I gemelli
(L’ennesima camurrìa alla Vuccirìa)
di Carmelo Modica
Mentre suo marito abbanniava la merce, Calogera Biancofiore, proprio sopra la carnezzeria, urlava da più di un’ora la nascita dell’ultimo dei suoi figli.
Nessuno, però, ebbe modo di sentirla, malgrado le sua urla squarciassero l’aria e smuovessero la terra.
La mammana sospirò:
“All’undicesimo figlio ti uscirà pure l’anima dallo sticchio” la rimproverò.
Gera non volle ignorarla.
“A mmia mi piace ficcare cu me’ marito, vabbè?”
Quel giorno, in prossimità della festa di Santa Rosalia, rigorosamente dopo che la mammana ebbe sistemato i piccioli in sacchetta previo scrupoloso conteggio che faceva invidia al più esperto dei banchieri, nacque appunto Norman Rosalino che venne fuori bello pasciuto e con tante piegoline di carnuzza tenera. La mammana lo taliò e lo soppesò di sopra e di sotto e per fortuna non trovò traccia dell’anima di sua madre.
“T’a facisti franca stavota”.
Fece cenno a Sharon Catena di avvicinarsi e le disse di andare dal prete, di dirgli che sua madre aveva sfornato di nuovo e che doveva necessariamente venire per assicurare a tutta la famiglia che la sua anima era salva, ma non ancora in grazia di Dio.
“E se ti chiede a cu’ apparteni dicci a Giuvannuzzu l’Affilacuteddu, accussì lo capisce : chiddu ormai è talmente stolito ca cunfunni le grazie dintra le mutanne della cammarera con le stimmate di ddu poviru Cristu chi avi ‘nta chiesa!”
Mentre la mammana ottemperava ai suoi doveri non del tutto convinta che l’anima avesse deciso di starsene dov’era e col sospetto che avrebbe lasciato Gera in preda alle brame del diavolo (“basta ca ci attuppa ‘u purtusu una buona volta”, pensava), Sharon Catena arrivò tutta trafelata. Girò darreri la stratuzza e dopo aver tuppuliato alla porta che si stava scorticando le nocche finalmente il parrino grapì. Sharon Catena lo vide tutto sudatizzo, con un fazzoletto in mano che percorreva chilometri tra la fronte, la bocca, il collo e la nuca. Di dentro si stava consumando un’altra camurrìa. Sharon Catena sentì le urla ma non ci fece caso.
Il parrino preparò l’ennesima truscitedda. Lasciò la cammarera in un bagno di sudore e priva di sensi alle cure della mammana dell’Albergaria che fece venire apposta perché quel giorno giusto giusto a tutti ci veniva in testa di partorire.
“Dicci ca murìu”.
Entrò a casa di Gera tutto inquieto e con gli occhi spiritati. Posò a terra la truscitedda. La svolse.
“Trovaci un nome”, disse, ma fu solo un lieve sussurro che nessuno lì dentro aveva sentito.
Lo mise accanto a Norman Rosalino e sospirò. Poi con voce che avrebbe potuto competere con quella dei banniatori, il tono sentenzioso che era solito usare durante le omelie e l’estro recitativo che lo possedeva solo durante le rappresentazioni della Quaresima, aprì la finestra e urlò:
“Due gemelli sono! ”.
Gera Biancofiore sbiancò ma non disse nulla: il parrino sapeva essere grato. Come sempre dopotutto. La mammana, dal canto suo, suggellò la nascita dei gemelli con una sonora ma ignorata scorreggia.