Recensione di Stefano Bonazzi – 19/12/2020

L’impossibile arte di ridefinirsi altrove

stiamo_abbastanza_bene_coverQuesto libro mi ha spiazzato. Lo confesso.

Non conoscevo Francesco, non avevo mai letto nulla di lui se non la sinossi breve ed ero pronto per l’ennesima vagonata di cliché (terroni, polentoni, pizza, mandolino…), quelle bordate di strafottenza caciarona e luoghi comuni con cui fin troppo spesso veniamo additati dai turisti in visita, che prima ci prendono in giro e poi si riempiono pancia e tasche di scamorza… e invece?

Invece questo libro va in una direzione completamente opposta.

Questo libro stupisce, ammalia e ridefinisce. Lentamente, con i suoi tempi.

Con toni di una commedia arguta di cui sono intrise le prime pagine, Andrea ci introduce al suo approdo milanese, accogliendoci nel suo scalcagnato monolocale riconvertito a bilocale (una parete di cartongesso tirata su in fretta e furia) con quella chiazza di muffa perenne che vive di vita propria, allargandosi ed espandendosi manco ci trovassimo in una pellicola di Lynch, la storia dell’esordiente Francesco Spiedo procede per velature, prendendosi i suoi tempi e i suoi ritmi (stiamo parlando di un libro che viaggia sulle trecento pagine abbondanti), abbracciando toni noir e svelando un’anima profondamente diversa dall’approccio iniziale.

Stiamo abbastanza bene è prima di tutto una storia di sofferenza, di equilibri instabili e precari come le vite dei comprimari, ma è anche molto di più; un dramma formativo con un protagonista che riesce a entrare fin da subito in empatia con il lettore, perché tratteggiato con toni realistici, umani, mai sopra le righe.

Ci affezioniamo ad Andrea. Vogliamo seguirlo mentre si destreggia dai primi lavoretti improvvisati (sostituto portiere, addetto alla sicurezza notturna in un supermercato) alle esperienze più rischiose, vorremmo poter dirgli di smetterla con tutte quelle sigarette scroccate, vorremmo potergli suggerire nell’orecchio di lasciar perdere quel viscido di Soletti, vorremmo poterlo instradare, come lettori onniscienti, verso quella giusta decisione che, sotto i trent’anni, sembra un miraggio impossibile, irrealizzabile, soprattutto oggi, figli della generazione del “tutto subito-tutti famosi” e forse anche un po’ tutti troppo euforici.

Allora che fare?

Ignorare le chiamate di una madre apprensiva? Rifugiarsi nella nebbia umida di una Milano che troppo promette e poco concede? Continuare a zittire le voci nella testa di Luisa, quel dialogo silente con un primo amore la cui presenza continua ad aleggiare e permeare le notti insonni del povero Andrea? Fuggire dalle responsabilità? Fuggire dalle persone scomode? È davvero possibile? Sì? Per quanto tempo?

Perché lo sappiamo tutti che prima o poi anche l’anno più lungo giunge al termine, il Natale esige il suo tributo di presenza, la famiglia richiama a sé e così anche quella Napoli tanto ingombrante e fatiscente che pure lo zio Tony disprezza pubblicamente nei suoi festini a base di sfarzo e coca, può tornare terreno, se non proprio di pace, almeno di una dolceamara riconciliazione. Ed è proprio con questo stesso sentore di velata malinconia che il lettore si trova a sfogliare pagine intrise di un disagio sincero, un senso di perenne fuoriposto che spesso si tinge di noir e riflessioni argute, tra vicoli fumosi e personaggi che hanno rinunciato a un pezzetto di umanità per quella tanto bramata realizzazione sociale che di umano non ha più nulla. Mentre Andrea, per fortuna, di cuore e di umanità, ne tiene ancora tanta.

Concludo questa recensione a libro chiuso, dopo qualche giorno di necessaria decantazione, la stessa che sarebbe inutile per una di quelle tante commedie che in questi anni hanno raccontato sarcasticamente e fin troppo superficialmente la dipartita Sud-Nord e che qui, invece, si rivela essenziale, fondamentale, per apprezzare al meglio un romanzo denso, strutturato e scritto con una penna talmente consapevole che a fatica si ricondurrebbe a un esordiente.

Francesco ha scritto un libro fiume, poliedrico e totalitario, che ha il notevole pregio di strapparci un sorriso, una ruga di apprensione, svincolarci dai cliché, riuscendo a motivarci, indipendentemente dall’età e dalle difficoltà che purtroppo, in quel bizzarro ping pong che chiamiamo “vita”, ci appaiono spesso insormontabili.

 

“Stiamo abbastanza bene”, di Francesco Spiedo

Fandango, 2020

309 pagine, prezzo di copertina 18,50 euro

 

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