La recensione di Stefano Bonazzi

Quel sottile filo tra vittima e carnefice: Molto a sud di Stoccolma, di Alessio Schiavo

Premessa

Mi ero approcciato a questo libro pensando di trovarmi di fronte all’ennesimo reportage romanzato su una reclusione. Io che da anni ci sguazzo, tra le vite di serial killer e carnefici più o meno famosi, ero già pronto a gustarmi la solita sequenza di torture e abusi da parte di qualche mente deviata dall’ennesimo trauma infantile.

Nulla di più sbagliato.

Il primo romanzo di Alessio Schiavo è un libretto di poco più di cento pagine che ben poco ha in comune con quei tomi sanguinolenti che invadono gli scaffali del thriller. Molto a sud di Stoccolma (Fernandel) è infatti un lungo diario epistolare contraddistinto da uno stile di narrazione e da alcuni geniali escamotage narrativi che lo rendono una lettura originale, se non addirittura unica, nel panorama odierno.

 

La trama si può riassumere in poche righe.

Molto-a-sud-di-Stoccolma-copertinaUn’adolescente di cui non conosciamo il nome viene rapita durante i preparativi per la festa di Halloween in un piccolo paese di provincia. Quando la giovane riprende i sensi, si ritrova prigioniera in un minuscolo appartamento formato da un’unica stanza e un bagno. Non ci sono finestre, nella parte più alta della parete principale spicca uno schermo piatto rinforzato che non può raggiungere, i pochi altri mobili presenti sono un comodino di cartone, un materasso e uno specchio ricavato da una lastra di alluminio. Nulla sembra lasciato al caso. L’ambiente asettico, pulito e i pochi utensili a disposizione hanno punte arrotondate e materiali che incapaci di ferire o ferirsi, anche involontariamente.

Tutte queste informazioni, così come tutto quello che accadrà dalla prima all’ultima riga del romanzo, il lettore lo apprenderà attraverso una lunga sequenza di lettere, anzi, “note”, come le definisce il rapitore, che regolarmente vengono fatte passare attraverso una delle due fessure presenti sulla porta blindata (l’altra è adibita ai rifiuti), unica via di fuga dall’appartamento.

 

Il punto di vista

Il punto di vista è fisso sul rapitore: ogni sua istruzione, ogni ordine, ogni indicazione fornita alla vittima e persino le “condizioni” che essa dovrà rispettare per velocizzare il suo processo di liberazione sono apprese da quei fogli che, a cadenza più o meno regolare, vengono fatti passare nella fessura. Apprendiamo fin da subito, dallo stile con cui sono scritte queste lettere, che ci troviamo alle prese con una mente complessa ed estremamente colta, un despota maturo che ha studiato con minuzia ogni singolo stadio di quella reclusione e ha un piano ben preciso che non ha nulla a che vedere con la banale violenza fisica o l’abuso sessuale ma il cui vero obiettivo, noi, apprenderemo solo nelle ultime pagine.

A differenza del noto caso svedese però, nel romanzo di Schiavo, il rapporto tra vittima e carnefice si farà sempre più teso e privo di tratti empatici. La giovane ragazza infatti, dopo una prima fase di succube smarrimento, affinerà le sue tecniche di persuasione e risponderà alle privazioni del rapitore dimostrando una personalità forte, tutt’altro incline alle imposizioni, che darà vita a un’appassionante e perverso botta e risposta dalle imprevedibili conseguenze.

 

Fuga dalla banalità

Molto a sud di Stoccolma è un romanzo ambizioso nella struttura, nello stile e nella tecnica narrativa. Non ci sono dialoghi, non c’è interazione, non ci sono nomi, se non quello del titolo; tutte scelte azzardate e mai banali che contribuiscono a fornire un senso di claustrofobica ossessione alla prosa e permettono al lettore di calarsi nella mente di una personalità deviata ma mossa da un progetto di (ri)formazione dai risvolti vagamente comprensibili, specie se comparati alla dozzinale banalità di certe meccaniche giovanili odierne.

Un romanzo complesso quindi, che apre a riflessioni mai banali ma che, nonostante la densità della prosa, si legge con avidità. Un’opera affascinante che difficilmente ci si aspetterebbe da un esordiente e in grado di lasciare nel lettore quel sottile senso d’inquietudine che solo una penna consapevole è in grado di gestire.

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