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Era successo esattamente alle ventitré e tre. Se lo sarebbe ricordato per sempre la zia Mara, che aveva l’orologio un po’ indietro e lo aveva appena sintonizzato con quello del televisore, giusto per essere sicura che sarebbe arrivata alla mezzanotte nello stesso istante di tutti gli altri. La zia Mara teneva particolarmente alla precisione, alla coordinazione, allo spirito di gruppo – e non a caso era lei a coordinare il coro della parrocchia di San Michele.

In soggiorno non ci poté fare caso nessun altro, all’ora esatta. Un po’ perché qualcuno era troppo concentrato a vincere a briscola, soprattutto nonno Gianni, con la sua solita espressione da non cercate di fregarmi solo perché ho più anni di voi, un po’ perché i bambini facevano troppo chiasso per terra, un po’ perché c’era Luisa che stava suonando all’ukulele War is over di John Lennon e nessuno si sarebbe messo a guardare il vecchio pendolo proprio in quel momento, per una questione diciamo così di rispetto.

Tuttavia, la nonna Sara se n’era fregata della disattenzione degli altri e aveva deciso di morire in quell’esatto secondo, alle ventitré e tre del ventiquattro dicembre, sulla sedia marrone che sceglieva sempre per prima se bisognava sedersi a tavola, con le braccia conserte e il capo un po’ chino, ancora in direzione della tazza di camomilla mezza piena. Nel gesto di spegnersi che aveva trovato non c’era stato niente di eclatante: aveva solo smesso di bere, di annuire, di ascoltare come se facesse in continuazione fatica a capire tutte le parole, e anche di respirare. Non se n’era quasi accorta, era stato un leggero passaggio di stato, uno scatto improvviso, dalla vita alla morte, una sinfonia silenziosa che solo i suoi ottantasei anni avrebbero potuto comporre in un modo tanto inaspettato e naturale contemporaneamente.

La zia Mara aveva visto l’intera scena, ma non l’aveva capita. A rischiare di accorgersene per primo fu pertanto Vincenzino, che stava giocando vicino alla sedia con due dinosauri e che ne aveva fatto cadere per sbaglio uno sul piede della nonna. Vedendo che lei non reagiva, si era insospettito e le aveva tirato un po’ la gonna, giusto per capire quanto fosse addormentata da uno a dieci. Almeno otto e mezzo, si disse, e recuperò la sagomina per riprendere a sbatterla contro quell’altra che teneva ancora in mano. Due minuti dopo, infine, a mamma Teresa venne di chiedere alla nonna se volesse andare a letto, che magari lì sarebbe stata più comoda se aveva sonno, e si accorse per prima che la nonna non rispondeva, non si muoveva, non si stava neanche riposando.

 Lì per lì, provò l’impulso di esclamare qualcosa, di sgridarla. Non poteva mica essere morta sul serio, cioè, nessuno muore mentre beve la camomilla alla vigilia di Natale, al massimo si fa venire un calo di pressione, un piccolo reuma, un capogiro, ma una morte vera e propria no, non passerebbe per la testa a nessuno. Soprattutto non c’era anima viva che se lo sarebbe aspettato proprio dalla nonna Sara, che era così rispettosa delle occasioni importanti e che non si perdeva mai una celebrazione religiosa, nonostante l’età e le mani tremanti e la voce un po’ roca e l’apparecchio acustico.

In un attimo, però, mamma Teresa realizzò che non era il caso di aggiungere altri drammi al dramma: mettersi a urlare proprio quella sera, davanti a tutta la famiglia, non era pensabile. Bisognava semplicemente accettare la situazione, fare alzare di peso la nonna Sara e andarla a posare da qualche parte, magari sulla cassapanca di legno del salotto o nella stanza degli ospiti – in un posto in cui non avrebbe dato fastidio né il suo cadavere né certi odori durante la notte, ecco. Non potendoci riuscire da sola, mamma Teresa chiamò papà Franco dalla cucina e gli mormorò di aiutarla senza fare domande, senza mettere apprensioni agli zii, senza farlo capire ai bambini. Senza turbare l’atmosfera che Luisa si era tanto sforzata di ricreare con quel suo strumento un po’ strambo. Di farlo e basta, senza cerimonie e senza scomporsi troppo. Come se si trattasse di piegare un lenzuolo o di sparecchiare.

