di Silvia Guberti

La proposta di legge per la tutela, la promozione e la valorizzazione della lingua italiana del 23 dicembre 2022.

Cosa sanno i Signori deputati della Repubblica italiana della storia della lingua italiana e di tutte le dinamiche che soggiacciono alla trasformazione di una lingua? Viene da dire poco. Delle due l’una: o mentono sapendo di mentire, lavorando per cavalcare un redivivo sovranismo, o ignorano. Non sappiamo, in tutta onestà, quale delle due evenienze spaventi meno.

Con questo articolo proviamo a fare una piccola sintesi di un argomento con cui i linguisti hanno riempito migliaia di tomi, ma non dobbiamo far proposte di legge, noi. Ci basta avere qualche dato in più per valutare il fenomeno dell’evoluzione della lingua.

 

Come è nato l’italiano?

In realtà, la domanda opportunamente formulata sarebbe: come si è formato il lessico dell’italiano?

Il lessico dell’italiano può essere diviso il tre grandi insiemi:

  • Le parole ereditate dal latino, sia per tradizione diretta (cioè tramandate dall’antichità e lentamente trasformatesi), sia per tradizione indiretta (parole latine reintrodotte così com’erano dai dotti in epoca posteriore, in mancanza di termini italiani corrispondenti).
  • Le parole prese da altre lingue (forestierismi).
  • Le nuove parole che si formano dall’italiano stesso (neoformazioni). [1]

 

La lingua è un sistema aperto

Ogni lingua non vive isolata, ma entra in contatto con le altre lingue (nonché con i dialetti regionali) attraverso molteplici canali – evidentemente non eliminabili – come il commercio, i viaggi, i mass media, le invasioni, il progresso scientifico, tecnologico, ecc.. I rapporti tra diverse lingue non sono per forza caratterizzati da una condizione di parità. Più spesso una delle due lingue influenza maggiormente l’altra, quella che è percepita, per diversi motivi, come più prestigiosa.

 

Come si concretizza l’influenza linguistica?

Essenzialmente attraverso il prestito linguistico, che può essere non integrato (quando un termine viene preso così com’è e utilizzato nella stessa forma) o integrato (quando la parola viene più o meno modificata per adattarla alle tendenze della lingua che lo riceve). Ad esempio: output (prestito non integrato); treno (prestito integrato, dal francese trainer, passato attraverso l’inglese train), utilizzato a partire dall’Ottocento per indicare il nuovo mezzo di locomozione.

Ci sono poi ancora i calchi: i calchi traduzione (es: grattacielo, traduce alla lettera l’inglese skyscraper) e i calchi semantici (es. autorizzare, in italiano voleva dire rendere autorevole; assume poi il significato di permettere prendendolo dal francese).

Nel passato i prestiti venivano praticamente sempre integrati, mentre ormai restano con minime modificazioni nella forma originale (si pensi, a tal proposito, al nome dei regnanti inglesi: si parla di regina Vittoria, regina Elisabella, re Carlo… ma per i figli di Carlo si parla ormai di “William” e “Harry”, e non di “Guglielmo” ed “Enrico”.

 

Il “purismo linguistico”

Già nell’Ottocento si tuonava contro il francese, reo di aver influenzato oltremodo la lingua italiana. Insomma, non siamo di fronte a un fenomeno nuovo.

Con il Fascismo, la questione della tutela della lingua italiana diventa parte della politica ufficiale dello Stato: la difesa dell’Italia passa anche attraverso la difesa dell’italiano, segno dell’unità nazionale. Eppure, abbiamo un vicino di casa, la Svizzera, che è una Nazione pur avendo quattro lingue ufficiali, segno che ridurre l’identità nazionale a una mera questione linguistica è piuttosto ingenuo.

 

Ed è piuttosto ingenuo pensare che una legge possa frenare i forestierismi, soprattutto perché la causa dell’introduzione di termini esteri nell’italiano non è una causa linguistica, ma è sintomo di fenomeni che vanno cercati nella società e nella cultura.

Dice Claudio Marazzini, linguista e accademico di quella stessa Crusca di cui parla la proposta di legge:

 

“Se i prestiti non avessero valide ragioni, se fossero casuali o introdotti in maniera immotivata, la ‘censura collettiva’ che governa la lingua eliminerebbe questi elementi estranei: di fatto molti forestierismi sono di breve durata, spariscono dopo una rapida comparsa sulla scena.[2]

 

Quali lingue sono entrate maggiormente in rapporto con l’italiano?

Tra le lingue da cui l’italiano è stato influenzato, al primo posto troviamo certamente il francese e il provenzale. Da queste lingue derivano moltissimi termini legati agli aspetti mondani e di costume, ad esempio alla caccia con il falcone (astore, sparviero), al cavallo (groppa, briglia, galoppo). Tra il ’500 e il ’600 vengono introdotti molti termini militari (maresciallo, batteria, trincea, brigadiere e altri) e più tardi anche della moda e della cucina (besciamella, ragù, ristorante e altri). Tra ’700 e ’800 penetrano moltissimi termini della politica (fanatico, federalismo, rivoluzione, terrorismo – quanta fortuna hanno avuto questi termini nella nostra lingua?).

Lo spagnolo ha influenzato l’italiano soprattutto tra la metà del ’500 e la fine del ’600, e proprio a questa lingua dobbiamo termini come brio, disinvoltura, creanza. Mediati da spagnolo e portoghese sono anche alcuni termini derivati dalla scoperta delle Americhe (ananas, banana, cioccolata, patata, cacao e altri).

 

L’inglese britannico ha iniziato a influenzare l’italiano soprattutto a partire dalla fine dell’800, mentre quello statunitense, per ovvi motivi, a partire dalla Seconda guerra mondiale.

 

Di molti forestierismi che sono penetrati nel tempo nella lingua italiana non abbiamo più memoria. Sono forestierismi, ad esempio, bistecca (dall’inglese beef-steak), guerra, faida, zuffa, tappo (dal longobardo), arancio (dal persiano), retroterra (dal tedesco), moda, parrucca, sciarpa (dal francese).

 

Nel lessico, chi definisce cosa è lecito chiamare “italiano” e cosa “straniero”? Di fatto, come si vede, è solo la permanenza nel vocabolario di una lingua che lo determina. Fra duecento anni, magari, non si avrà più memoria dell’origine straniera di tanti dei termini di cui oggi percepiamo con fastidio l’alterità.

[1] Luca Lorenzetti, L’italiano contemporaneo, Carocci editore, Roma 2002

[2] Claudio Marazzini, La lingua italiana, profilo storico, Il Mulino, Bologna 2002 (terza edizione).

 

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