a cura di Graziano Gala e Gaia Giovagnoli

Intervista a Sofia Fiorini

 

Sofia_Fiorini_fotoQuali sono i tuoi maestri (non solo letterari: cinema, musica, arte figurativa, ecc.)?

Cristina Campo, Emily Dickinson, Pasternak, Leopardi sono quelli che non smetto mai di leggere – e dei quali sento non potrei fare a meno. Una menzione a parte va alla classicità latina, che per me non è solo maestra (penso in particolare a Ovidio, Catullo, Virgilio, Lucrezio), ma persino un terreno fertile per la pratica della letteratura, un vero attivatore della scrittura. Questo perché la lingua latina, la sua letteratura, risveglia in me più di ogni altra cosa l’amore della lingua – e questo avviene quasi senza discrezione, dall’iscrizione sul vaso di Dueno ad Agostino. Mi piace aspirare alla lingua dei classici, dove tutto quello che è scritto ci raggiunge – forse in modo così forte per il fatto di essere, noi, moderni – come significante, in forza di una semplicità che è trasparente corrispondenza con le cose. In quella letteratura ritrovo qualcosa che risveglia il suono, il senso, il mito, come nient’altro.

Diversamente, gli influssi delle arti figurative e della musica sono stati troppo marginali, almeno per ora, per essere significativi nel mio percorso di scrittura – e ancora quello del cinema.

 

Quali poeti della tua generazione senti affini (per temi e/o scelte formali)?

La storia del mio scrivere poesia è necessariamente sorella di altre esperienze nate in contemporanea. Ho iniziato a scrivere poesie da adolescente, quando Isabella Leardini (che è stata ed è la prima dei miei maestri) portava per la prima volta i suoi laboratori nel mio liceo, a Rimini. Insieme a me c’erano quelle che sarebbero diventate due brave poetesse, il cui lavoro stimo e osservo sempre con grande curiosità – sono Ivonne Mussoni e Federica Bologna.

Ma tutto quello che incontro in poesia – online, nelle antologie, ai festival – tra i miei coetanei, è in qualche modo di ispirazione. Tra le voci amiche, Eva Laudace è l’autrice i cui temi sento più visceralmente vicini – portati avanti con una assoluta originalità di stile.

Infine, ho letto con grande ammirazione il libro d’esordio di Gianluca Furnari e, per citare tra i miei compagni di collana, ho apprezzato molto la poesia di Gaia Ginevra Giorgi.

 

Cosa cambieresti del panorama poetico di oggi?

Qualcosa da cambiare riguarda a mio avviso il sistema editoriale. Il divario tra i piccoli e i grandi editori è smisurato, con una proliferazione continua ma spesso fugace da una parte e una concentrazione in pochi vertici dall’altra. Sarebbe bello vedere aprirsi i grandi editori anche ai nomi meno noti, avere il coraggio di scommettere sui più giovani quando ne vale la pena, e al contempo vedere crescere nella distribuzione i piccoli editori.

E il rovescio della medaglia di questa fiducia elargita ai più giovani dovrebbe essere quindi, da parte di chi scrive, una severità: oggi forse quello che vale più di ogni altra cosa è il silenzio, perché manca. Quello che si compie ogni volta che si scarta una poesia non all’altezza, ogni volta che si è irremovibili sulla qualità, ogni volta che si dice no a qualcosa anziché sì, ogni volta che si aspetta – anche per tutto questo non ci vuole pazienza, ma fiducia.

 

Quale pensi sia il ruolo di internet nella poesia contemporanea?

Penso che sia un crocevia irrinunciabile, non meno importante per esempio della distribuzione in libreria. In questo senso, Interno Poesia è un esempio encomiabile di presenza online. Ma anche le case editrici che non hanno nel web le proprie radici devono investire in questo senso. Se qualcosa manca online, è come se mancasse nella realtà, anzi è più che se mancasse nella realtà. Questo non è né bene né male, ma è così.

Poi ovviamente non esiste solo la ricezione di un prodotto esterno sui social, ma anche un certo tipo di poesia che nasce e vive (e muore) lì. Ed esiste anche un modificarsi dei confini della pratica stessa della poesia.

L’interesse verso la poesia è fortissimo, e Instagram non è l’ultimo a dimostrarlo. Anzi credo che proprio la vitalità che si manifesta sui social sia prova del bisogno reale della parola scritta, di vedere la parola isolata tra gli spazi bianchi. E questo bisogno è così forte, mi sembra, in chiunque, quasi fosse biologico, da dare origine e poi grande seguito a quello strano fenomeno che è l’instapoetry – che non si capisce poi bene dove inizi e dove si fermi, tante sono le contaminazioni.

Credo che tanti, che magari non hanno avuto la fortuna di incontrare un maestro che li guidasse, inizino a scrivere proprio da qui, da una parola isolata – e con parole isolate, sperando di evocare un senso pieno, rivelatore, di saperle usare. Solo dopo si scopre che non può essere così semplice la rivelazione di un significato. Ma è pur sempre un primo passo. La circolazione della poesia, su Instagram e nei vari meandri del web, di autori e di libri potenti, di un uso davvero sapienziale della parola, la poesia come conoscenza per via di scoperta, sarebbe un ottimo anticorpo per la parola messa in bianco, la parola spenta proprio quando, eccitandola, la si vorrebbe accendere.

 

Chi è Sofia Fiorini

Sofia Fiorini è nata a Rimini nel 1995 ed è laureata in Italianistica all’università di Bologna. Nel 2015 ha vinto il premio Violani Landi, sezione Poeti Inediti. Nel 2016 è stata finalista al Premio Rimini per la poesia giovane. “La logica del merito” (Interno Poesia, 2017. Prima ristampa, 2018. Seconda ristampa 2019) è il suo libro d’esordio, risultato finalista al Premio Solstizio Opera Prima 2018 e al Premio Prato 2020.

 

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