SVEGLIO, ma faccio finta di dormire, voglio ritardare il momento cruciale dell’impatto col Natale, quando bisogna prendere dal ripostiglio le scatole con gli addobbi, l’albero, il presepe disfatto dell’anno prima. Dove sono messi secondo voi? In alto, in altissimo ovviamente, dietro altre venti scatole, scatolette, scatoloni di scarpe, televisori, computer, coperte, tappeti, quella scatola di quel cazzo di casco per capelli che sono dieci anni che ci ritroviamo tra i coglioni e nemmeno la portiera vuole. Nuovo nuovo, mai usato, giuro. Anzi se a qualcuno servisse glielo regalo subito.
Non c’è scritto fuori: PRESEPE, PALLE, LUCI; cazzi, mazzi e ramurazzi, no! Non c’è scritto niente nelle scatole che ci interessano. E mia moglie sale sulla scala che bestemmia scricchiolando sotto il peso piuma, mio figlio tiene la scala preoccupato che la madre gli crolli addosso e lo spalmi sul pavimento e la convince, gridando sottovoce, a scendere che sale lui. Scende lei tra le bestemmie della scala scricchiolante e sale lui. Ma nessuno dei due sa quali sono le scatole natalizie. Perché? Ma perché sono io lo stronzo che le ha posate un anno fa. Ma loro non vogliono svegliarmi, sanno che il sette dicembre mi incazzo di norma. Sempre. E vogliono ritardare il momento. Anche io voglio ritardare il momento, ma mi incazzo subito perché col loro confabulare, salire, scendere, risalire, mi hanno svegliato. E mi alzo incazzatissimo perché è il sette dicembre e mi devo incazzare di norma, e sono le sette del mattino che non dovevo neanche andare a lavorare, porca puttana! Ma è Natale e mi trattengo pregustando, sadico, il momento liberatorio in cui esploderò e farò la strage. Prima mi devo caricare bene, però, ancora è troppo presto. Mi avvio silenzioso, semidormiente, verso l’obiettivo. La scala si svuota velocemente, la famiglia si canzia come il Mar Rosso al passaggio di Mosè e io con le occhiaie semichiuse dal sonno salgo deciso la scala e in tempo niente svuoto gli scaffali più alti dello stanzino alla ricerca delle scatole giuste. L’atmosfera è un po’ pesantuccia, più delle scatole, sento addosso i pensieri ostili, accusatori della famiglia: moglie e figlio benedetti che dicono “Tu li hai conservati, se non ti ricordi che è, colpa nostra?”. Gli infami! Insomma, sono le otto e già potrei tornare a letto distrutto dalla stanchezza, ma c’è il rito delle luci. Il dramma delle luci. La prova delle luci che nelle famiglie unite del Natale spetta al capofamiglia. A me, CAZZO! Come invidio i single!
Avete presente i cespugli aggrovigliati di rami secchi di spine acuminate? Quelli lì sono la mappazza delle luci di albero e presepe. Una mappazzapeggio delle lenze dei pescatori che quando si aggrovigliano non ci può niente per districarle, neanche la pazienza di un santo e la longevità di un bicentenario. Quelle luci che non si accendono più neanche se ti scanni. Infila la spina: buio, via, buttare! Infilane un’altra: buio, via, buttare! Ma quando mai tutte queste luci hanno fatto un buio così estremo? Nelle famiglie unite del Natale avviene il miracolo: le luci fanno buio. VIA. BUTTARE! Ma no, ci sono i pisellini di ricambio, aspetta, proviamo che magari ce n’è solo uno rotto, poi questi sono quelli facili da sostituire, non sono come all’antica, con quei pisellini stronzi con le gambettine aperte stile spaccata della Fracci da giovane, che neanche a massacrarli riuscivi a fargli infilare le zampettine dentro i buchettini del portapisello. Come si chiama? Portapisello credo, come sennò? Mutanda, slip, boxer? No, no, quelli portano dell’altro, specialmente se indossati da una donna.
