Intervista a Roberto Minardi

 

Roberto_Minardi_fotoQuali sono i tuoi maestri (non solo letterari: cinema, musica, arte figurativa, ecc.)?

Gli insegnamenti che ho ricevuto, sia a livello artigianale che etico, provengono da un insieme disparato di figure, episodi, luoghi dove ho vissuto e letture che sono andati scolpendosi, affinandosi e accordandosi nel tempo. Non ho avuto dei maestri nel senso verticale del termine, posso però indicare alcuni autori o libri letti che hanno avuto un impatto pregnante sulla mia concezione della poesia.

Comincerei dai cantautori che ascoltavo, sia italiani che stranieri. Da piccolo, furono cantanti come Francesco De Gregori e Ivan Graziani o, in adolescenza, Fabrizio De André, Bob Dylan, i Doors, a mostrarmi col loro bagaglio espressivo il potenziale sconfinante delle lingue. In tarda adolescenza ebbi la fortuna di leggere raccolte di alcuni poeti beat americani, di Boris Vian, di Vladimir Majakovskij, di Garcia Lorca. Tutte penne scapigliate, energiche, che mi offrirono una visione della poesia molto diversa da quella che veniva trasmessa a scuola. Grazie a loro scoprì la possibilità della poesia, il fatto che poteva essere a portata di tutti, e che certa libertà formale non apparteneva solo al mondo della musica. Si poteva scrivere senza essere ingessati e senza dover essere “un grande”. Si poteva usare la poesia per rompere con il linguaggio convenzionale e rivitalizzarlo.

Poi arrivò la lettura di Ossi di seppia, Eugenio Montale. La sua maestria armonica e le visioni espresse con semplice profondità, costituirono un ridimensionamento delle mie velleità necessario, in quel periodo, per cominciare ad affrontare l’arte della poesia con il dovuto impegno. E al contempo mostrava come si possono scrivere delle poesie perfette affidandosi a immagini e un linguaggio concreto.

Trasferitomi per un periodo a Panama, affondai la mia ricerca nel mondo della poesia latino-americana. L’aspetto materico, sincretico, l’apparente immediatezza, l’uso dello strumento poetico direttamente proporzionale all’urgenza sociale che lo nutre (penso per esempio ai poeti avanguardisti nicaraguensi degli anni ‘30), mi presentarono un quadro operativo che scuoteva l’inerzia culturale del mio sguardo e vi si innervava. Dal punto di vista dell’innesto, è stato così anche con i poeti giapponesi zen anni dopo.

Poi arrivò Lavorare stanca di Cesare Pavese. Fui rapito dal suo anti-ermetismo, dal rapporto fra narratività prosastica e verso lungo ipnotico. Il suo ritrarre certe ambientazioni e personaggi, seppure a una diversa latitudine, ebbe una forte risonanza con la rivisitazione in chiave poetica della mia terra di origine che stavo compiendo.

Di grande impatto è stata anche la lettura di Luigi Di Ruscio. Caso alquanto singolare: operaio, autodidatta e, come me, emigrato all’estero da giovane. Dirompente, fluviale, dissacrante, ma capace di manifestare una spiazzante tenerezza al contempo. I suoi versi sprigionano una carica che definirei carnale. Forse l’unico autore di cui mi sono impegnato a leggere tutto quello che era reperibile.

E ancora Amelia Rosselli. Amo in particolare il poema La libellula. Non che riesca ad afferrare del tutto quello che diceva nelle sue poesie, ma come per magia sento aderire la sua carica elettrica sulla mia pelle. Un alto esempio di fisicità linguistica. Ho trovato molto stimolanti anche i suoi ragionamenti sulla metrica. E, con caratteristiche diverse, assocerei all’effetto Rosselli, quello del Pagliarani de La ragazza Carla.

Per i poeti in lingua inglese, citerei sicuramente Philip Larkin, col suo atteggiamento prosaico finemente cesellato in strutture poetiche tradizionali, e la lezione modernista di T.S. Eliot.

 

Quali poeti della tua generazione senti affini (per temi e/o scelte formali)?

Non parlerei di vere e proprie affinità formali, ma di intese a livello umano e intellettuale che hanno portato allo svilupparsi di proficue contaminazioni su diversi livelli. Nonostante io risieda all’estero da oltre vent’anni, ho avuto la fortuna di conoscere alcune persone (pochissime, in realtà) con cui si sono formati dei sodalizi più o meno duraturi.

