Recensione di Stefano Bonazzi – 14/04/2022

Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia, di Enrico Macioci – Terrarossa

Di coincidenze e fratture nella luce

 

Sfondate-la-porta-ed-entrate-nella-stanza-buia-di-Enrico-Macioci-coverSi torna a parlare d’infanzia, un tema caro a Macioci fin dalla sua prima opera. L’età delle incertezze, della fragilità, delle continue scoperte. L’età in cui tutto è nuovo e la fantasia è un trampolino da cui lanciarsi in mondi magnifici, oppure un pozzo in cui precipitare verso luoghi oscuri.

Sei anni, l’età delle magie possibili. A sei anni tutto si amplifica, si distorce, basta un nulla, una parola fuori posto, una frase sghemba e subito il vicino di casa si trasforma in uno sconosciuto inquietante, la strada percorsa ogni giorno diventa un sentiero minaccioso e quei gesti che fino a un attimo prima ci sembravano così scontati e banali, adesso racchiudono altro, ombre. Ombre dappertutto.

Francesco ha sei anni ma fino a quel giorno, quel maledetto 10 giugno 1981, la realtà aveva ancora una dimensione comprensibile, era una materia intessuta di regole, abitudini, con una parvenza di normalità. Finché c’era Christian, l’amico e compagno fidato di avventure, le notizie che arrivavano dalla televisione erano qualcosa di lontano, innocuo, quasi appartenessero a un’altra dimensione. Stava tutto là dentro, in quella sfarfallante scatola di vetro, non faceva paura. Il parlottio che usciva da quel prodigio di tecnologia era solo un sottofondo costante che accompagnava i pasti. Serviva a far trascorrere più in fretta le serate, quando la madre era indaffarata in cucina e il padre era tutto preso dai suoi problemi con il lavoro, e allora bastava ascoltare in silenzio le disgrazie che uscivano da quella scatola con le antenne e aspettare che le cose passassero, pulire il piatto e tornare a fabbricare astronavi con Christian. Immaginare Sirio, i pianeti lontani e i mille modi in cui raggiungerli. A sei anni si può.

Ma Christian quella sera di inizio estate non è più tornato a casa. Francesco aveva visto la sua sagoma sparire dietro i cipressi della recinzione, oltre i palazzi, come tutte le sere. Il vicino di casa aveva spento la falciatrice e Francesco era rimasto immobile qualche secondo, con il ventre premuto contro la ringhiera, a gustarsi il silenzio di un’altra giornata che finisce. Ma la realtà non sempre asseconda le nostre routine e così quel giorno, quel maledetto 10 giugno del 1981, si è creata una frattura nel tempo e l’angoscia della colpa è uscita come il pus da una ferita infetta e ha iniziato ad avvelenare la superficie di tutto che toccava.

Christian è sparito. I genitori hanno iniziato a preoccuparsi, fare domande, chiamare la polizia. Alla televisione è tutto un affannarsi di anime attorno a quel pozzo. La nazione segue in diretta la disgrazia di Alfredo Rampi, il povero ragazzo che, senza saperlo, aveva messo il piede nel posto sbagliato ed era franato nella bocca di un pozzo artesiano. Polizia, vigili urbani, pompieri, giornalisti e tutti gli abitanti del paese erano accorsi per dare una mano. L’Italia intera tratteneva il respiro pregando per la vita di un bambino che in poche ore aveva alimentato le preghiere di una speranza collettiva, nello stesso beffardo momento in cui un altro ragazzo era scomparso in un luogo sconosciuto e la polizia non voleva credere alle parole del suo migliore amico.

Enrico Macioci è riuscito nella delicata impresa di realizzare un romanzo che mescola i generi linguistici e letterari, giocando con i piani temporali, creando un impasto denso di stratificazioni e spunti di lettura.

Pur restando fedele alle sue tematiche più care (le paure dell’infanzia, il rapporto con gli adulti, i vuoti familiari), rispetto al precedente Tommaso e l’algebra del destino, questa sua nuova opera è impregnata di un substrato d’inquietudine più sottile, oserei dire evoluto.

C’è un ronzio costante che attraversa le pagine di questa storia breve e instabile, un moto perpetuo di cose invisibili, come il rumore che fanno i cavi dell’alta tensione mossi dal vento di un tramonto inquieto.

L’estate di Francesco è l’estate di un passaggio, un percorso verso la consapevolezza che c’è qualcos’altro oltre la tangibilità delle cose. Qualcosa di oscuro che non sempre ha un nome ma che si cela nella parte più interna delle cose, negli sguardi sbilenchi, nelle frasi non dette, qualcosa di subdolo e profetico che forse solo i santi, i matti e i bambini sono in grado di percepire.

Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia, proprio come quell’ultima, disperata, richiesta d’aiuto, è una storia che si muove lungo le crepe del tempo e delle generazioni, come una canzone il cui nastro è rimasto troppo tempo alla luce del sole e le sue note, seppur ancora riconoscibili, sembrano appartenere a una melodia nuova.

 

 

Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia, di Enrico Macioci

TerraRossa edizioni

14 euro

108 pagine

 

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