Muruaneq cafè – una rubrica di Davide Morganti
“Lolò, il principe delle fate”, di Magda Szabó: una favola degli anni ’50
L’Ungheria, con la sua lingua, è una delle zone più sotterranee d’Europa, la sua è una scrittura che scava nelle parole, nella pagina, nei lettori e lo ha fatto per tutto il Novecento, da Dezső Kosztolányi a László Krasznahorkai, da Imre Kertész a Magda Szabó, quest’ultima scrittrice fervida e potente che quando racconta ci inizia a noi stessi. Nel libro pubblicato da una casa editrice necessaria ed elegante come Anfora – fondata da Mónika Szilágyi e da suo marito Lapointe – il titolo è “Lolò il principe della fate” (pag. 255, tr. it. Vera Gheno, euro 16,90) e custodisce le le ipnotiche illustrazioni di Ivett Lénart e Réka Imre e la postfazione di Antonella Cilento. Il regno delle fate è un mondo armonico, gioioso ma Lolò, figlio della regina delle fate Iris, si comporta in modo anomalo: ruba le pozioni magiche per trasformarsi in bambino, prende di nascosto le ali della madre per incontrare gli umani; la storia la vede prossima al matrimonio, matrimonio ostacolato da cupe forze interne; il pericolo non viene dunque dal mondo esterno, quello degli umani considerati pericolosi e con i quali non è consentito alcun contatto. Lolò, il principe delle fate di Magda Szabó (Anfora, 2020, traduzione e cura di Vera Gheno) è una bellissima fiaba in cui ogni personaggio rappresenta microcosmi rizomatici. Il rischio crudele del potere è di trasformare cuore e mente in tirannia, quella che domina il mondo rendendolo succube. Lolò, il principe delle fate, pubblicato nel 1965, è una fiaba bellissima sulla manipolazione malvagia che la traduzione emotiva di Vera Gheno restituisce nella sua forza più intima. Il libro, sia chiaro, si muove sulle pagine con incanto senza pesi ideologici.
“Aterpater non spense affatto i suoi candelabri, anzi, nella sua euforia illuminò ogni sua sala, perfino la sua stanza segreta; andava su e giù per il suo palazzo, suonando allegramente il piffero. Suonava una melodia molto malvagia, perché mentre le sue dita si muovevano sullo strumento, da ogni singolo buchetto serpeggiava del fumo nero, il Pesce Muto si mise a danzare alla strana melodia”.
La scrittura della Szabó è lieve, tesse la trama con felice invenzione sulla straordinaria figura di Lolò che vuole essere un bambino e non una fata (anche al maschile, in ungherese) anche questo significa rinunciare ai privilegi; essere dalla parte umana e prendere su di sé la colpa e l’errore, la transitorietà e la pena ma questo vuole dire stare davvero nel mondo. Uscendo finalmente dal regno che è paradiso asettico, privo di qualunque interesse per la vita. Libro per bambini, dunque, che ha lo sguardo dell’adulto.
“Lolò indossò un abito da visita, per compiacere sua mamma si mise anche le ali, anche se questo non gli piaceva tanto, perché aveva solo ali da scuola e quando tornò da camera sua per salutarla, aveva le braccia piene di denti di leone fatati, raccolti nel giardino della reggia”.
Si tratta di un romanzo che ha la gioia della narrazione e la pensosità delle analisi fatte di incantesimi e di inganni, di ribellioni e di voglia di cambiare; è la vita, quella che racconta con maestria Magda Szabó, senza bisogno di aggiungere altro.