Intervista a Noemi De Lisi

 

Noemi-de-Lisi-fotoQuali sono i tuoi maestri (non solo letterari: cinema, musica, arte figurativa, ecc.)?

Una moltitudine. Andrei anche oltre i contorni della figura del maestro: piuttosto è stato l’insieme di singole opere a formarmi, e il fatto che molte di queste siano frutto del lavoro dello stesso autore, lo interpreto più che altro come una specie di coincidenza. Se nell’osservazione del maestro è insito il moto emulativo del nostro sguardo, non posso, appunto, che immaginare una moltitudine di spostamenti dentro di me guidati dalle coordinate di un insieme si opere. Cito in modo istintivo, per primo, Mark Strand; la lettura di The man in the mirror oppure di The untelling (tanto per annotarne due) mi hanno sconvolta. A distanza di anni non ho potuto più dimenticarne la sensazione di strappo interiore e allo stesso tempo di congiungimento totale che mi hanno suscitato. A proposito di strappo, “Se mi stacco da te mi strappo tutto”, di Sanguineti (forse una delle più accessibili fra le sue poesie), oppure: “Annina,/è nel rivo di fango il bastone diritto che ricorda la tua casa” di Benedetti, o ancora Gradazioni di Dal Bianco: “Stiamo in una certa solitudine, tu ed io/(se sapessi chi sei o come ti si chiama)”. Debordando dai confini della poesia, poi, come non citare Rosa Balistreri. Cantautrice siciliana, irriverente, femminista, che seppe mettere in musica l’amaro e il dolce dell’Isola: “cu ti lu dissi ca t’aju a lassari/megliu la morti e no chistu duluri.” Da un lato la passione e il fervore politico della chitarra di Balistreri; da un altro, le sonorità malinconiche e rarefatte postrock dei Sigur Rós. Continuando con la musica, si sfocia in modo spontaneo nell’accompagnamento con le immagini, il cinema. Pur avendo completato la visione di intere filmografie di diversi registi, ancora una volta, la lezione che apprendo è data dalle singole opere: Mulholland drive di David Lynch, Mysterious skin di Gregg Araki, Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti di  Apichatpong Weerasethakul, A Snake of June di Shin’ya Tsukamoto, La leggenda di Narayama di Keisuke Kinoshita, Old Boy di Park Chan-wook, In the mood for love di Wong Kar-wai, Ferro 3 di Kim Ki-Duk, Le notti di Cabiria di Federico Fellini. Concludo con Fellini dato che il mio ingranaggio si era inceppato sul cinema asiatico (quanto sarebbe lunga ancora la lista). Potrei citare anche autori di graphic novel che mi hanno indicato delle coordinate e ai quali mi rifaccio in ciò che scrivo (consciamente oppure è sonnambulismo? Una parte di me è consapevole dell’emulazione, dell’aspirazione? Quale parte ricettiva di me dorme, sogna, e quale altra sta camminando per casa a occhi chiusi?): Daniel Clowes, Charles Burns, Gipi. La parte che ho omesso, i romanzi e i racconti, è la parte più sedimentata. Non posso dire che abbia fatto radici perché nelle mie fantasie si tratta più che altro di materia mineraria sempre generatrice di sgretolamenti, sepolture e dissotterramenti.

 

Quali poeti della tua generazione senti affini (per temi e/o scelte formali)?

Scrivendo anche in prosa, mi interessano le ibridazioni tra le forme, le prose poetiche (le poesie in prosa). Sento più vicini i poeti che stanno conducendo un’esplorazione in tal senso attraverso le loro opere: Andrea Accardi, Simone Burratti, Andrea Donaera, Carmen Gallo, Antonio Lanza, Jacopo Ramonda (con la riserva di aver potuto dimenticare qualcuno di fondamentale).

 

Cosa cambieresti del panorama poetico di oggi?

Ricalcando il tema dell’intervista circa la difficoltà di poter mettere a fuoco la poesia di oggi dato il nostro punto di vista così ravvicinato, non sono in grado di rispondere a questa domanda con chiarezza e lucidità. Non sono ancora certa di aver afferrato la scena poetica così per com’è, figuriamoci provare a immaginare come dovrebbe essere, cosa vorrei cambiare. Potrei accennare, quindi, a un ideale (il mio) di panorama poetico: un desiderio personale con tutte le sue incongruenze e pecche (e dunque, non è detto che possa essere migliore o peggiore di quello attuale – né che sia totalmente diverso). Mi piacerebbe uno scambio fra generazioni di poeti più autentico, consistente e costruttivo. Vorrei che la natura delle relazioni fra i testimoni dei vari decenni fosse di interscambio e non di subordinazione e/o superamento. Imparare dalle passate generazioni e poi finalmente superarle? Imparare cosa e superare cosa? È vero che grazie ai social, a oggi, è molto più facile entrare in contatto con le generazioni di poeti più maturi. Dall’altra parte dello schermo, il giovane poeta non trova indifferenza o superbia, tutt’altro. I grandi maestri viventi si chinano sulla tastiera del pc o sullo schermo dello smartphone per rispondere alle nuove generazioni. Nella mia società ideale di poeti, però, questo incontro fra ieri e oggi non si esaurisce in una prefazione o un articolo critico sul libro di esordio del giovane poeta x preso sotto l’ala. Piuttosto, fantastico una generazione senior che si interessi e legga davvero i nuovi poeti; e una generazione junior che si interessi e legga davvero i poeti che l’hanno preceduta. Uno scambio sincero, di costruzione e avanzamento senza che questo si traduca subito nella presunzione del superamento né nell’ottusità di una eccessiva referenza.

 

Se potessi scegliere un secolo e un contesto poetico, quale sarebbe? Cosa ruberesti?

Francia, XIX secolo. Chi non vorrebbe accompagnarsi ai veri poeti maledetti? Certo, meno igiene e aspettative di vita piuttosto basse, ma più nuovi modi di percepire se stessi in rapporto al mondo attraverso l’irriverenza dei versi. Certi miti adolescenziali rimangono.

 

Chi è Noemi De Lisila-stanza-vuota-copertina

Noemi De Lisi è nata a Palermo nel 1988. Ha esordito nel 2017 con la raccolta di poesie “La stanza vuota” (Ladolfi Editore) vincitrice e finalista di alcuni premi come il Premio Carducci, Cetonaverde, Solstizio, ecc. Sue poesie e racconti sono apparsi su: Nuovi Argomenti, Formavera, Poetarum Silva, Altri Animali, Cattedrale, Colla e altri lit-blog. È redattrice della rivista Atelier.

 

 

 

 

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