Probabilmente sarebbero riusciti ad attraversare il soggiorno passando inosservati, se a Vincenzino non fosse rotolato via un’altra volta il dinosauro e avesse fatto quasi inciampare mamma Teresa, che per la sorpresa si era lasciata scappare uno piccolo squittio, roba da poco, ma capace di attirare l’attenzione di tutti su di loro e di fare dire ai presenti, visto che la nonna Sara stava andando in camera, buonanotte auguri a domani ciao dormi bene. All’inizio la nonna era apparsa un po’ più silenziosa e sorda del solito, mentre poi si mostrò esattamente per com’era, finita dritta all’altro mondo senza avvisare a nessuno, discretissima, con mezza tazza di camomilla ancora da digerire e i capelli bianchi appiattiti sulla fronte. 

Così la zia Mara capì che era successo alle ventitré e tre, davvero, avevo l’orologio un po’ indietro e lo stavo regolando proprio mentre ho visto la nonna Sara abbassare la testa in quel modo, deve essere stato quando è, voglio dire…, e Vicenzino disse che la nonna non l’aveva rimproverato per il dinosauro che le aveva lanciato sulla calza, e nel giro di un accordo di sol si spense la musica, e perfino i re Magi nel presepe si fecero un po’ più piccoli, incerti sulle conseguenze di quella scoperta e con la sensazione di essere finiti nel posto sbagliato al momento sbagliato, cammelli inclusi.

– Che cosa dobbiamo fare? – chiese ad alta voce lo zio Gino, rubando i pensieri agli altri e cominciando per primo a singhiozzare ad un ritmo strano, quasi infantile.

– Niente, zio – replicò mamma Teresa, prima che qualcuno potesse anticiparla e reggendo sempre la nonna Sara dall’ascella. – Per stasera niente. Si è fatto tardi e siamo tutti stanchi, ormai. Andiamo a riposarci. Per stanotte la nonna può stare qui, e domani mattina ci rivediamo alle dieci e decidiamo il da farsi tutti insieme.

Le teste dei più grandi si mossero piano piano nella stessa direzione, dall’alto verso il basso, ripetutamente, come se stessero recitando una preghiera senza parole e avessero bisogno di accompagnarla con qualche movimento del corpo. Le teste dei più piccoli, invece, si guardavano intorno un po’ smarrite e fissavano i giocattoli e le carte e l’ukulele e la tv ancora accesa e i pacchi da scartare nascosti in un angolo, sotto l’albero.

Non ci fu granché ancora da dirsi prima di congedarsi, cosicché per una volta la cerimonia durò poco, nonostante la lunga processione di bravi samaritani che stavano lasciando la casa. Buonanotte, buonanotte, poverina, ciao gemellini, buonanotte, non state in pensiero, buonanotte, e i regali?, buonanotte, che ci possiamo fare, domattina alle dieci, portatevi il pesce avanzato, buonanotte, aveva pur sempre quasi novant’anni, buonanotte, buonanotte, mi raccomando, buonanotte.

Luisa richiuse la porta per mamma e papà e li aiutò a posare sulla cassapanca la nonna Sara, prima che sostenerla diventasse troppo difficile. Non pesava più di cinquantadue chili, di norma, anche se da morta gliene si sarebbero dati almeno una settantina. Fecero adagio adagio, come per non svegliarla per errore, le sfilarono le scarpe e le avvicinarono le mani sulla pancia, coprendola poi con una vecchia tovaglia beige.

– Non abbiamo un lenzuolo in più? – chiese papà Franco, poco convinto.

– Ho messo tutto in lavatrice poco fa, perché domani vengono a dormire i cugini e volevo che trovassero tutto pulito.

– Ah, allora pazienza. Coprile bene le gambe, comunque.

– Sì, ecco qua.

– Posso fare qualcosa per aiutarvi? – si premurò Luisa con un filo di voce.

– No, tesoro, tranquilla. Non dobbiamo fare altro, domani se ne parla. Cambiamoci e mettiamoci a letto, forza.

E così fecero. Si cambiarono e si misero a letto, risparmiandosi qualunque commento, sospiro, sguardo o carezza. Buonanotte, dissero a mezza bocca, buonanotte anche a voi, e non ne vollero sapere più niente fino alle dieci in punto dell’indomani.

