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Natale blu

di Francesca Chiarelli

Nicola Santo era un amabile e arzillo settantenne di provincia. Viveva a S., un paesino sperduto nell’Appennino toscano, di quelli che per arrivarci c’è solo una sgangherata stradina comunale destinata a morire nel cuore dell’abitato. Di quelli dove d’inverno, quando la neve imbianca gli antichi tetti medievali e i parapetti in pietra del belvedere, gli abitanti non raggiungono le cinquanta unità, mentre in estate una moltitudine di turisti e parenti lontani vengono ad affollare l’unico bar presente per frescheggiare e godere il relax di quelle valli tranquille. 

La casetta di Nicola era un umile terratetto ai margini del paese, costruito da suo nonno cento anni prima. Sulla facciata occidentale un terrazzino si affacciava sulla vallata boscosa e selvaggia, quasi priva di abitazioni e lì, le sere d’estate, il bravo anziano si tratteneva ad ammirare le stelle e fumare la pipa. Nicola viveva solo e si arrabattava per mantenere quella casa se non proprio linda e pulita, almeno in uno stato vivibile, per quanto la sua età attempata gli permetteva. 

Era di bassa statura ma robusto e ancora dritto dritto; i suoi muscoli, sebbene ora ridotti di volume, svelavano la memoria di un’antica forza e gli occhi neri e dolci non erano mai languidi e spenti, ma rilucevano di un riflesso a tratti fiammeggiante. Aveva capelli bianchi, folti e fluenti che avrebbero fatto invidia a tanti trentenni di città e il suo volto duro e rubicondo era incorniciato da una bella e ordinata barba. 

Era da sempre abituato al lavoro fisico, dal quale non si era mai tirato indietro nel corso di tutta la sua vita. Da giovane era stato carabiniere, ma quando era fuori servizio aiutava amici e conoscenti con i lavori più disparati: sapeva essere all’occorrenza idraulico, muratore, facchino, giardiniere. Le sue mani tozze, grandi e pelose erano abili sia nei lavori più grossolani, come lo spaccare la legna, sia in quelli più fini, come quando metteva mano ai minuti congegni di un impianto elettrico. La predisposizione ad aiutare il prossimo, diuturno filo conduttore della sua vita, con la pensione si era ingigantita, forte del guadagno di tempo libero dalle pratiche di ufficio cui ormai lo avevano relegato negli ultimi anni di servizio. 

Nicola si svegliava prima che i galli iniziassero a cantare e già alle sei del mattino era operativo e affaccendato in tremila attività. Il suo animo era così buono, che si occupava dei suoi affari solo dopo che aveva finito di fare del bene per il prossimo. Sia che si trattasse di prestarsi a lavori domestici, dove profondeva tutta la sua esperienza e manualità, sia che si trattasse di intrattenersi a discorrere con qualche anziana signora del paese e, ascoltandola, darle la miglior medicina contro la solitudine, finiva di lavorare e si dedicava al riposo e alla lettura non prima del tramonto. 

In chiunque incontrava era in grado di infondere calore con la squisita dolcezza dei suoi gesti e della sua voce, che tanto cozzava col suo aspetto a prima vista burbero. Anche quando era indaffarato o affaticato dal tanto lavoro in cui costantemente si immergeva (e lo si notava dal sudore che gli imperlava la fronte, lo sguardo assorto e l’espressione sofferente del volto), non negava mai un sorriso a tutto tondo. E quei sorrisi erano così sinceri e infantili, quando arrivavano a strizzare anche gli occhi, così profondi e non semplici curvature delle labbra su un viso di pietra, che non mancavano mai di contagiare la persona cui erano rivolti, donandole un attimo di leggerezza e di tregua dalle ansie e preoccupazioni che l’attanagliavano.

Ma la bontà silenziosa di Nicola non si limitava a questo. Anziano tra i pochi munito di automobile, trovava sempre il tempo di accompagnare chi lo necessitasse nei paesi vicini. S. era un paese così minuto che non vi era nemmeno un negozio di alimentari, e per andare a fare la spesa o recarsi alle poste bisognava attendere l’autobus che faceva solo due corse al giorno. La vecchia Uno verde di Nicola così era sempre a disposizione di chi non avesse i mezzi per spostarsi o di chi desiderasse la simpatica compagnia del vecchietto lungo il tragitto per andare in città.

Per tutti questi servizi Nicola non voleva mai essere pagato. Quando qualcuno dei suoi beneficiari, messo a disagio da tutto quel bene ricevuto cui non era avvezzo, iniziava a tirare fuori il portafoglio dicendo timidamente cose tipo, “Quanto le devo per il disturbo”, oppure “Per favore, mi permetta di sdebitarmi, o di offrirle qualcosa”, Nicola si faceva per un attimo serio e risoluto, rifiutava fermamente e, mostrando come la sua bonarietà non fosse sinonimo di debolezza d’animo, metteva a tacere chiunque senza bisogno di inutili insistenze. 

