Intervista a Bernardo Pacini
Quali sono i tuoi maestri (non solo letterari: cinema, musica, arte figurativa, ecc.)?
Il mio vero e unico maestro è Gaetano Chiappini, per gli amici il prof. Forse ad altri interesserà sapere cosa rappresentasse – professore di letteratura spagnola all’Università di Firenze, traduttore, allievo e successore di Oreste Macrì – ma non a me. A me importa capire chi fosse, specialmente ora che si avvicina il sesto anno dalla sua morte. Il prof. aveva una giacca che indossava sempre quando lo accompagnavo a parlare di poesia a Ravenna per il Trebbo Poetico. Nella camera dell’Hotel Byron ero io a vestirlo: giacca, camicia, bretelle, pantaloni. Poi gli davo il suo panino alla maionese e gli portavo la cartellina con gli appunti. Mi faceva parlare al posto suo durante le conferenze, per il solo gusto di sapermi in difficoltà, ma felice. Sua moglie mi regalò quella giacca quando non ebbe più a chi metterla. La tengo nell’armadio, essendo chiaramente non indossabile. Il mio maestro non esigeva che lo seguissi: mi diceva che lui avrebbe continuato a camminare senza controllare che stessi al passo. Diceva che ogni tanto si sarebbe voltato (senza che lo notassi) per verificare non tanto se lo seguivo, ma se c’ero ancora, se non ero andato via. Lesse le mie prime poesie quando facevo l’università. Non disse che erano belle né che erano brutte, ma disse che erano poesie e mi spiegò perché. Lo fece con ogni cosa scritta che gli portai, senza mai dire “bello” o “brutto”. Se lo diceva era per assecondare una mia debolezza: si sacrificava spacciandola per sua. Delle mie poesie diceva cose che io nemmeno immaginavo di me, partendo da una sillaba o una stupida rima. Faceva così: non dava giudizi di valore ma diceva: “tu non sei quello che scrivi, non sei quello che dirò a proposito di ciò che hai scritto in questa poesia. Tu esisti, ci sei. E se ci sei tu, se sei qui vuol dire che ci sono anche io”.
Se invece la domanda si riferiva ai miei modelli, posso molto sommariamente fare alcuni nomi: Dino Buzzati per la letteratura e per la vita, gli ermetici fiorentini per la poesia; Modest Musorgskij, Antonín Dvořák, Piero Ciampi, Kevin Moore e i Pure Reason Revolution per la musica. Non ho avuto tv in casa fino ai 20 anni per scelta, ma da sempre mi piace in modo ingenuo il film di Gondry “Eternal Sunshine of a Spotless Mind”. Hanno agito profondamente in me le serie tv Twin Peaks, Breaking Bad e The Leftovers.
Quali poeti della tua generazione senti affini (per temi e/o scelte formali)?
Nel campo della scrittura poetica, paradossalmente, sento più affine a me chi – per temi e scelte formali – mi è meno affine: questione di comunione culturale e umana. I miei amici poeti Giuseppe Nibali, Fabrizio Sinisi, Davide Tartaglia, Matteo Maria Orlando scrivono o scrivevano in modo estremamente diverso da me, però mi sono compagni, costituiscono un fondamento più resistente di qualsiasi altra banale connivenza o similarità formale. Altri poeti della mia generazione di cui stimo molto il lavoro sono: Francesco Terzago, Francesco Maria Tipaldi, Michele Ortore, Damiano Scaramella, Marco Bini, Tommaso Di Dio, Francesco Iannone, Simone Burratti, Demetrio Marra e Dimitri Milleri. Ma non sono gli unici. È che ho poca memoria.
Cosa cambieresti del panorama poetico di oggi?
Mi è già capitato di rispondere una domanda del genere, ma tuttora mi trovo in imbarazzo. Davvero non so cosa cambierei. Direi “niente”, per non banalizzare dicendo “tutto”. Ho l’impressione che sia come chiedere a un normale cittadino cosa cambierebbe della cosa politica. Io ho solo firmato dei libri di poesia, e per di più non esiste un Ministero della Poesia (non ufficialmente, almeno), per cui la questione è ancora più difficile. Anche solo immaginare di poter cambiare cambiare qualcosa del panorama poetico mi pare distopico e un po’ inutile. Piuttosto ci sono realtà interessanti da seguire e sostenere: case editrici come Valigie Rosse, riviste online come “La Balena Bianca” e “formavera”, progetti poetici come “Ultima”, festival come “L’importanza di essere piccoli” e “Notturni diversi”, e altri format interessanti la cui riuscita è legata alla curiosità e all’orizzonte umano e culturale di chi li organizza e non a interessi di consorteria.
Fai riferimento solo al Novecento o ti senti vicino a qualche autore emerso negli ultimi 20 anni?
Tra gli altri, affiorano alla mente Umberto Fiori, Luigi Socci, Alessandro Ceni, Paolo Fabrizio Iacuzzi, Paolo Maccari, Sauro Albisani, Rosaria Lo Russo, Mario Benedetti, Milo de Angelis, Gianfranco Lauretano, Walter Rossi. Che lo sappiano o meno, che gli interessi saperlo o meno, questi sono i poeti che sento vicini.
Chi è Bernardo Pacini
Bernardo Pacini (1987) è un poeta fiorentino. Ha pubblicato Cos’è il rosso (Edizioni della Meridiana 2013 – premi “Sertoli Salis”, “Beppe Manfredi”, “Antica Badia di San Savino”, “Libero de Libero”, Selezione Ceppo “Luca Giachi”); il libro d’arte Perfavore rimanete nell’ombra (Origini 2015) e La drammatica evoluzione (Oèdipus 2016). Il libro Fly mode esce nel 2020 per Amos Edizioni nella collana “A27 poesia”. Alcune poesie dell’autore sono contenute nelle antologie Poeti italiani nati negli anni ’80 e ’90 (Interno Poesia 2019), Come sei bella (Aliberti 2017), Voci di oggi (Istos 2017), Abitare il deserto (Osservatorio Fotografico Fusignano 2016) e La consolazione della poesia (Ianieri 2015), oltre che in varie riviste cartacee e online. Ha tradotto per “Le Parole e le cose” e “L’Ulisse” le prose poetiche di Russell Edson (1935-2014).
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