Piccoli frammenti d’apocalisse domestica
Su “Tredici lune” di Alessandro Gazoia (nottetempo, 2021)
Recensione di Stefano Bonazzi – 31/01/2021
Interno notte, poche ore prima del lockdown nazionale.
Ale saluta Elsa. Hanno appena fatto l’amore, ora l’accompagnerà alla stazione dei treni, lei deve tornare a Napoli prima che tutto si fermi. La città è cristallizzata, stuprata dal suono delle sirene. La separazione è iniziata.
Una separazione dalla donna di cui Ale è innamorato, una separazione dalla realtà, da se stesso, da tutto quello che è stato prima ma una separazione che è anche solo un pretesto. La scintilla che Gazoia appicca per lasciar fluire nel suo ultimo romanzo edito da nottetempo una riflessione che salta isterica e bipolare, tra Kant e Agamben, tra le difficoltà editoriali dettate dall’urgenza di dover dare alla luce un libro ambientato nell’anno della pandemia, nel momento peggiore di quella stessa pandemia e la necessità di non perdere quell’unico legame umano e tangibile: Elsa, ghost writer che proprio come la sua professione, con lo scorrere delle pagine, corre il rischio di farsi sempre più impalpabile, etera, lontana.
Più volte mi sono fermato a sottolineare, evidenziare, appuntarmi concetti scomodi, affilati, pensieri partoriti in quel gabinetto claustrofobico in cui il protagonista si specchia puntualmente, ogni giorno, più volte al giorno, alla ricerca di imperfezioni, infezioni, repulsioni degne del miglior Polanski, dove trascorre ore a detergersi le mani – “le mani le mani mani mani sino a quando la parola si libera dal senso che l’affatica e il reale si sfilaccia” -, trattenendo il respiro, nella ferma convinzione di riuscire a percepire il ritmo della casa, del condominio, delle paure che lo popolano. E proprio da quest’immobilità forzata, la mente si scardina, libera, ora, di vagare fra un decreto governativo e un discorso alla nazione, fra la paura dell’apocalisse e la necessità di rinnovare l’abbonamento Netflix, Ale personaggio ci accompagna nelle retrovie di un mondo editoriale pervaso da figure ambigue e kafkiane, autori che sentono l’esigenza di cambiare all’ultimo i nomi dei personaggi nei loro romanzi soltanto per testare la disponibilità e l’efficenza del proprio editore, scrittori sull’orlo di una crisi isterica per colpa di una pandemia che non dimezza solo la popolazione ma anche, soprattutto, le uscite in libreria.
Gazoia non si preoccupa di offrirci coordinate, a malapena ci accenna il nome del protagonista e quasi senza preavviso inserisce nella narrazione principale le sue tredici Microdemie, a detta dell’autore, un omaggio a Microfictions di Régis Jauffret, racconti brevi, estratti che “riguardano tutto il popolo”. Squarci caustici, tra l’ironico e il dissacrante che sfiorano il surreale, sbattendoci in faccia quel quotidiano fin troppo reale che spesso non riusciamo a riconoscere perché ormai ne siamo assuefatti, travolti, impregnati, contagiati. Tra un dialogo carabiniere-lettore in crisi d’astinenza di libri che sfiora la barzelletta macchiettistica e la confessione di una coppia di attori porno-gay casalinghi che rivedono il loro canovaccio di performance sessuali per adeguarsi alla clausura forzata.
È una penna amara quella di Alessandro-personaggio-Ale, lucidissima e onirica al tempo stesso. Un saliscendi euforico che trascende il reale, lo “smart”, l’istantaneo, per sfiorare il profetico, l’incorporeo, sempre senza spocchia, lasciando da parte qualsiasi forma di narcisismo, fregandosene dei generi, delle classificazioni, sbattendoci dentro un Freak Show tragico, poi impassibile, freddo e di nuovo coinvolto, caloroso, implacabile. Un palcoscenico in cui l’Atalanta si fa storia e cede il passo al sindaco di Bergamo, mentre i cadaveri si ammassano dietro alle quinte e non c’è tempo per bruciarli, a malapena coprirli, perché bisogna cantare dai balconi, indignarsi per il disastro ecologico imminente, dipingere arcobaleni e andare avanti senza procedere, semmai incedere, incantandosi alla vista di un gruppo di ragazzini che torna dalla spiaggia con le mascherine sotto il mento con l’urgenza di tornare al più presto dal proprio dentista per rifarsi i denti e poter sorridere, finalmente pronti, igienizzati ed evoluti per accogliere il ritorno di Elsa-speranza che nel frattempo s’è fatta vegana e sempre più evanescente.
Sono pagine, quelle di Gazoia, che scorrono in un horror vacui psicotico, da cui ci si risveglia straniti, assuefatti, sicuri di aver assistito a un evento inconsueto, arricchiti e violati, con una parte di noi ancora inchiodata davanti a quello stesso specchio, fianco a fianco di Ale-personaggio-persona, e un’altra invece, che si è già staccata e ora sta vagando senza meta, senza giudizio, in quel mondo nuovo, che non ha nulla di nuovo.
“Tredici lune”, di Alessandro Gazoia
nottetempo, 2021
214 pagine, prezzo di copertina 15 euro.