Ariaferma, di Leonardo Di Costanzo

Visti e Svisti – la rubrica semiseria  di critica cinematografica

a cura di Tiziana Cazzato

 

Sono alla ricerca di una mascherina di stoffa nera. L’ho comprata e non l’ho mai usata, per il semplice fatto che dopo averla acquistata non l’ho più trovata. Avvolta ancora nella sua trasparente bustina di cellophane.

Non riesco a ricordare dove posso averla messa: conservo così bene le cose a volte…

Un pensiero rapido mi sfiora la mente. Interrompo quello che sto facendo e vado a prendere la borsa nera, quella che uso poche volte. È poco pratica, anche se molto carina. È quasi vuota e non mi stupisco. Qualcosa però la mia mano la pesca, nella tasca interna, quella dove inserisco le cose importanti, che vanno conservate. Lo tiro fuori e, come nuovo, mi ritrovo fra le mani un biglietto del cinema. È di qualche mese fa. L’ultima volta che ho usato la borsa nera, elegante forse, ma poco pratica.

ariaferma_immagineGuardo ancora il biglietto, prima di attaccarlo alla pagina di un piccolo quaderno che raccoglie alcuni momenti della mia vita a Milano. Mi basta leggere il titolo, Ariaferma, per ritrovarmi immersa nell’atmosfera del terzo lungometraggio di finzione di Leonardo Di Costanzo che, con il suo primo, “L’intervallo” (2012) si è aggiudicato – fra gli altri – il David di Donatello per il miglior regista esordiente.

Entrando in sala non riuscivo a immaginare cosa stessi andando a vedere. Avevo scelto forse solo basandomi sul nome degli attori che componevano il cast: Toni Servillo e Silvio Orlando, per la prima volta insieme e poi, ancora Fabrizio Ferracane, Roberto Di Francesco e…

Potrebbe non essere una grande e valida motivazione, ma ve lo dico sin d’ora, Orlando e Servillo hanno capeggiato un gruppo di attori – a mio modestissimo parere – davvero impressionante. E loro due perfetti, straordinari, credibili nei rispettivi ruoli di “carcerato e carceriere”.

Siamo a Mortana, un luogo indefinito, fittizio, nel Sud d’Italia. In una vallata avvolta nel buio, alcune guardie penitenziarie brindano intorno a un fuoco. È la loro ultima notte in una fortezza che dal giorno seguente sarà dismessa, definitivamente chiusa. Sorridono, anche se la loro allegria ha un leggero velo nostalgico per quello che è stato, per il tempo che hanno passato insieme, ma i cambiamenti sono necessari per dare un nuovo respiro alla quotidianità.

Il rientro al penitenziario, per quell’attesa ultima notte, riserva loro una sorpresa imprevista. Per un inciampo burocratico, dodici detenuti non potranno essere trasferiti: il carcere che doveva accoglierli non può farlo. Almeno per qualche giorno ancora, dodici detenuti sono costretti, perciò, a restare e con loro, anche, cinque agenti che non fanno proprio festa quando scoprono di essere i prescelti.

Non è motivo di gioia per nessuno la situazione surreale che viene a crearsi. I carcerati vengono trasferiti nella sala circolare, dove le celle confinanti dovrebbero facilitare alle guardie il lavoro di sorveglianza e controllo. Le distanze, però, vengono a ridursi e tutto diventa eccezionale.

Tutto è fermo. Sospeso. Sono sospese le attività. Sono sospesi i colloqui e le visite dei familiari. È chiusa persino la cucina e il vitto, come dichiara Carmine Lagioia (Silvio Orlando), boss malavitoso carismatico e rispettato da tutti,  “Fa schifo”. Inizia, così, lo sciopero della fame.

Quel tempo d’attesa, in quel luogo lugubre, decadente e soffocante,  è scandito da un alternarsi di proteste e rifiuti, di proteste e concessioni, perché, come ben comprende Gaetano Gargiulo (Toni Servillo), messo a capo del manipolo di guardie, bisogna evitare una rivolta. Egli, perciò, decide di non usare la forza e accetta che Lagioia cucini per i suoi compagni e va con lui, sorvegliandolo di persona, senza mai perderlo di vista per un solo attimo. E la cucina diventa il luogo d’incontro fra i due uomini, all’apparenza inconciliabili, opposti, pronti a difendere il loro ruolo e la loro identità, con la forte convinzione che viene fuori dalle parole del capo delle guardie:

 

Non ho mai fatto nulla di male a nessuno, non ho debiti di nessun tipo e questo mi dà una serenità che tu non conosci. Io e te in comune non abbiamo niente.

 

Parole pronunciate con lo scopo forse di convincere più se stesso che l’uomo che ha di fronte. In quei pochi giorni, però, che sembrano non conoscere fine le guardie e i detenuti dismettono metaforicamente le loro divise e vesti, per scoprire la condivisione di un’umanità che annulla le loro differenze. Per scoprirsi più simili e vicini di quanto le sbarre delle celle e il diverso ruolo vogliono far credere.

Una scoperta che spiazza, che fa quasi paura. Una scoperta molto vicina alla verità. Una verità difficile persino da riconoscere e ammettere, anche solo a se stessi.

 

Lagioia: «È tosta stare in galera?!»

Gargiulo: «Tu stai in galera, io no!»

Lagioia: «Ah, sì? Non me n’ero accorto»

 

L’aria ferma, l’attesa, il forte senso di isolamento e claustrofobia che toglie il respiro anche allo spettatore, vengono amplificati dall’alternanza delle inquadrature da interno a esterno, dalla colonna sonora di Pasquale Scialò e dalla fotografia di Luca Bigazzi.

A far sprofondare quella situazione precaria e fragile è un blackout elettrico che interessa l’intera fortezza e il buio totale toglie persino il volto, rendendoli ancora più simili a quegli uomini che si ritrovano nella sala circolare, seduti – agenti e detenuti – a un unico  tavolo, a condividere insieme l’ultima cena.

Un film importante, intenso, che non vuole raccontare la vita del carcere. Non sappiamo nulla, infatti, sul perché i detenuti si trovino lì, quale sia la pena che devono scontare, fatta eccezione per il giovane Ferracini (Pietro Giuliano) e per un anziano che si comprende essere lì per abusi sessuali. Non era, infatti, quello l’intento del regista, che voleva, invece, rappresentare l’assurdità del carcere ed è riuscito a farlo in modo originale, in modo davvero straordinario, inteso nel suo essere unico e bello.

Un film in cui immergersi, in cui vi invito ad entrare per respirare quell’atmosfera, quelle sensazioni ed emozioni che vi tolgono il respiro e poi vi restano addosso. Per chi volesse, il film è disponibile su Prime Video, e a me non resta che dire… Buona visione!

 

[Io la mascherina nera con un gattino ricamato non l’ho più trovata].

 

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