Intervista a Gianni Montieri

a cura di Graziano Gala

gianni_montieri_coverGianni, partiamo dal titolo, Le cose imperfette: si parla tanto di scavo e abisso, a volte però la parola più complessa è quella semplice, in corso d’opera. Da dove viene il titolo?

Il titolo viene da un libro di Franco Rella, storico docente di estetica allo IUAV di Venezia. Mentre pensavo a come intitolare il libro ho aperto a caso un suo saggio “Il silenzio e le parole”, su una pagina ho letto “Le cose sono imperfette” e ho immediatamente capito che lì dentro stava il titolo giusto per il libro, le cose imperfette sono gli oggetti, sono i fatti che ci capitano e siamo noi. L’imperfezione è quell’accadimento, il dettaglio, che di colpo ci mostra meglio qualcosa che ci era sfuggito, è il punto in cui ci troviamo da sempre.

 

Quando non ci sei non dormo, quando non ci sei ho freddo: forse sto invecchiando, ma credo che molti di noi abbiano preso in prestito l’undicesima pagina.

Per invecchiare hai ancora un sacco di tempo. Quei versi sono particolarmente piaciuti, mi è stato detto parecchie volte. L’amore per me è quella cosa, complessa e semplice allo stesso tempo, non è definibile, non è spiegabile, se non per vaghi accenni; e allora, se quando la persona che amiamo non c’è, non dormiamo o quello che vuoi, è un segnale che dobbiamo cogliere nella sua immediatezza, in quell’insonnia c’è il nostro mondo.

 

Com’è la Milano di Montieri?

Milano per me è il luogo, il posto. Se non ci fosse stata Milano, se non ci avessi abitato per quasi venticinque anni la mia vita avrebbe un significato diverso. Senza Milano è probabile, molto probabile, che non avrei mai scritto poesie seriamente. Siamo cresciuti e cambiati insieme io e la città. Vengo da Napoli, da Milano e ora da Venezia, ma quando mi siedo a scrivere e a pensare, quasi sempre, una delle cose che sento è l’odore di Milano, quell’odore forte e indefinibile che s’avverte la mattina molto presto che è un misto di umidità, ferro, ruggine e fiato umano.

 

Mi incuriosisce tantissimo la seconda parte: le persone rimaste. Ho pensato per molto tempo al verso che tocca le giacche dove si consumano. Puoi dirci di più?

Le persone rimaste è per me il cuore del libro, avrebbe potuto essere anche il titolo dell’intera raccolta; come ho spiegato nella nota finale: Le cose imperfette è un libro sulle persone e sulle loro storie, conosciute o sconosciute, vive o morte. Mi interessava raccontarle, anche nell’attimo in cui hanno incrociato la mia, o altre vite. Le giacche si consumano i vecchi è un’immagine, sintesi di un pensiero di Anna, mia moglie. Stavamo guardando un video del professor Ezio Raimondi, che era morto da poco. Nel filmato, già molto anziano, mentre parlava di lingua italiana con una sapienza magica, muoveva ogni tanto le mani, che erano sottili, così come lui che appariva esile rispetto alla sua giacca, Anna ha pronunciato quella frase e io non l’ho più scordata fino a che non ho scritto la poesia.

 

Qualcuno ha parlato di malattia mentale: i pazzi, gli ultimi, quanto pesano in questa raccolta e nella tua poesia?

I matti, gli ultimi, chi soffre qualche disagio, chi muore nel Mediterraneo o perché viene picchiato in carcere o, ancora, perché legato a un letto, contano tantissimo, sono il senso profondo del libro. Organizzando da qualche anno il Festival dei Matti a Venezia, dove proviamo a raccontare il disagio attraverso l’arte, la letteratura, il cinema, il teatro, la filosofia, mi è capitato di incontrare e ascoltare persone eccezionali. La poesia che citi e diverse altre devono molto a un discorso sui segni e sui gesti, l’ultima cosa che fa una persona prima di morire o in una situazione complicata, tenuto da Luigi Manconi. Gli sono molto grato e non solo per le poesie.

 

Previsioni di marea, Venezia sembra sgusciare tra le mani: come il contesto, il luogo, può cambiare il modo di scrivere?

Venezia è inafferrabile sì, e domina, governa, se ci abiti devi rispettarla, assecondarla, trattarla bene, capirne l’importanza, il fragile equilibrio sul quale la sua meraviglia si regge. Il luogo in qualche modo influenza, almeno me, la maniera di scrivere. Venezia per definizione è molto difficile da raccontare, la bellezza ti insegue e non puoi prescindere da lei, anche in un disastro come quello dell’acqua alta eccezionale.

 

Cosa verrà dopo Le cose imperfette? Ci sarà poesia o prosa? Come ti ha cambiato la geografia e la storia l’anno appena trascorso?

Nell’immediato ci sarà prosa, almeno così dovrebbe essere, sto scrivendo un libro che ha a che fare con il calcio e con la danza, da qualche parte c’è un bambino che gioca a pallone tra le sedie e i tavoli di un bar di una cittadina di provincia. Non posso dire molto di più se non il fatto che dovrebbe uscire in autunno per 66thand2nd. Per quanto riguarda la poesia c’è un progetto di recupero e di riscrittura di libri passati che non si trovano più in commercio e di rielaborazione di testi che sono usciti qualche volta online. A scadenza più lunga, abbastanza lunga, ci sarà un libro di poesia completamente nuovo, sul quale ti dirò qualcosa quando la saprò dire.

L’anno appena trascorso non so bene cosa mi (ci) ha fatto, non l’ho ancora capito. Credo, inevitabilmente, che mi abbia cambiato, ma non so bene in che modo, immagino che impiegherò qualche anno per comprenderlo, e forse quello che scoprirò non mi piacerà.

 

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