Comunque mi convinco. Che mi possa venire un colpo! Perché voi vi immaginate andare a scovare il pisello marcio tra cento piselli? Pisellini, scusate. Quante possibilità ho? Una su cento. Una su novantanove. Una su novantotto. Una su novantasette. Una su novantasei. Una su settanta. Una su quarantacinque. Una su ventidue. Quando arrivo sfinito ad una su una e sostituisco il pisellino guasto e infilo la spina, avviene un altro miracolo: il pisellino si accende. MA GLI ALTRI NOVANTANOVE, NO! Buttare, via, buttare, buttare, buttare, buttana della miseria. Un’ora ho perso e ci sono altre venti serie da cento pisellini tutti morti che ci vorrebbe una motrice di Viagra per resuscitarli. Manco per il pisello, ora ci vuole, mancu pu cazzu! Il capofamiglia prende la decisione drastica. Butto tutto, le luci si comprano nuove, fa bene alla salute: LA MIA. Appena finisce il Natale le butto direttamente le luci, così l’anno prossimo ci ‘accanzoun’ora.
Mi lavo e scendo. La bancarella mi aspetta come ogni anno. Compro le luci, tutte da cento pisellini, regolamentari. Ne prendo una decina, masochista. Spendo pochissimo, ormai non costano niente. Passo in cartoleria e faccio scorta di trecentomila lire di nastro adesivo di tutti i tipi. Rientro. La famiglia solerte ha sistemato tutte le palle e gli addobbi dell’albero e l’architettura e l’urbanistica del presepe è definita. Monto le luci. Tutte. Infilo le spine dentro una multipresa da tre collegata con una multipresa da quattro collegata con una multipresa da cinque. Il condominio intero rischia di andare in fumo già solo a causa del MIO Natale, figuriamoci sommando i natali di tutti e ottanta gli appartamenti. Una potenziale esplosione nucleare in agguato. Ma è Natale. Ѐ difficile che accada!
Infilo la spina principale nella presa di corrente. Ma come cazzo? Le ho provate tutte le luci prima e funzionavano, com’è che ora una serie non si accende? Ora che sono tutte intorcioniate nell’albero, ma non le smonto neanche sotto tortura. Chi se ne frega, passiamo al presepe, ch’è più tradizione dell’albero.
Avete presente i presepi no? Le pecorelline, le gallinelline, le ochettine, i pastorellini, il buettino, l’asinellino, la stella cometina, il bambinello nascosto fino al venticinque alle sei del mattino, i re magi nascosti fino al sei gennaio alle sei del mattino. Tutto c’è, falegnami, fabbri, scarpari, fornai, pescatori. A DICEMBRE, in Palestina, in mezzo alla neve, dieci gradi sottozero, c’è il pescatorino che pesca. DI NOTTE, sul fiume di ovatta e carta stagnola. E pesca cazzo! Lui pesca, ha la cesta piena di pesci lui, che io per riempire una cesta come quella devo fare quattro estati di traina e spendere cinque milioni di benzina, porca puttana.
E c’è il dormiglione che se ne fotte di tutto e di tutti: Natale, Pasqua, Ferragosto. Non gliene frega un cazzo. Lui dorme. All’aperto. Ci sono solo dieci gradi sotto lo zero, uno che fa, si distende davanti casa a respirare un po’ d’aria pura dall’inquinamento. E c’è lo “scantato“, lo spaventato del presepe, che se non c’è lui non è un vero presepe. Ma che avrà visto per restare così, come quelli che gliel’hanno visto a mamma? Boh, comunque lui ci deve essere. Anzi controllate i vostri presepi e ricordate: SE NON C’E’ LO SCANTATO NON Ѐ PRESEPE. Ѐ una regola!
Tutta un’architettura dove la fantasia non ha limiti: le casettine arrivano alle ginocchia dei proprietari, sarà un problema di urbanistica sicuramente che privilegia il pollaio che può arrivare alla cintola o il mulino a vento con le palettine ad altezza di puffo. Ma le regole vanno rispettate. Le pecorelline devono brucare felici la neve, il bue e l’asinello devono annusare un bambinello da un quarto di manzo, le ochettine devono attraversare in rigorosa fila indiana, il ponticello sul fiumicino dove il pescatorino STRONZO pesca.
Ultimo dramma: LE LUCI del presepe.
