Ezio Sinigaglia, L’imitazion del vero
recensione di Domenico Conoscenti
L’imitazion del vero di Ezio Sinigaglia, TerraRossa (2020), spicca per la sua originalità nel recente panorama letterario innanzitutto per la forma scelta: più che presentarsi come un romanzo breve, mi sembra intenzionalmente riallacciarsi, per tema e per organizzazione narrativa, alla novellistica della tradizione tre-cinquecentesca, sia pure forzandone l’estensione.
Ambientata in un immaginario principato forse dell’Italia centrale, forse agli inizi del Cinquecento, si può definire senza dubbio una novella erotica nell’accezione quasi etimologica del termine: il desiderio è difatti la molla che muove i due, poi tre, personaggi, innescando e intrecciando i fili di una trama poco prevedibile nel suo svolgersi (basti pensare alla presenza di una macchina del piacere, creata da Mastro Landone). Nelle centouno pagine del libro, il desiderio è rappresentato attraverso sfaccettature e gradazioni differenti da un personaggio all’altro, narrato nelle sue antinomie attraverso le azioni che essi compiono e le riflessioni sulla parte alta (la mente) e la parte bassa (il corpo), un Eros a tratti gestito come una forma di potere, anche in questo caso da posizioni suscettibili di cambiamento. L’attrazione che muove Mastro Landone verso l’adolescente Nerino è da lui percepita, sentita secondo le leggi di una Natura più magnanima ed equilibrata delle restrittive e coercitive leggi umane del tempo. Il desiderio innesca nel personaggio un coinvolgimento via via totale, un innamoramento che giunge a essere individualista e generoso, gioioso e tormentato, così come dall’altra parte assume il senso di una scoperta della propria sensualità in Nerino, inizialmente prigioniero della fase dell’amore in sé (e di sé).
L’estratto
Viveva Mastro Landone e giorno e notte del carnal desiderio in sull’ardenti braci, e tanto più dell’usato codesta fiamma divampava che giammai gli pareva, al paragone, di non aver nella vita desiderato veracemente creatura nessuna. La mattina, mentre nell’officina all’opera sua attendeva, quantunque Nerino sol di rado dalla bottega in sulla soglia dell’officina apparisse, l’aria era di Nerino ricolma siccome è talora ricolma d’un odore di fieno o d’arance o di mare, quantunque in nessun luogo la marina o gli aranci od i campi mietuti non si vedano; e in quel sentor di Nerino movendosi, respirava Mastro Landone ad ogni istante il suo crudele destino. Di poi, dopo il meriggio, mentre a palazzo i suoi complicati meccanismi apprestava, da per tutto dove guardava, Nerino nuovamente vedeva: ora era la levigata quercia ad avere il color della sua pelle, ora da una venatura più cupa del legno erano i nerissimi suoi occhi a prender sostanza, ora in un subitaneo cangiar della luce era il sorriso a brillare, ed ora verso una pozza d’ombra la mano egli tendeva quasi ripeter potesse quella sola carezza ch’aveva il primo giorno fra i capelli di Nerino gustata. La notte, cercando il sonno, Nerino solamente trovava e fra i sospiri chiamandolo si figurava di spogliarlo colle sue mani ignudo e di poi, colle sue mani, di leggierissime carezze tutto dai piedi ai capelli nuovamente di vestirlo. Piangeva a tarda notte Mastro Landone nel nero della stanza giacendo, dissimil troppo dal nero col quale giacer si voleva, e di Dio dubitava. Iniquo giudicava il crudele castigo di dovere ogni giorno, con quello del suo vagheggiar lussurioso, lo spettacolo dell’innocenza di Nerino paragonare, d’ogni vaga speranza nella sua vergogna orbato restando. E tuttavia ogni mattina, d’un breve ed agitato sonno destatosi, allo spettacolo di quell’innocenza com’ad una festa Mastro Landone correva.
Dello schema classico della novella L’imitazion del vero ha anche il carattere di un’evoluzione dei personaggi e della loro relazione (qui indubbiamente più profonda e articolata che nella novella tradizionale), che l’avvicina al romanzo di formazione.
Altro termine imprescindibile nella lettura di questo testo è poi l’imitazion del titolo, declinabile di volta in volta come finzione, legata alla messa in opera dei vari progetti (vendette, strategie, tranelli…) dei personaggi, dichiaratamente affine al teatro, alla scena, alla commedia reciproca, soprattutto fra Nerino e Petruzzo. Concetto riferibile anche all’Arte: quella specifica del genio-costruttore di macchine che imitano effetti prodigiosi, del disegnatore realistico del corpo umano (Orlando-Landone contiene in anagramma il nome di Leonardo), al punto che egli può pensare di sostituire, con immagini e con ulteriori congegni da lui realizzati, la realtà corporea della persona che il vero, la realtà effettuale gli impedisce di avere accanto nel modo in cui la vorrebbe. In altre parole, l’Arte del racconto che imita, che riscrive un vero, facendolo esistere diversamente sino a un bifido, felice finale: uno per il lettore di oggi, in cui si compone la distanza fra Mastro Landone e Nerino, e quello che si narra con pietà ed ammirazion grandissime per tutta la Lopezia di allora. Per questa Imitazion del vero l’autore adotta la forma di una novella della tradizione letteraria italiana, scritta come parodia – in senso neutro – anche del periodare ampio e mosso, orchestrato di iperbati e anastrofi, presente nel Decameron, al tempo stesso non nascondendo, attraverso l’uso di un lessico disomogeneo, l’evidenza di essere comunque una ricreazione (nella duplice, principale accezione del termine).
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