“Sono passata da un buco a un altro e ci sono ricaduta dentro”

Mia e la voragine di Diana Ligorio  — Terrarossa Edizioni

 

Recensione di Stefano Bonazzi — 18/10/2022

 

In questo libro c’è una voragine nel titolo, una voragine nella storia e una voragine tra le due protagoniste. Mia e Alma (che di cognome fa “Distante”, sarà un caso?) non hanno mai avuto un vero dialogo. La madre passa le giornate nello studio pediatrico, si reca ai domiciliari, sembra avere sempre qualcosa di cui occuparsi, un autistico affannarsi di pensieri scientifici, calcoli calorici, liste infinite di precauzioni in cui il nome della figlia appare solo in modo sporadico. Le interessa la sua postura, ha premura che Mia non alzi troppo le spalle per non compromettere lo sviluppo della colonna vertebrale. Mia ha una malformazione alla gamba che la fa camminare strana e quell’arto ribelle sembra avere una coscienza tutta sua, un caratteraccio che si impunta per andare sempre nella direzione opposta, ma la gamba non è l’unica cosa a non funzionare in questa storia.

 

La famiglia di Mia è una coppia ridotta all’osso, lo percepiamo fin dalle prime pagine. Manca un padre, la madre è presente eppure manchevole anche lei e questo genera una vibrazione sottile e costante nei pensieri della giovane protagonista, la prospettiva di trascorrere l’ennesima estate in solitudine è la goccia definitiva di un vaso già colmo.

Mia è sveglia, a tratti impertinente, perennemente insoddisfatta, sua madre ha dato tutti i suoi giocattoli a quei “quadrupedi di pazienti” e ora le resta solo l’immaginazione per erigere un universo personale in cui sopravvivere. Troppo scontato e forse troppo comodo, descriverla attingendo da figure iconiche come Anna dalle trecce rosse o Alice nel paese delle meraviglie, la giovane Mia, più che una ninfetta perbenista da fiaba Disney, mi ha ricordato l’espressione piccata della giovane Jeliza-Rose (Tideland), che di mondi capovolti se ne intende quanto il suo delirante creatore, Terry Gilliam.

 

Siamo in estate eppure a casa di Mia il cibo è “qualcosa di freddo tutto l’anno”, sua madre cucina prendendo a caso quello che trova nel frigorifero, fregandosene delle scadenze, fiduciosa che fiumi d’olio bastino a unire il tutto e dare un aspetto di normalità a una cornice domestica dai bordi sempre più sfilacciati. Le stanze di casa sono un palcoscenico apocrifo che trae spessore da un realismo cedevole, molliccio: architettura fragile, destinata a implodere nella mente di una ragazzina che non è disposta ad accettare la noia di una nuova stagione priva di colori, Dolina è un paese di poche anime e i suoi confini si perdono nei “campi di ulivi dai tronchi mostruosi”. Sopravvivere in un posto simile, a undici anni, è un atto di fede. Fede in una realtà che non può essere quella di sua madre, perché gli occhi di Mia sono fatti d’altro, un visore stroboscopico dai magici poteri, come quegli occhialetti che spuntano in copertina e che si indossano al cinema per illudersi di poter toccare immagini in fuga. Anche a Mia serve una via di fuga, che sia una gruppo di creature grottesche o una voragine emersa dalla terra vicino a casa, poco le importa.

Eccola lì, quindi, una voragine grande quanto Dolina, scherzo di natura oscuro e spaventoso in grado di succhiare “i fiumi delle piogge”, spazzare via la monnezza dalle case e portare tutto al mare. “Chi entra nella voragine non può più fare ritorno”, così dicono i paesani ma i ragazzi a Dolina sono bestie che passano le giornate a rovistare nei rifiuti e delle minacce adulte se ne infischiano. C’è un mondo altro sotto quei cumuli di cianfrusaglie abbandonate accanto al canneto, un mondo popolato da creature bizzarre con “la testa di cervo, il corpo di cicala e la coda di sirena”. Aldo, Loris e Lucia non sono gli unici selvaggi a muoversi nella vegetazione e l’avvistamento di Tonia Pungente, una pazza-vestita-da-pazza che se ne va in giro con un telo di plastica trasparente arrotolato come un tubo a mo’ di coda sarà solo il primo Bianconiglio di una serie di incontri via via sempre più bizzarri.

 

Mia e la voragine è un romanzo che si diverte a mischiare piani di realtà. Passare da un capitolo all’altro può ricordare i livelli di un videogame: siamo consapevoli del contesto generale ma impreparati alle situazioni che dovremo affrontare. Lo stupore di Mia è lo stupore del lettore, così come il timore nel proseguire in questo mondo metafisico, dove le scoperte sono anche ricompense.

Il romanzo di Diana Ligorio è un’opera i cui toni, solo in apparenza fiabeschi, nascondono numerosi strati di interpretazione: ci si può fermare alla superficie, oppure si può scegliere di arrendersi e lasciarsi travolgere all’interno di un viaggio ipnotico, stordente e bulimico, senza preoccuparsi troppo di metafore o psicanalisi, tornando all’età dell’inspiegabile e dei Peter Pan capaci di stupirsi alla vista di un mondo popolato da insetti vorticanti, pipistrelli parlanti, relitti dimenticati e fiumi da domare sopra zattere improvvisate.

Un viaggio dell’eroe il cui tempo è scandito da lancette capovolte, implacabili: manca il bisogno per compiangersi, non c’è possibilità di fermarsi, occorre solo lasciarsi travolgere da questa giostra vorticosa in perenne discesa.

Che sia la strafottenza di una banda di ragazzi-belva, le bizze di una gamba sciancata o una madre che per cena riesce a mettere in tavola solo gelato, questa folle storia ci insegna che non sempre necessitiamo di un appiglio per affrontare l’ostacolo, che crescere non è per forza una condanna e che una frana non è solo sinonimo di caduta.

 

Mia e la voragine

Diana Ligorio

Terrarossa Edizioni

14,90 euro — 132 pagine

Leggi anche – “Brucia l’aria”, di Omar Di Monopoli