con il bocca il sapore del mondo fabio stassi
di Tiziana Cazzato

Ho finito di leggere questo libro un bel po’ di mesi fa, ma non l’ho mai chiuso. È sempre lì sul mio comodino, per soddisfare il bisogno che ho di sentire nella mia bocca il sapore del mondo.

Dieci poeti del Novecento si raccontano in prima persona da un luogo imprecisato, dopo la loro morte. Si raccontano a chi si mette in loro ascolto con l’entusiasmo e l’incoscienza di un adolescente che scopre la poesia per la prima volta. E se andassi, come desidero, a cercare la bellezza di queste pagine inizierei trovandola proprio nell’ascolto che l’autore ha prestato agli archivi, agli articoli, alle interviste, ma anche alle foto, alle case, ad ogni più piccola traccia, ma soprattutto ai versi per riuscire a far perdere la sua voce nella musicalità e nell’armonia di chi con i suoi componimenti ha saputo cantare la fragilità, il dolore, la solitudine, la morte e la vita, la speranza e la rinascita di un secolo e dell’uomo che lo ha attraversato. 

Con in bocca il sapore del mondo (Minimum Fax)  di Fabio Stassi è una lettura che va ben oltre le centocinquanta pagine, perché, come le opere più pregevoli, insinua nel lettore un desiderio di leggere ancora, di scoprire, sapere e di nuovo  ascoltare la voce di un secolo e dei suoi uomini che non sono passati ma che sono soltanto trascorsi e continuano ad attraversarci e a viverci, alitando una luce che dà forma e intonazione diverse ai suoni e ai rumori dell’oggi. 

Una lettura che suscita un senso di gratitudine e riconoscenza verso il matto di Marradi che ci ha lasciato in eredità una cattedrale poetica il cui soffitto era quel cielo che  offriva nei diversi angoli del mondo stelle e luci diverse e ispirava il viaggio di vita e poesia di Dino Campana; oppure verso la voce lenta e gentile di Gozzano, che ha pennellato i suoi versi di malinconia e sorrisi, lasciando alla sua opera e al suo vivere un senso e un profumo di eterno, che non pone fine né all’amore, né alla vita e ancor meno alla poesia.

All’irresistibile capriccio di Aldo Palazzeschi di incendiare tutte le parole del mondo, al grande dolore che prova solo chi, come Giuseppe Ungaretti, ha saputo molto amare; e al canticchiare sottovoce di Montale, poeta arido e acre, come scriveva Sciascia, nella scelta delle parole. Di quelle parole che suonano in perfetta sintonia con la musica di un mondo in cui l’uomo ancora incontra il male di vivere. E ancora all’anima tormentata di Alda Merini, alla nevrosi, lente d’ingrandimento con cui Umberto Saba ha potuto osservare se stesso e il mondo; ai sogni leggendari di D’Annunzio; al viaggiatore insocievole, qual si definiva Cardarelli; e ai componimenti di Quasimodo, che- come scrissero gli accademici di Stoccolma assegnandogli il Premio Nobel per la letteratura-  con classico fuoco esprimono il tragico sentimento di vita del nostro tempo.

Una prosa chiara, leggera, con uno stile elegante e attento di chi, con umiltà, ha quasi il timore di stonare accostando la sua alla voce di dieci sommi, ma le cui parole ben si amalgamo con le lettere, i discorsi, le citazioni e i versi per un libro (di cui gli siamo grati) le cui pagine sono ali immaginifiche di una farfalla che vola nell’infinito dello spazio e del tempo. 

 

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