Tua moglie è di spalle davanti ai fornelli. I gemelli sono seduti al tavolo della cucina, impegnati a litigare.
«Non si saluta papà?» dice tua moglie.
«Ciao… ciao, papà.» riprendono a farsi i dispetti.
«Come è andata oggi, amore?» ti chiede tua moglie, servendoti le lasagne al ragù d’anatra. Poi ti avvisa che la caldaia non funziona molto bene: potresti telefonare all’idraulico?
«Sì, va bene» dici.
Domani pomeriggio andrà con i gemelli dal pediatra. Dovresti fare la spesa all’ipermercato, lei ti ha già preparato la lista.
«Sì, va bene.»
I bambini aumentano il baccano, tua moglie li zittisce.
«Domenica siamo a pranzo dai miei» ti dice. «Mi sono messa d’accordo con la mamma per preparare il brasato con il purè. Cucino il sabato, così domenica mattina possiamo andare a messa.»
«Sì, va bene.»
Quante cazzo di volte hai detto “Sì, va bene” nella tua vita?
Tua moglie si alza per riassettare, i gemelli bisticciano lanciandosi palline di mollica.
«Puoi farli smettere?» ti chiede tua moglie.
Porca puttana di merda, ti senti esplodere in testa.
«Basta, bambini» dici poco convinto.
«Ha cominciato lui…»
«Io? Sei stato tu che hai…»
«Basta!» gridi sbattendo il palmo sul tavolo. Tu non eri così, cazzo! Tua madre si vantava sempre con le altre mamme: “È così buono e obbediente… Quando gli dico che ho mal di testa, si mette a giocare da solo in silenzio sul tappeto… Dopo pranzo fa subito i compiti… E legge tanto…”. Per un attimo, i gemelli ti guardano ammutoliti.
«Bambini, a letto» dice tua moglie. Dopo alcune scuse, di malavoglia i bambini si avviano. «Prima però bisogna lavarsi i denti.»
«Uffa.»
Sei rimasto seduto davanti al piatto vuoto. Ne hai i coglioni pieni: tra il lavoro e la famiglia non hai mai tempo per te, oppure per stare con tua moglie da soli. La rivedi in ospedale alla nascita dei gemelli, mentre posa con loro per i milioni di foto scattate da tuo suocero. In alcune ci sei anche tu: sorridi, ma ti chiedi come riuscirete a cavarvela con due bambini. Sparecchi la tavola e raccogli le palline di mollica sul pavimento. Senti le voci dei gemelli che si affievoliscono.
«Guardiamo un po’ di tivù, tesoro?» dice tua moglie quando scende in salotto. «Però andiamo a nanna presto, sono stanca morta.»
«Sì, va bene.»
Saluti la nuova che ha appena finito il tapis roulant. «Lavoriamo nella stessa prigione. Io alle Assicurazioni della Marca Gioiosa, e tu?». Le tue labbra si distendono in un sorriso, ti senti chiacchierare con la ragazza. Sei sposato, ti ricorda una voce nella testa.
Con tua moglie, se sei fortunato, fai sesso forse una volta al mese, quando i bambini dormono, attenti a non fare rumore. Non sei libero. In palestra vedi tante giovani donne dai corpi sudati che si allenano per essere desiderabili.
«Hai tempo per un caffè al bar di fronte?». Ti vedi scherzare con la ragazza. Ascolti le tue battute, inseguite dalle risate di lei, e ti accorgi di fissare le sue labbra rosate, morbide e carnose, appena inumidite dalla saliva della punta della lingua. Devi tornare a casa, ti dice la voce.
«Mi sono ricordato…. » balbetti. «Per il caffè facciamo un’altra volta, ti va?» la saluti allegramente. «Ci vediamo domani nella prigione. Mi raccomando, non lavorare troppo!»
Dopo la doccia, fissi lo specchio del bagno dove proietti un film. La ragazza della palestra ti sorride, il primo bacio, vieni da me? Le tue mani scivolano sulla sua schiena inarcata. Hai mai scopato davvero con tua moglie?
Fantasie. Tutto si risolverà, pensi, è solo stress, basta avere pazienza. Ma il tuo sguardo cade sulla fede che porti al dito.
Cazzo! Vorresti che quell’ultimo anello della catena che ti lega alla tua famiglia sparisse come per magia. E ti monta dentro una rabbia densa e appiccicosa, che inghiotti come un boccone amaro. Ne senti in giro di storie di corna, per sopravvivere a una convivenza soffocante e ritrovare la passione e la libertà. Ma chi ti vorrebbe? Hai il marchio sbiadito della fede sulla pelle e nel cervello.