Nella sua vita non vi era nulla di voluttuario e sapeva che i soldi che avrebbero arricchito il suo introito mensile, dato dalla sola pensione, sarebbero andati ad alimentare quella tentazione verso il superfluo che per Nicola era l’origine di tutti i mali dell’uomo. Addirittura, constatando che riusciva a vivere con molto meno della sua pensione, giacché buona parte del suo nutrimento lo ricavava dalle verdure che coltivava nell’orto e dal pane che si preparava settimanalmente, giacché l’automobile resisteva al tempo viaggiando come quando era nuova e giacché vestiti e suppellettili ne aveva quanti bastavano per sopravvivere alle quattro stagioni, ogni mese donava parte delle sue entrate in opere di bene, a beneficio di poveri, malati e orfani. 

Tutti in paese guardavano con grande rispetto le sue camice a quadri logore e i jeans strappati dall’usura. In una realtà così ristretta tutto si veniva a sapere. Ed era un facile sillogismo per chiunque concludere che il signor Nicola fosse estremamente povero, premesso che fosse carabiniere in pensione, fosse solo e si prodigasse in tanto bene. Ma nonostante la povertà, non si era mai vista in una persona di quell’età tanta serenità. 

In molti, dal prete, al sindaco, alle associazioni e comitati più disparati del comprensorio, avevano provato a ricoprirlo di onorificenze e riconoscimenti, ma Nicola se ne teneva ben lontano. Non voleva diventare un loro oggettino, e desiderava restare fuori dalle possibili bassezze che tali ambienti politici nel loro piccolo avrebbero potuto portare nella sua vita povera all’apparenza ma ricca nella sostanza. Viveva con semplicità, fuori dai riflettori, in armonia con la natura e con gli altri esseri umani. Non gli mancava niente e si godeva gli anni di una vecchiaia fortunatamente in salute e vigorosa senza rimorsi e senza rimpianti. Questa era la vita di Nicola Santo, dove ogni giornata si ripeteva simile alle precedenti alla maniera degli antichi.

A Natale, da sempre il buon Nicola, un po’ per il nome, un po’ per le sembianze, un po’ per i modi dolci, accendeva nelle menti di tutti il ricordo di Babbo Natale, e se ci fossero stati bambini in paese (ma vi erano solo anziani di una stretta fascia di età di cui i suoi settantasei costituivano la mediana) non si sarebbe tirato indietro dal vestirsi di rosso e portare, per una sera, un tocco di meraviglia e magia negli animi di quelle piccole e adorate creature.

Ma la sera di Natale del 2019 Nicola Santo, quel probo e caritatevole vecchietto di cui così bene abbiamo parlato fino a qui, fu prelevato dalla polizia mentre stava consumando una frugale cena al suo umile desco, al termine di una giornata di duro lavoro non diversa dalle altre.

Le due volanti erano arrivate in silenzio risalendo la strada innevata che conduceva al borgo. I lampeggianti blu accesi squarciavano con la loro prepotenza il buio attenuato solo dalla flebile luce di sporadici lampioni e dalle poche luminare con cui gli abitanti avevano addobbato le loro proprietà, attirando l’attenzione di tutti.

Chi lo aveva visto in volto mentre lo caricavano in macchina non poteva che stupirsi, perché mentre si sentiva in cuor suo struggere a una simile vista, che di sicuro tradiva una qualche ingiustizia nei confronti di un così brav’uomo da parte di qualche invidioso (la notte di Natale, poi!), lui era sereno come sempre, lo sguardo franco, collaborativo nei gesti con gli agenti come lo era sempre stato con chiunque; un sorriso pio appena accennato gli illuminava il viso e, come un raggio di sole, riscaldava chi lo circondava anche in una notte fredda quanto il blu dei lampeggianti che ancora accecavano la vista.

Le volanti se ne andarono. Nei giorni seguenti ci fu un gran traffico nel paese. Non bastava che il Natale fosse stato guastato dall’arresto del buon Nicola Santo, adesso ci mancavano le auto della polizia, i fotografi, i giornalisti impertinenti e insensibili a scuotere la pace di un paese ferito.

La notizia parlava di dodici cadaveri di prostitute fatti a pezzi e nascosti nell’abitazione del mostro di S. nel corso degli ultimi dieci anni. Nessuno sapeva niente, nessuno in tutti quegli anni aveva mai sospettato niente; nessuno ci voleva credere. E nessuno di fatto ci credeva, quasi che gli studi investigativi d’eccellenza e le avanzate procedure attuate delle Forze dell’Ordine, che da anni lavoravano al caso, fossero una sorta di scomodo misticismo del più oscuro e gretto genere.