In punto letteralmente, peraltro, perché la mattina successiva nessuno della famiglia si fece aspettare per la visita. A citofonare per primi furono Salvo e Ludovica, puntuali come non erano almeno da quattro Natali, e mamma Teresa li fece accomodare subito nei posti più vicini al balcone, da dove arrivava un po’ più di luce. Neanche il tempo di informarsi su come stessero che arrivarono la zia Mara, Fabio con i gemellini, lo zio Gino, Marianna, Edoardo con Vincenzino, Carmen e Paolo, la zia Assunta e nonno Gianni, con la sua solita espressione da non venitemi a dire che ho fatto tardi perché sono più grande di voi. Nel senso che sarebbe stato meglio trattarlo con rispetto. Infine, si aggiunsero anche Cristina e Lele, con Elenuccia e Marco, e la zia Pina con lo zio Giuseppe. Alle dieci e dieci i cappotti di tutti erano già appesi all’attaccapanni e i bambini seduti sulle ginocchia dei genitori, composti con quella volta in cui avevano dovuto prendere la prima comunione in chiesa.

Per rompere il ghiaccio, i padroni di casa offrirono un caffè ai familiari e del torrone ai più piccoli, nella speranza di condividere un po’ di energia calda e zuccherata con loro prima di affrontare la questione della morte della nonna Sara. Quando tazze e piattini furono svuotati, mamma Teresa si alzò per dire:

– Mi rendo conto che non eravamo pronti per quello che è successo ieri sera. Siamo sconvolti, io e Franco specialmente, però capirete che dobbiamo stabilire tante cose entro oggi e che la nonna Sara ha bisogno di noi ora più che mai. Ci serve un prete per la benedizione, un fioraio, un’agenzia di pompe funebri. E un notaio, immagino, come pure un medico. Sarà morta di infarto, ma è meglio se ce lo conferma qualcuno. Entro domenica sarà meglio occuparci anche del necrologio e del funerale e… Lo sapete, ecco. C’è molto da fare.

Si rimise a sedere prima che le si spezzasse definitivamente la voce e incoraggiò papà Franco a confermare quanto aveva appena comunicato lei.

A turno, dopo i primi minuti di tensione, tutti diedero per prima cosa manforte alla coppia e fecero presente che l’avrebbero aiutata per la qualsiasi, senza tirarsi indietro né di giorno né di notte. Secondariamente, suggerirono di rivolgersi a padre Giacomo per la benedizione, dato che molti lo conoscevano fin da ragazzini e che lui era molto affezionato all’intera famiglia, e non ebbero dubbi neanche sul notaio, il professore D’Arrigo, un galantuomo di cui si sarebbero potuti fidare per sbrigare ogni pratica.

La discussione si fece più accesa non appena si prese a ragionare di funerale. Non tutti avrebbero potuto esserci il giovedì a venire, data proposta in ogni caso dalla maggioranza dei presenti, e come se non bastasse non c’era un parere condiviso sulle pompe funebri a cui fare riferimento: c’era chi preferiva la Bossini e Figlio, chi la Scavoloni e chi la Agenzia Di Mario. Inoltre, l’idea di portare dei fiori alla defunta venne categoricamente rifiutata da Carmen e Paolo, che trovavano quell’abitudine buona solo a fare guadagnare uno sconosciuto per qualche gambo che sarebbe appassito inutilmente nell’arco di ventiquattr’ore. Sul medico, al contrario, nessuno aveva un nome da proporre, perché all’ospedale il personale era stato ridotto e molti dottori della vecchia guardia erano andati in pensione, motivo per cui non sapevano chi sarebbe stato più saggio contattare.

Il peggio arrivò con il necrologio, che effettivamente avrebbe rischiato di costare un occhio della testa, se non fossero riusciti a condensare in poche righe un messaggio che avrebbero voluto far proseguire per pagine intere. Bisognava ugualmente avvisare, di persona o per telefono, il gruppo delle Figlie di Maria della nonna Sara e dei suoi vecchi compagni di scuola ancora in salute, prima che leggessero la notizia sui giornali o sui manifesti funebri.

Di conseguenza, l’organizzazione della faccenda non si rivelò semplice e, a distanza di un paio d’ore di dialoghi serrati, contraddizioni scettiche e sentenze sarcastiche, in molti si rassegnarono al fatto di dovere mettere ai voti alcune alternative, informarsi con amici o conoscenti per schiarirsi le idee sulle altre e darsi da fare per contribuire ciascuno con le proprie forze, così o colà.

– L’importante è che riusciamo a rimanere vicini alla nonna Sara fino alla fine – fece notare mamma Teresa con dolcezza.

Fu inevitabile che a quel punto calasse un silenzio grave, inzuppato di sconforto e di smarrimento. Si sentivano solo i respiri un po’ affannosi di nonno Gianni e il pendolo che imperterrito continuava a segnalare il passare di ogni secondo.