«Sì, lo voglio» hai dichiarato il giorno del matrimonio, ma ti eri macerato a pensare: no, cioè sì, forse, non sapevi… Nella confusione più opaca, ti eri lasciato trascinare verso l’ineluttabile. Ma non avevi scelto tu. Lei ti aveva corteggiato, ti aveva chiesto di sposarsi, aveva deciso di avere un figlio e, dopo due mesi di matrimonio, lei era già incinta dei gemelli. Ti sentivi stritolato da un meccanismo inesorabile, e la rabbia ti morsicava dentro, ma quando cercavi di sputarla fuori tua moglie trovava sempre delle ragioni migliori delle tue per persuaderti, così ti ritrovavi a fare sempre quello che decideva lei.
Adesso quella stronza mi romperà di nuovo i coglioni perché ho fatto tardi.
Fai un respiro profondo per riprendere il controllo. Tutto si risolverà, ti convinci, lavori troppo. Ha ragione tua moglie, dovresti stare più in famiglia. Senti i muscoli del volto che si distendono in un sorriso incerto. I gemelli… è stato difficile, ma tu e tua moglie in fondo vi volete bene…
Disteso sul letto, come un cadavere accanto a un cadavere, fissi il buio che pesa sopra di te. Il vuoto ti sale dallo stomaco riempendoti la testa. Spalanchi gli occhi per assorbire la luce, ma nulla rischiara l’oscurità che ti avvolge.
Tua moglie è come tua madre: organizzata e rassicurante. Ci vuole polso per gestire i gemelli.
Sei un coglione, non vedi come ti tratta? Non sei mai libero di fare quel cazzo che vuoi, ti comanda a bacchetta.
C’è tanto da fare e tu hai poco fiato. Lei è più brava.
Questa situazione di merda è tutta colpa sua. Vive solo per i figli e la casa. Tu non esisti.
La sottile lancetta fosforica dei secondi avanza silenziosa, le altre sembrano immobili, è impossibile sorprenderne il movimento. Ti alzi per bere un bicchiere d’acqua in cucina.
Lo sguardo ti cade sul ceppo dei coltelli.
Saresti libero.
Scuotendo la testa, sciacqui il bicchiere e lo appoggi nello scolapiatti.
L’idea risale il tunnel della tua coscienza, cerchi di ricacciarla indietro. No. Non puoi pensarlo veramente.
Afferri un coltello, ne saggi il filo sul pollice.
Libero. Libero. Il pensiero sgomita nella tua mente. Saresti libero.
Rimetti a posto il coltello.
«Puoi comperarmi Donna moderna?» ti chiede tua moglie. «Per favore, porta anche i bambini dal giornalaio, così finisco di mettere in ordine e poi passo la cera.»
«Sì, va bene.»
Una bestemmia ti brucia in testa. Neanche il sabato si può stare in pace. Perché si inventa sempre qualcosa di nuovo da fare?
«Papà, me lo compri? Per favore me lo compri? Me lo compri?» ti dice il bambino aggrappandosi alla tua manica.
«Non è giusto!» urla il fratello, tirandoti l’altra manica.
Sei stufo marcio di dover decidere per delle stronzate. Te lo compro così stai zitto e non mi rompi più i coglioni, ma poi tua madre dirà che non è educativo, che non bisogna sempre dire di sì. Però, cazzo!, io dico sempre di sì. Per me va bene, allora?
«Tu ne hai presi due l’altra volta, e io uno solo…» grida.
«Non è vero!»
I gemelli si strattonano i maglioni.
«La mamma ha detto di no» dici. È lei la cattiva, vorresti aggiungere, io ve li comprerei e la finiremo qui, ma è lei che non vuole.
«Allora divorzia…» ti dice l’amico, davanti a un bicchiere di birra.
«Non sarei libero lo stesso» spieghi. «Ci sarebbero i bambini nei weekend, la scuola da seguire, gli alimenti da pagare…»
«Scappa. Fai come quegli amministratori di condominio che volano a Capo Verde con la cassa. Lì non c’è estradizione.»
L’amico parla a vanvera, è distratto dalle tette di una tizia al bar. Lui può, è single. Ma immagini le risposte. All’estero non saresti un cervello in fuga, dovresti ricominciare dal nulla, senza amici, con pochi soldi, facendo lavoretti mal pagati e farfugliando una lingua straniera che ancora non conosci. Non c’è soluzione. Hai trentacinque anni e ti hanno già condannato all’ergastolo familiare.
Libero, libero, libero.
Sfili il coltello dal ceppo.
Fermati! Cosa credi di fare? Affacciato alla finestra dei tuoi occhi, ti vedi salire nella stanza dei bambini.
Meglio cominciare dal più vicino alla porta, potrebbe scappare e svegliare la madre. La piccola luce verde rischiara la camera. Dorme su un fianco. Avvicini la mano sinistra come per accarezzarlo, mentre con la destra impugni il coltello. La lama entra nella gola con facilità, il sangue sgorga scuro, ma la carotide è dura, cartilaginea. Il corpo è scosso dai tremiti, premi la mano sulla bocca per non farlo gridare.
