Intervista a Salvatore Azzarello
Quali sono i tuoi maestri (non solo letterari: cinema, musica, arte figurativa, ecc.)?
Da un punto di vista accademico e umano mio maestro è stato il prof. e poeta Fabio Pusterla. Non saprei dire quanto della sua poesia è penetrata nella mia. A un livello più superficiale e apparente direi nulla. Ma forse una certa qual gravità di tono mi è stata utile nell’affrontare i temi più importanti della mia raccolta d’esordio. Più giovane, conobbi il poeta Davide Rondoni, a cui devo la prima apertura della mia poesia al mondo. Ma anche qui, non so quanto del suo sguardo o stile sia rimasto in me. Alcune poesie di quel periodo riflettono la sua lettura. Una lettrice attenta de Le cose che esistono, letto il verso “le occhiaie infossate, il sorriso pirata”, commentò “troppo rondoniano”. Ma si tratta di un caso isolato.
Quanto ai “classici” del Novecento, nessun percorso poetico mi ha più affascinato di quello di Attilio Bertolucci. Dalle atmosfere lattee delle prime due raccolte alla Capanna, i Quartets italiani, poi il dolore del Viaggio d’inverno e alla fine l’epica dei sentimenti, la Camera. Il suo vissuto: la sensazione di una “adolescenza lunga”, il sentimento di “vergogna” della poesia, l’importanza della “pazienza”. Il binomio pazienza-vergogna nella mia raccolta lo devo interamente a lui. E poi i riferimenti letterari: la sua frase “il mio Novecento può fare a meno di Valery ma non di Frost” è il più bel programma poetico del secolo scorso.
Quali poeti della tua generazione senti affini (per temi e/o scelte formali)?
Leggo poca poesia giovane e non mi permetterei di dare un giudizio definitivo. Se mi si chiedesse chi dei miei coetanei ha già da ora possibilità di essere ricordato tra cinquant’anni, direi Gianluca Furnari. Ma non voglio con questo offendere i miei coetanei: la maggior parte è alla prima raccolta, qualcuno alla seconda, credo sia normale essere ancora acerbi; lo stesso vale per me. Personalmente non sento particolari affinità con nessuno dei giovani poeti letti.
Cosa cambieresti del panorama poetico di oggi?
Per quanto concerne i “grandi” viventi, ho l’impressione che le loro recenti produzioni procedano nella forma di tante attività tra loro irrelate. Non vedo cioè sufficiente dialogo; il che è strano dato il proliferare di eventi, “dialoghi sulla poesia”, ecc. Che siano tutti eventi autoreferenziali? Spero di no.
Quanto, ancora, ai miei coetanei: credo che il problema principale sia la presenza di un codice poetico formalizzato. Ciò forse è dovuto in parte a un, diciamo, gioco sociale di mutuo riconoscimento, e in parte a una omogeneità di letture. Furnari, ad esempio, mostra con la sua poesia l’assidua frequentazione della letteratura latina, e direi che anche grazie a questo riesce a distinguersi.
Quale pensi sia il ruolo di internet nella poesia contemporanea?
Sono molto fiducioso nelle possibilità di internet e credo sia molto utile avere, quasi sempre, una piccola anteprima di tutto ciò che esce, gratis e da casa propria. Non condivido i dubbi sulla reliability della fonte. Quanto è più affidabile oggi il cartaceo, con tante case editrici che pubblicano qualsiasi cosa dietro compenso? Alla fine, in un modo o nell’altro, la responsabilità della scelta è su noi lettori, e sulla rete dei nomi di cui ci fidiamo.
Chi è Salvatore Azzarello
Salvatore Azzarello (Termini Imerese 1993) è laureato in Italianistica presso l’Istituto di Studi Italiani di Lugano. A oggi è dottorando presso l’Università degli Studi di Palermo. Si occupa di ricezione e traduzione di poesia inglese nel Novecento italiano. Le cose che esistono (‘Round midnight 2017) è la sua raccolta d’esordio. Ha partecipato a diversi festival nazionali e discusso la sua raccolta presso il Centro di Poesia Contemporanea di Bologna. La sua poesia è menzionata tra le voci più promettenti della contemporaneità in Costellazioni di Giorgio Ghiotti (Empiria, 2019).