Racconto 4° classificato alla call #iorestoacasa

di Michela Mercuri

 

Le dita ossute degli alberi mosse dal vento sembravano lanciare incantesimi e a ogni colpo di bacchetta una bomba cadeva dal cielo scagliandosi sulle rovine della città. La brezza salmastra soffiava sulle strade di Napoli sollevando una cortina di polvere che avvolgeva la città col suo grigiore. I vicoli acciottolati erano spenti e tetri, le piazze deserte, i teatri vuoti, come se il tendone di velluto di un grande sipario avesse soffocato la vita cittadina privandola di ossigeno e creatività.

 “Pater Noster” e “Ave Maria” risuonavano in casa Gargiulo.

Donna Annunziata, con le dita raggrinzite che scivolavano sui grani scoloriti di un rosario, somministrava alla famiglia la dose quotidiana di preghiere, gettando occhiate inibitorie ai nipotini irrequieti.

«Gennarì, stai fermo» bisbigliò donna Incoronata all’iperattivo figliuolo. Parlava come un ventriloquo per eludere la rigida sorveglianza della matriarca.

Donna Annunziata si schiarì la voce rauca con un colpo di tosse e continuò a cantilenare.   Gennarino sospirò. Un boato interruppe il doveroso canovaccio.

«Non è niente, bell’è mammà» singhiozzò Incoronata alla piccola Maria prendendola tra le braccia.

«Vuless a papà…» balbettò Mariolino.

«Non vi spaventate.» Li rassicurò donna Annunziata con il volto di una candela sciolta.

«Mariolì fuori c’è la guerra!» rispose Giacinta.

La gamba dello sgabello, sul quale era seduta donna Annunziata, scivolò. I grani del rosario rotolarono sul pavimento ruvido. Tutti rimasero in silenzio, mentre donna Incoronata aiutava la sua vecchia mamma a rialzarsi.

Mariolino divenne rosso in volto, gonfiò le guance e si portò una mano davanti alla bocca. Osservava donna Annunziata dimenarsi sventolando le braccia, come una cimice caduta sul dorso, incapace di ritrovare nell’oscillazione il verso giusto. Focalizzò, nella sua mente, la nonna con le antenne e la corazza verde. Kafka non avrebbe saputo fare di meglio. Quella mano davanti alla sua bocca non riuscì a contenere la comicità della scena sotto i suoi occhi. Una grassa risata screditò l’autorità della nonna.

Donna Annunziata si rialzò a fatica, rifiutando con sgarbo l’aiuto della figlia. Poi si diresse in cucina e tornò sguainando un matterello.

«Disgraziato!» urlò colpendo Mariolino sulle spalle.

«Nonna, basta…» si difendeva il bambino cercando di schivare le botte.

«Si stat’ tu!»  ringhiò la vecchia continuando a colpire.

«Non è vero!»

«Sei l’unico seduto vicino a nonna» si intromise Gigliola. «Le hai fatto uno sgambetto.»

«Bugiarda!»

«E chi è stato, sco-stu-ma-to?» Chiese donna Annunziata sillabando a ritmo di matterellate.

«U mazzamauriell

Lo sguardo della vecchia si fece tagliente, le rughe che le increspavano il viso si accartocciarono ancor di più. Acciuffò Mariolino e lo trascinò nell’angolo. Le sue dita coriacee affondavano nell’esile braccio del bambino; lo brandivano come un sigillo sulla soffice carta di una pergamena.

«Se c’è una cosa che non tollero sono le bugie» sentenziò lasciando la presa.

Antonietta corse a prendere un barattolo di vetro dalla credenza, lo aprì sospirando e ne riversò il contenuto sul pavimento.

Mariolino si fece forza per non piangere, pur sapendo cosa lo aspettasse. Non voleva darla vinta alla nonna e affrontò la punizione con dignità. Si inginocchiò contro il muro della cucina, il suo buffo naso aquilino sfiorava la parete. La puzza di muffa penetrava nelle sue narici fino a fargli venire il voltastomaco. Le ginocchia, perennemente sbucciate, dovettero poggiarsi su tanti piccoli ceci secchi sparsi sul pavimento.  Pungevano come aghi e spilli.

«L’eterno riposo, dona loro Signore» Il rosario proseguì indisturbato finché il segno della croce sancì la fine della preghiera.

«Mi raccomando,» lo ammonì Donna Annunziata «non ti muovere di un centimetro che sennò si perdono i ceci e la prossima volta con che ti punisco?»

Uscirono tutti; nonna Annunziata e donna Incoronata, con un canestro di panni da lavare in equilibrio sulla testa, si diressero alla grande fontana. Giacinta, Antonietta e Maria corsero nel cortile per giocare.

Mariolino si contorceva, rimasto da solo, a espiare l’ingiusta colpa. La punizione non sarebbe terminata prima di un paio d’ore.

Inaspettatamente però sentì un rumore provenire dal camino. Si voltò e vide due orecchie appuntite scomparire nella canna fumaria.

Si alzò, scrollandosi i ceci che erano rimasti attaccati alla pelle.

«Ti ho visto. Lo so che sei tu» esclamò avvicinandosi.

Lentamente, dalla sommità dal camino, comparvero due piccoli piedi avvolti da stivaletti dalla lunga punta all’insù che planarono sulla cenere.

«Mazzamauriello, è tutta colpa tua» disse Mariolino indicando il segno dei ceci stampato sulle ginocchia.

