La recensione di Silvia Guberti

Saturno divora i suoi figli. Così ha fatto Palermo.

Palermo. Teo, meno che ventenne, si trova erede improvviso dell’appartamento borghese comprato anni prima dal nonno carabiniere. È l’appartamento in cui risiedono i ricordi di tutta la sua giovane vita, dove ha vissuto un’infanzia non propriamente spensierata.

La madre di Teo, grande lettrice, sbadata, incapace di aderire con impeto all’ideale di madre “materna”, mediterranea, fluttua nella vita come se non fosse davvero di questo mondo.

Il padre invece, costretto a lavorare in fabbrica, a fare un lavoro che odia per compiacere le aspirazioni del proprio padre, quando torna a casa si lamenta dell’inconcludenza della moglie. Avrebbe solo voluto dipingere. Dipingere e viaggiare.

È arrivato Il Male e ha cementato le finestre. Sono arrivate le disgrazie, le sciagure con le falci. Le nostre teste rotolate via.

Quando la madre muore, il padre si trova a dover fare i conti con un figlio adolescente che, di fatto, limita ancora una volta le sue aspirazioni. È così costretto ad andare avanti, a tirarlo su fino ai 18 anni – anche se chi è responsabile di chi, a volte è difficile dirlo.

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Ma c’è qualcosa in più. Una cosa che non varrebbe neanche la pena menzionare in un mondo ideale: Teo è gay. Teo è un ragazzo gay in un quartiere borghese di una Palermo, ma possiamo allargare il campo a un’Italia, che non lo capisce. O che fa finta di non capirlo. 

Allo scoccare dei 18 anni il padre decide di partire per vedere il mondo e dedicarsi alla pittura. È così che Teo si trova solo, con pochi soldi in tasca e senza neanche più la parvenza di una famiglia di sangue. È così che Viola e Nico diventano la sua famiglia putativa, un nocciolo di affetto, incomprensibile ai più per la stravaganza dei protagonisti. 

Quello che resta da fare, in una società che non ti accetta, è soccombere o diventare provocatorio e ripagare con una moneta simile quel mondo che ti tiene ai margini. Nella totale mancanza d’amore, Teo fa affidamento su una famiglia non unita dal sangue ma dalla scelta, una famiglia in cui sono i vuoti a unire. 

Il Dolore Dei Pesci è un romanzo delicato e doloroso insieme, in cui dolore riesce a essere descritto con la decisione di una pennellata di Caravaggio. Compaiono allora i vuoti e i pieni, le luci e le ombre di una società – ma possiamo dire di una vita – che un occhio disattento non riesce a cogliere, che uno spirito meno fine non riesce a descrivere. 

Davanti all’incomprensibile l’autore non ha che una soluzione: guardarlo come si guarda un quadro e provare a interpretare, scendere nel dettaglio, scomporre, per cercare di carpire il segreto di un’esistenza che sembra aliena. 

Il Dolore Dei Pesci è anche un romanzo d’amore, un amore cercato, ma soprattutto sperato, che diventa il lumicino che può guidare attraverso la notte peggiore. 

Luca Giumento riesce a restituire l’immagine di un universo personale con una vividezza tale da rendere impossibile, per il lettore, non cadere nella rete della narrazione, costringendolo a sperimentare, a vedere con i propri occhi, il mondo livido dell’emarginazione sociale. Giumento è un osservatore così attento e curioso della realtà che la lettura si trasformerà in un vero esercizio di meraviglia. 

 

Il Dolore Dei Pesci, di Luca Giumento

edito da SuiGeneris, prezzo di copertina: 15 euro.

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