di Stefano Bonazzi

Quando la passione diventa ossessione – Corpi di ballo

C’è un sottile filo nero che lega questa seconda opera di Francesca Marzia Esposito al suo precedente romanzo (La forma minima della felicità – Baldini+Castoldi), lo stesso filo di sutura chirurgica che può tenere uniti i lembi di una cicatrice.

Alla sua seconda prova, Francesca abbandona l’asfittico appartamento in cui si era rinchiusa Luce, per esplorare un luogo di rifugio ancora più ostico e claustrofobico: il corpo stesso.

Anita e Miriam sono due ballerine, hanno vent’anni, una silhouette perfetta e un sogno da inseguire. Le incontriamo durante i preparativi per la messa in scena di Ondine, un’opera curata dalla Holmes, la direttrice della loro compagnia, un’ex ballerina ossessionata dalla perfezione e dalla magrezza delle sue allieve. 

Anita e Miriam sono due figure algide, speculari, fin troppo simili (al punto che Anita non riconosce se stessa nemmeno nei quadri di Ettore, fidanzato di Miriam), ossessionate dalla cura del proprio corpo, stremate da continue sessioni di allenamento, fagocitate dalla loro stessa brama di competizione, incapaci di godersi persino i pochi momenti liberi che la sessione estiva potrebbe concedergli. L’estate milanese è alle porte e l’afa metropolitana si scontra con la freddezza delle giovani protagoniste. 

Corpi di ballo

C’è un senso di straniamento perenne che accompagna il lettore, lo stesso senso di calma apparente che ho provato durante la lettura della sua opera precedente. Una corrente elettrostatica sotterranea che porta al soffocamento, la sensazione di trovarsi in un luogo ostile, simile all’inquietudine che si può provare durante la visione de Il cigno nero o del più recente Suspira. Non c’è nulla in queste ragazze che richiami la spensieratezza e la vivacità che può suggerire la loro età. Anita e Miriam sono due macchine da competizione: organismi progettati per raggiungere l’obiettivo escludendo qualsiasi potenziale minaccia esterna. 

Quella di Anita e Miriam è un’esistenza per sottrazione. Il superfluo dev’essere eliminato: le figure maschili sono solo comprimari di un palcoscenico secondario, la famiglia, un obbligo da adempiere, il riscontro mediatico, un semplice strumento per abituare il corpo a distaccarsi dal desiderio.

Il leit motiv di tutta la prima parte del romanzo si può trovare proprio in questa continua ricerca dell’astrazione inseguita dalle ragazze. Astrazione, che può dare vita a situazioni anche irritanti. Non è semplice provare empatia per questa coppia ragazze, il cui unico scopo sembra quello di voler svanire attraverso un ascetismo impietoso.

Proprio come un balletto, la prima parte del romanzo procede, cadenzata e implacabile, alternando le sequenze degli allenamenti alle minuziose descrizioni dei pasti. Ogni singolo boccone, ogni morso, ogni singola percezione fisica che l’ingerimento di un corpo estraneo genera nel corpo di Anita, viene tratteggiata dalla penna di Francesca con una precisione e un senso di apparente disgusto capace di rendere anche l’ingestione di una semplice arancia, un processo di accettazione di un bisogno simile alla concessione di un peccato. 

Gli eventi sono scanditi attraverso una lunga sequenza di sessioni dal ritmo apparentemente lento, indispensabili per approfondire le personalità di entrambe le ragazze (il legame di Anita con il fratello, le ossessioni di Miriam per i commenti che riceve sui social, sono solo alcuni degli aspetti che verranno analizzati), fino a un evento traumatico che porterà Anita a mettere in gioco tutto il castello di imposizioni che si era costruita e intraprendere un nuovo percorso di accettazione e riscoperta della propria identità.

L’autrice, nella vita reale, è un’insegnante di danza e nel testo traspare la conoscenza della materia. La competizione artistica è sempre un terreno ostico da trattare, ma poterla vivere in prima persona, attraverso gli occhi di Anita, è una concessione che apre a più di una riflessione.

Quanto possiamo sacrificare per raggiungere i nostri sogni? 

Chi, possiamo sacrificare? 

E, soprattutto, ne vale davvero la pena?

La penna dell’autrice incide la carta con la precisione di un bisturi. Il punto di vista è sempre controllato, freddo, Francesca si muove nella parte oscura delle personalità umane con la dimestichezza e la padronanza di chi, quel guado, l’ha visto da vicino.

Corpi di ballo è un romanzo che procede per sottrazione e analisi, che apre numerosi quesiti, senza scadere nei facili cliché e mantenendo sempre un punto di vista distaccato, etereo, coerente con quel senso di impalpabilità a cui tanto aspirano le due protagoniste.

Alla sua seconda prova, Francesca si rivela già una penna matura, elegante, capace di trattare temi delicati come la solitudine, l’accettazione, l’anoressia e la morte attraverso un sublime senso di vertigine controllata.

 

Corpi di ballo, di Francesca Marzia Esposito

Mondadori, prezzo di copertina: euro 18,50

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