Sul volto ovale della creatura comparve un sorrisino sarcastico che attraversava le guance verdi da parte a parte. Il Mazzamauriello cominciò a saltare vorticosamente in su e in giù; tizzoni schizzarono dalla brace riversandosi ai piedi del camino e sollevando una nuvola di cenere che invase la cucina dappertutto.

Mariolino starnutì e si strofinò gli occhi annebbiati.

Il Mazzamauriello, prima di scappare via, fece una giravolta sui ceci che, come tante perle, rotolarono sul pavimento disperdendosi sotto i mobili. Mariolino lo inseguì.

Oltrepassarono il cortile, poi uscirono dalla masseria e si tuffarono nei vigneti. Il Mazzamauriello correva veloce, saltellando proprio come un canguro, e, di tanto in tanto, guardava indietro ridendo a crepapelle. Poi entrò in un campo di grano.

Mariolino si fermò titubante, poi urlò: «Vigliacco, vieni allo scoperto».

Sentiva il fruscio delle piante al passaggio della creatura ma non riusciva a vederla. Raccolse il suo coraggio e, facendosi largo tra le spighe, avanzò a tentoni. Continuò a cercare instancabile, col proposito di ottenere vendetta, ma attorno a lui tutto era muto e immobile. Persino il vento aveva smesso di soffiare.

«Lo sapevo. Sei una piccola verruca spaventata!» esclamò. L’eco della sua voce risuonò in lontananza.

Una pera lo colpì forte. Mariolino poggiò istintivamente la mano sulla fronte massaggiando la parte colpita. Un’altra pera atterrò sulla sua spalla, questa volta più delicatamente. Si diede una pacca alla maglietta. La polpa del frutto marcio si era incollata sulla stoffa. Donna Annunziata questa volta si sarebbe infuriata sul serio. Gliel’aveva lavata appena tre giorni prima. Questa me la paghi, pensò arrabbiato.

Si sollevò sulle punte dei piedi per guardare oltre la distesa di grano e al confine con l’orto intravide un grosso pero. Corse verso l’albero e si arrampicò. Mentre tentava di salire cingendo il tronco con le gambe, la tasca posteriore dei pantaloni si impigliò in un ramo. Fu un attimo. Sentì la cucitura cedere e la stoffa strapparsi.

«Aspetta che ti prendo! Fosse l’ultima cosa che faccio!» gridò furioso sforzandosi di restare aggrappato.

Dalla cima del pero, il Mazzamauriello fece capolino. Il sorriso divertito si trasformò in una larga boccaccia. La lingua lunga e biforcuta si arrotolò su se stessa come una trombetta di carta. Mariolino esplose di rabbia. Allungò un braccio, colse una pera e la lanciò con forza, centrando il bersaglio. Il Mazzamauriello cadde ai piedi del pero.

Mariolino scese velocemente dall’albero ma la dispettosa creatura era sparita nel nulla. Le impronte dei suoi stivaletti erano impresse nella terra fangosa ma di lui nessuna traccia.

Che catastrofe! pensò. La mia unica speranza era catturarlo e farlo vedere a nonna. Altrimenti altro che ceci… San Gennà, aiuteme tu.

Il sole calante infiammava ormai il cielo trasformando il paesaggio in un acquerello.

Desolato, Mariolino intraprese la strada di ritorno verso casa. Le ginocchia gli facevano ancora male.

Ogni tanto, toccava lo strappo sui pantaloni per constatare quanto fosse grave il danno. Sentiva già il dolore delle botte. Il volto, stanco e mortificato, era sporco di cenere e di terra, tanto che le goccioline di sudore lasciavano una scia di pulito sulla pelle opaca. Quell’avventura inconcludente gli sarebbe costata anche un bagno, nonostante si fosse lavato soltanto da due giorni.

Arrivato nel vigneto, si ricordò del disastro nella cucina. Tutti avrebbero dato la colpa a lui. Affrontare il Mazzamauriello era una cosa, ma nonna Annunziata…

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Non poteva tornare, non senza un piano per affrontarla.

Affiorò un pensiero: Scappare lontano… in un posto sperduto… fino ai confini della terra.

«È tutta colpa sua!» sospirò profondamente sforzandosi di non piangere. «Spero di non vederti mai più.»

Udì il suono di un tamburello proveniente da qualche parte tra le viti. Non vedeva nessuno, sentiva solo quel ritmo martellante aumentare di intensità.

La creatura giocava, vivacemente appollaiata su un tralcio. Mariolino la raggiunse e tentò di acciuffarla, ma il Mazzamauriello fece un salto e si tuffò nel terreno come se fosse acqua. Mariolino si precipitò a terra cercando di seguirlo ma la tana scavata era troppo piccola. Infilò la mano impavido. Le dita affusolate sfiorarono qualcosa di freddo.

Sobbalzò.

E se fosse un serpente? si chiese impaurito. Lui aveva sempre avuto il terrore di tutti gli animali che strisciano.

Pensò al matterello, ai ceci, a nonna Annunziata. Cominciò a scavare a mani nude. Mentre rimuoveva la terra, intravide uno scintillio in fondo alla tana. Batté diverse volte le palpebre; non poteva crederci. Era una piccola pentola piena zeppa di monete d’oro.

«Mazzamauriè» esclamò ciondolando, poi sorrise: «Quando vuoi… d’ora in poi possiamo sempre giocare insieme.»

Mariolino si avviò verso casa, con la consapevolezza che una pentola piena di monete, soprattutto in tempo di guerra, gli avrebbe assicurato baci, abbracci e gratitudine per molto, molto tempo.

 

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