Febbre

di Andrea Donaera

 

Febbre (Fandango, 2019), è tra gli esordi più importanti dell’anno.

La febbre

Jonathan ha la febbre, una febbre strana, che non passa, una di quelle febbri che ti gettano in un vortice di ipocondria esistenziale tutt’altro che woodyalleniana. 

E Jonathan è tante cose: cose che nel mondo in cui vive – in cui viviamo – non vogliono essere concepite come regolari, vengono considerate una frattura drammatica nel liscio tessuto sociale che crediamo di aver costruito. È balbuziente, è colto, è omosessuale, è caustico e mai ideologico, mai prevedibile. 

Jonathan non scivola sul tessuto delle cose, non va lui verso l’HIV: è la malattia che va da lui, e lui la accoglie, senza l’istintiva mescolanza di complessi a catena e senza la retorica che connota molte volte la lotta che un malato ingaggia contro il suo male. 

Jonathan è il protagonista di un romanzo ed è al contempo l’autore del romanzo; ma anche di più: Jonathan è una scrittura. Una scrittura innervata di un magnetismo atipico, dovuto al suo procedere asciutto, spicciolo, sempre causale e in grado di entrare efficacemente con sbalorditiva semplicità nelle intercapedini più assolute e profonde della realtà: sia essa la malebolgia ipercontemporanea di Rozzano o la sala d’attesa di un ospedale lombardo, sia essa la realtà di una malattia che vivifica e simbolicamente uccide o un amore che specularmente fa lo stesso. 

Una scrittura che è sintomo di un distacco coltivato e realizzato proprio attraverso il medium dello specifico letterario. Perché Bazzi non compie soltanto un’operazione diaristica, ma eleva il processo dell’autofiction a resoconto generazionale in tutto il suo grumo storico e sociale contingente, anche nelle dolorose e necessarie incursioni in un’infanzia che lacanianamente ha scisso il soggetto che qui dice «io» in un corpo in frammenti. 

La malattia come espediente

Gli anni Zero vengono sezionati con un occhio lucido e spietato, in Febbre. Tanto che la narrazione sulla vicenda della malattia assume i contorni dell’espediente, del grimaldello che attiva nell’autore il flusso per un’attività di elaborazione sì del proprio vissuto ma anche delle forme instabili della sua epoca. Questo è un aspetto sul quale bisognerebbe concentrarsi molto, in riferimento all’opera narrativa di un esordiente italiano, capace di restituire se stesso e i suoi giorni con una sincerità che non sa mai di posticcio, che rifiuta ogni manierismo – stilistico o sforzatamente emozionale – e che riesce anche a raggiungere vette di lirismo, specialmente nei momenti in cui il racconto si inabissa nelle viscere di un mondo atroce dal quale Bazzi fuoriesce – senza eroismo o patetismo – attraverso la (de)costruzione di fatti, cose, brandelli di umanità. In una febbre restituita al lettore in un altalenarsi di chiodi e resurrezioni, aperture e strettoie asfissianti. 

Questi sono libri che generano entusiasmo e consenso perché costruiti attorno a un intreccio popolato da personaggi che non si dimenticano e da vicende inquadrate in uno schema narrativo sempre all’altezza, sempre dedito a un fine che non è mai puramente estetico o in posa: sono libri, quelli come questo Febbre, che depositano e si depositano – qualcosa, nella vita. 

 

Jonathan BazziFebbre
Fandango editore
326 pagine
Prezzo di copertina 18,50 euro

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