D’un tratto, però, come se si fosse ripresa da un profondo stato di trance, la zia Assunta trillò:

– Scusate, ma adesso che ore sono?

– Maria vergine! – urlò di risposta Marianna, sobbalzando. – È l’una e mezza!

– L’una e mezza? Di già?

– Non siamo andati a messa!

– La messa! 

– Oddio, e i regali? I bambini non li hanno ancora aperti!

– Aspetta, dove sono finiti i bambini?

– Di là, li ho messi a giocare con la cera pongo.

– Non abbiamo neanche pensato a cosa mangiare per pranzo.

– Io ho portato le tagliatelle, per fortuna.

– Noi abbiamo un po’ del polpettone di ieri, al massimo faccio un salto a casa e ve lo porto.

– E poi abbiamo il panettone, no? E la frutta secca.

– Il vino! Manca il vino!

– Lo vado a comprare io.

– Ma dove vai, Fabio? Oggi è tutto chiuso.

– Santo cielo…

– Un attimo solo, qualcuno quindi vuole il polpettone?

– Io se volete prendo i regali, li mettiamo tutti sul divano.

– Non abbiamo fatto gli auguri a Francesco e Anita in Germania!

– È vero! E neanche a Mariella!

– Pensate che dovremmo andare a chiedere scusa a padre Giacomo per non essere andati neanche a confessarci, stamattina?

– Luisa, leva l’ukulele da lì per favore, facciamo un po’ di spazio.

In breve, si era scatenato un caos anarchico e polifonico, che aveva fatto risprofondare tutti nello spazio e nel tempo in cui almeno loro – i vivi – avevano il dovere di stare.

In quattro e quattr’otto, allora, papà Franco aveva spalancato le finestre, Carmen e Ludovica apparecchiato una tavolata e la zia Pina con Edoardo l’altra, lo zio Gino era andato a chiamare i bambini insieme a Cristina, Salvo ne aveva approfittato per salire in macchina e portare il polpettone, Fabio aveva sintonizzato il digitale terrestre sul quel canale di cartoni animati in 3D, lo zio Giuseppe aveva aiutato Teresa a ritirare le lenzuola asciutte dal balcone, nonno Gianni si era acceso la pipa, Paolo aveva tirato fuori dal frigo le bottiglie, la zia Assunta aveva preparato cordless rubrica e occhiali da vicino, Marianna aveva scelto con Luisa qualche brano da suonare dopo aver mangiato, Lele aveva preso le carte da gioco da un cassetto e la zia Assunta aveva badato alle tagliatelle da riscaldare sul fuoco.

La nonna Sara, intanto, era rimasta sulla cassapanca con la tovaglia beige sopra la testa, senza potere nemmeno chiedere ai gemellini di abbassare la voce o a Franco di sistemarle i capelli, senza lamentarsi con nessuno del fatto che magari dovesse andare in bagno ogni due per tre, abbandonata a sé stessa all’improvviso perché si erano già fatte quasi le due del pomeriggio e il Natale non sembrava neanche arrivato, figuriamoci quasi finito, e perciò bisognava pur divertirsi un po’, pregare, rispondere ai messaggi, accendere la radio, fare un brindisi, essere sorridenti davanti ai bambini, perché in fin dei conti era il venticinque dicembre e non era mica colpa loro se la nonna Sara aveva deciso di morire proprio alle ventitré e tre della viglia, come la zia Mara si sarebbe ricordata per sempre – cioè, nessuno muore mentre beve la camomilla alla vigilia di Natale, al massimo si fa venire un calo di pressione, un piccolo reuma, un capogiro, ma una morte vera e propria no, non si sarebbero aspettati che passasse per la testa proprio a lei, che era così rispettosa delle occasioni importanti e che perciò sicuramente avrebbe capito la loro distrazione temporanea, li avrebbe perdonati perfino, se posticipavano di qualche ora in più la benedizione di padre Giacomo e la scelta della bara, il giorno da fissare per il funerale e il testo striminzito per il necrologio, non le stavano facendo un dispetto, è solo che non avevano fatto in tempo neanche a scambiarsi i regali e insomma, che figura avrebbero fatto davanti alle altre famiglie e davanti al Signore, se non si fossero raccolti un attimo a ringraziare per quella giornata di festa e a volersi bene un po’ più di sempre, rimandando il resto a un secondo momento?

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