Quando la carne è immobile, torni a respirare. Ti sembra di aver trattenuto il fiato dal momento in cui la lama è entrata nella pelle morbida.
Una voce giudiziosa in fondo alla testa tenta di farti ragionare, ma la rinchiudi nel cranio, non vuoi ascoltare le sue chiacchiere. Il secondo gemello, che dorme supino, offre la gola nuda: è più facile. Avvicinandoti calpesti qualcosa di soffice. Merda! Ti chini per raccogliere il pupazzetto. Il bambino si gira verso di te, sotto le palpebre le pupille si muovono. Sta sognando, emette un mugolio da cucciolo.
La voce sta grattando i muri della gabbia d’osso. Sei un pazzo, un assassino, quello è tuo figlio… La ricacci nell’oscurità, fasciandola in un bozzolo di neuroni molli. La tua vera voce, potente e viscerale, ti dice di essere libero. Tagli in profondità la gola, da orecchio a orecchio, e mentre il sangue scorre, tappi la bocca di tuo figlio. Piccoli movimenti inconsulti. È solo un brutto incubo, non agitarti, finirà presto.
Ora la voce, dentro la cupola buia del tuo cranio, si dispera. Basta… ti scongiuro.
Ma tu devi finire. Poi sarai libero.
Nella camera matrimoniale, tua moglie ti dà le spalle. Ti distendi silenzioso al suo fianco, ascoltando il suo respiro. Hai imparato: la mano sinistra per impedirle di gridare, il fendente alla gola, brevi sussulti in attesa che il corpo si quieti. Ma lei si gira, apre gli occhi velati.
«Che c’è?» borbotta.
Non sai che fare con il coltello a mezz’aria pronto a colpire. Lo sguardo di tua moglie diventa vigile, terrorizzato: agita gambe e braccia, impacciate da lenzuola e coperte. È difficile chiuderle la bocca perché scrolla la testa per liberarsi. Urla. Le monti sopra per tenerla ferma, ma cerca di disarcionarti. Allora ti butti di peso su di lei, le stringi la gola con una mano. Esce un grido che solo la tua stretta riesce a spegnere. Lei libera un braccio e ti graffia la faccia. Brucia, e infiamma la tua rabbia. Ti ricorda le umiliazioni di quella stronza che ti vuole tenere prigioniero di una famiglia. Allora le infili il coltello nella gola, finché zampilla il sangue che imbeve il cuscino assetato. Colpisci, colpisci, colpisci per essere libero.
Quando il suo corpo è inerte, ti distendi esausto, galleggiando in un oceano rosso che a ondate spumeggianti sommerge la stanza.
Degli occhi increduli, sotto la pelle della tua faccia, attraverso i tagli delle palpebre, fissano il letto. Cosa hai fatto? Sei matto furioso, mormora una bocca che sta dietro le tue labbra.
Ti osservi le mani. Dita sottili da impiegato, la fede d’oro, quattro lunghe linee che tagliano i palmi e linee, linee, linee dove si è depositato il sangue. Hai la gola stretta in un cappio e ti senti come avessi ricevuto un calcio allo stomaco.
Sei libero, ma sembra meno vero di quando te lo ripetevi prima.
Come puoi continuare a vivere con il peso di quello che hai fatto?
Attraverso l’ovatta del cervello, senti una sirena della polizia che si allontana. Poi il silenzio. È notte, nel quartiere stanno ancora tutti dormendo.
Sei finalmente libero, non meriti la morte o la prigione. Hai diritto di riprenderti la tua vita da uomo libero. Ora ti laverai, come tutti i giorni, e aspetterai le sette per andare al lavoro. Prima di partire, aprirai il gas e, sul timer del microonde, programmerai l’accensione alle otto e mezza, per quindici minuti, alla massima potenza. Nessuno avrà ancora telefonato a tua moglie, che comincia a lavorare alle nove, e a scuola, non vedendo i bambini, penseranno siano ammalati. Dentro al forno hai messo dei fogli d’alluminio accartocciati e il pupazzetto di plastica. Faranno incendiare il microonde, l’hai visto in un video di YouTube. Domani ascolterai al telegiornale: un gioco pericoloso, una tragica coincidenza, una famiglia distrutta.
E sarai libero.
«Papà, ricordi la favola dei due fratelli che la mamma ci leggeva quand’eravamo piccoli?»
«Volevate sentirla ogni sera prima di andare a letto.»
«Ce la racconti?»
«Per favore, papà…»
«Sì, va bene, cuccioli.»
L’autore
Maurizio Donazzon
I suoi racconti, contemporanei e di genere, sono presenti nei litblog WebSite Horror, Il Paradiso degli Orchi, Lahar Magazine, Sguardindiretti, Spazinclusi, Verde Rivista. Autore presso Spazinclusi.
Foto:
<a href=”https://it.freepik.com/foto-vettori-gratuito/mano”>Mano foto creata da Racool_studio – it.freepik.com</a>