Con Alessandro Mistrorigo, ispanista e poeta veneto che ho conosciuto quando viveva ancora a Londra, abbiamo portato avanti un progetto chiamato ‘dopotutto’, che ruotava intorno all’idea di dispatrio (concetto coniato da Luigi Meneghello) e che aveva l’obiettivo di sondare la situazione riguardante i poeti in lingua italiana che vivono all’estero. Nei limiti delle nostre risorse, abbiamo provato a rilevare possibili tracce comuni derivanti dalla condizione di chi oscilla, per dirla alla Meneghello, fra la realtà del Paese ospitante e quella del luogo di origine.

Proprio grazie alle attività di ‘dopotutto’, ho conosciuto Tomaso Aramini, friulano che al tempo viveva a Leeds. Ha scritto intensamente per un certo periodo, ma in generale è molto più impegnato sul fronte del cinema. La nostra collaborazione ha portato, fra le altre cose, alla realizzazione di The city within, un mediometraggio sperimentale vagamente ispirato alla mia silloge La città che c’entra. Questo esperimento mi ha fatto comprendere nel concreto come un linguaggio artistico specifico può esplodere in un’altra disciplina creativa reinventandone il potenziale.

E infine, ma sarebbe il primo in ordine di tempo e in quanto a durata del sodalizio, Davide Castiglione. Poeta piemontese, anche lui dispatriato, e critico infaticabile. La sua energia vocazionale da sola basterebbe a risollevarmi da qualsiasi scoramento derivato dallo stato versante delle arti e della poesia.

Cosa cambieresti del panorama poetico di oggi?

Non finirà mai di stupirmi come tanta gente, specie poi se individui colti e dotati di una certa sensibilità, ha un approccio fondamentalmente negativo con la lettura della poesia, in particolare con quella più contemporanea. I fattori sono tanti, e non sempre dipendono dai limiti di chi legge, anzi… Credo che in parte, però, il motivo sia da cercare nel nostro retaggio culturale fortemente utilitaristico e verticistico.

Più che cambiare il panorama poetico, quindi, se si vuole potenziare ciò che la poesia mette a disposizione, bisogna escogitare delle strategie che portino i ragazzi, cioè gli adulti (non) lettori di domani, a intuire il valore orizzontale dei testi poetici. Mostrare loro una diversa gamma di generazioni e approcci e fare vivere i testi come uno strumento a loro disposizione per attivare lo sguardo e le sensazioni, più che come rebus. Quest’anno, ad esempio, ho partecipato a un incontro online con degli allievi di una seconda media. Il semplice fatto di conoscere un poeta (in carne e pixel) e di discutere liberamente un testo che avevano letto, o di altre curiosità che nutrivano, sembrava aver abbassato qualche barriera qua e là. Concetti che potrebbero e dovrebbero essere elementari, come quello che non esiste una sola chiave interpretativa di un testo poetico, che le intenzioni dell’autore contano relativamente, che una poesia è, insomma, più di chi la legge che di chi l’ha scritta, non sono da dare per scontato. Ci si concentra troppo sul ‘cosa dice’ una poesia e si accantona il fatto che è anche (se non soprattutto) un veicolo di sensazioni ritmiche – oserei dire “biologiche” – e subliminali.

 

 

Chi è Roberto Minardi

Roberto Minardi è nato a Ragusa nel 1977. Nel 1999 si è trasferito a Londra, dove risiede tuttora lavorando come insegnante di lingue. Dal 2005 al 2006 ha vissuto a Panama, dove ha tradotto poeti locali e pubblicato la sua prima plaquette in versione bilingue. Nel 2007 la Archilibri di Comiso (RG) ha pubblicato Note dallo sterno. Nel 2014 pubblica Il bello del presente (Tapirulan) e nel 2015 La città che c’entra (Zona Contemporanea), segnalata all’edizione del 2016 del Premio Montano. A questa raccolta è liberamente ispirato il mediometraggio The city within, realizzato in collaborazione con il regista Tomaso Aramini. La sua quarta e più recente raccolta è Concerto per l’inizio del secolo (Arcipelago Itaca, 2020). Oltre che in volume, suoi testi sono apparsi su riviste letterarie (Tratti, Semicerchio, La Mosca di Milano, deSidera, Il Foglio Clandestino), online (Atti impuri, Poesia 2.0, Carteggi Letterari, Atelier), e sull’archivio multimediale Phonodia dell’università Ca’ Foscari di Venezia. È stato co-fondatore del progetto poetico “dopotutto [d|t] (una poesia italiana fuori)”. Alcune registrazioni di componimenti suoi si possono ascoltare nel canale YouTube Poesie RM.

 

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