Devo sistemarle, perché devo, altrimenti la famiglia fa brutta figura, tutti i pisellini che illuminino tutto adeguatamente: la grotta principale, la casa del fabbro, il forno, la casa del falegname, dello scarparo, del fruttivendolo, il pollaio, il conigliaio, il porcaio, il mulino, il fiume così lo STRONZO vede meglio ciò che pesca, il ponticello altrimenti le ochettine possono cadere giù e farsi male. Ogni angolo recondito deve avere il suo pisellino illuminante. E vai col nastro! Tira, strappa coi denti, incolla il pisellino. Non fa presa il nastro, un altro strappo sopra il primo. Insisti che ce la fai. Al decimo strato ce la faccio. Chi la dura la vince, il primo pisellino è a posto, passiamo agli altri novantanove.
Macché, appena ne attacco uno si rizza un altro e vai col nastro, un pezzo sull’altro, sull’altro, sull’altro. Ma non incolla mai, lo guardi e lui si muove, il pisellino, prende vita, raccoglie tutte le forze e si stacca. Si rizzano tutti, saltano fuori tesi, svegli che li invidio, sempre in tiro stanno, e che sono tutti John Holmes, che farebbero la felicità di cento fichettine. Le trecentomila lire di nastri adesivi ci bastano giusto giusto alla fine. I pisellini imbottiti sotto chili di scotch giacciono vinti. Stanco ma appagato grido vittoria. Ѐ quasi ora di cena. La vigilia della Madonna, con gli amici che stanno per arrivare. Faccio finta di allontanarmi con disinvoltura con l’occhio attento ai pisellini. Niente, non si muovono, tutto a posto, posso andare sotto la doccia. Vado, ci ripenso e torno a controllare. HO L’INCUBO DEL PISELLO TESO. Ma è ok, stavolta è andata.
Arriva finalmente la nottata della Madonna.
Tutti a tavola con gli amici, con le arancinette, le pizzettine, le crocchettine, i calzoncini, lo sfincionello ché la nottata della Madonna se non c’è lo sfincionello non è nottata della Madonna. Ѐ una condanna che ci tramandiamo da generazioni. Sfincione che odio, già l’odore mi fa acidità. Ma che non ti mangi lo sfincione per la Madonna? Ѐ come non mangiare la cuccìa per Santa Lucia o la cassata a Pasqua. Che Santa Lucia è senza cuccìa? Che Pasqua è senza cassata? Tutti drammi esistenziali che la famiglia natalizia, santaluciana, pasquale, deve superare stoicamente.
Mentre siamo convivialmente riuniti alla disperata ricerca di un modo per svuotare i vassoi di tutte le fritture, annessi e connessi della vigilia della Madonna, il mio orecchio che non ha mai smesso di vigilare, coglie un timido CRICK. Mi volto angosciato a guardare il presepe tutto illuminato con i pisellini rossi che si alternano ai gialli, i gialli ai verdi, i verdi ai blu, i blu ai rossi. Sembra tutto a posto. Torno a interessarmi dei miei commensali. CRICK. Ancora. Mi volto fulmineo e lo vedo, il miserabile, il maledetto pisellino ribelle teso verso l’alto, eccitato come dopo un film porno, ha vinto la forza dei dieci strati di nastro adesivo e si è alzato come un galletto che canta all’alba. Mi sento sbeffeggiato da un chicchirichì arrogante. CRICK, un altro pisellino solidale col primo. CRICK, CRICK altri due, si sono dati il passaparola, uno dopo l’altro si stiracchiano prima, si tendono poi eccitatissimi verso l’alto, tesi. MA CHE CAZZO HA DI TANTO ECCITANTE, EROTICO QUESTO PRESEPE?
CRICK, CRACK, CROCK ormai è un crepitio incontrollato di nastro adesivo che cede, esausto, alla tensione dei piselli, non ha più la forza di resistere, come il finale di un gioco d’artificio la serie di CRICK, CROCK, CRACK si conclude e tutti i pisellini sono ormai vispi e svegli col naso all’insù, eccitatissimi, ritti, tesi, duri, irrefrenabili. Il mio presepe erotico è completo.
Sono le tre di notte ormai e mia figlia può ritirarsi. Guarda l’albero e il presepe distrattamente poi fa: «Ahia che grezzata, carini tutti sti pisellini in aria, ma non riesci mai ad incollarli per bene?»
Non l’ammazzo.
Ѐ Natale.