Buona la prima
Il racconto dell’esordio. La presentazione della prima opera di autori esordienti, ma anche affermati per continuare a respirare il profumo della letteratura
Premessa
Giornalista parlamentare e saggista, autore delle biografie di Oscar Luigi Scalfaro e Piersanti Mattarella, dei Carteggi Sturzo-Rosselli e Sturzo-Salvemini, Giovanni Grasso pubblica la sua prima opera narrativa, il suo romanzo d’esordio nel 2019. Un romanzo ispirato a una storia vera, un romanzo storico negli anni in cui Hitler afferma la sua supremazia in Germania prima, in Europa poi, e il suo “Mein Kampf” diventa la bibbia dei nazisti, il vangelo dell’odio verso gli ebrei e non solo.
Giovanni Grasso, con la scrittura chiara, lucida, puntuale di un giornalista, con la scrittura visiva, sobria e nello stesso tempo elegante di uno scrittore sensibile, rapito dalla storia che vuole raccontare, dipinge i luoghi, le persone, l’atmosfera di un’epoca e la Norimberga degli anni Trenta nelle pagine del suo primo romanzo torna viva e vivida. Tutto torna a fare rumore, soprattutto la storia silenziosa di Leo e Irene, il cui amore è stato condannato dagli uomini, dal tempo e persino da una legge folle e inumana.
Il caso Kaufmann di Giovanni Grasso (Rizzoli, 2019)
Apro una cartella del desktop e trovo, in mezzo ad altri file word, un documento salvato con il nome e cognome di uno scrittore. Lo collego subito al titolo, al romanzo, alle pagine che ho letto non molto tempo fa. Clicco sull’icona ed ecco una pagina quasi bianca: poche frasi a comporre poche righe di una recensione che non sono riuscita a finire. Riprendo fra le mani il libro, edito da Rizzoli, e i protagonisti sulla copertina riprendono vita: ogni istante, ogni azione, ogni parola torna a vibrare, a risvegliare le grandi emozioni che ho provato leggendo.
Anche nel mio caso, forse, parafrasando l’autore che a mo’ di postfazione scrive che le storie, a volte, vengono a cercarci, Il caso Kaufmann è venuto a cercarmi. Di nuovo. Il nostro “rapporto” non si era concluso all’ultima pagina. Dovevamo incontrarci ancora. Io ero in debito con lui e un po’ anche con me stessa.
Giovanni Grasso, giornalista parlamentare e saggista, per preparare un incontro con le scuole, nel gennaio del 1999, sul tema della Shoah, si ritrova immerso nel volume La distruzione degli Ebrei di Raul Hilberg, e alle pagine 168-170 si imbatte nella drammatica vicenda processuale di Lehmann Katzenberger. Una vicenda che colpisce lo scrittore in modo così intenso e particolare da far nascere in lui il forte desiderio, il bisogno quasi, di raccontare quella storia in un romanzo. Nel suo primo romanzo.
Inizia una febbrile ricerca, legge, indaga, si informa, viaggia, perché ha voglia di scavare, di conoscere, forse anche di comprendere. C’è, però, ben poco da comprendere di un’epoca in cui a scrivere la vita era l’odio. Eppure l’autore con delicatezza, con discrezione, senza invadere la vita dei protagonisti, né la sensibilità dei lettori riesce a raccontare una storia d’amore. Delicata, discreta. La storia di un amore che non può essere definito, incasellato, ma solo respirato. La storia di un amore che, come tutti gli amori, non deve essere giudicato, ma solo lasciato libero di vivere e viversi. Di respirare e respirarsi. Seppure per Leo e Irene non è facile.
Leo Kaufmann è uno stimato commerciante ebreo, presidente della comunità ebraica di Norimberga. È vedovo ormai da qualche anno e ha accanto persone di fiducia che sembrano apprezzarlo e volergli bene. Una vita tranquilla che si srotola in una quotidianità così semplice da togliere il sapore ai giorni, anche se in quegli stessi giorni si vive la paura di essere nati ebrei, la paura di un futuro che sembra troppo vicino; la paura di una guerra. Leo, a sessant’anni, non immagina che ancora la sua esistenza possa colorarsi di entusiasmo, di sorrisi, di rinascita, proprio nel momento in cui sente l’ombra della morte distendersi sul mondo e camminargli dietro, pronta ad accelerare il passo per avvinarsi. Accostarglisi. Portarlo via. Proprio nel momento in cui spera che la sua esistenza finisca in un attimo, senza penose dilazioni.
È il dicembre del 1933, quando riceve la lettera di un suo vecchio e carissimo amico. La figlia di lui, Irene, deve trasferirsi a Norimberga per seguire un corso di fotografia. Kurt chiede a Leo di aiutare la ragazza, poco più che ventenne, a trovare un alloggio e a darle una mano, un’occhiata.
L’uomo è ben lieto di aiutare il suo vecchio amico e affitta alla giovane ariana (dettaglio necessario da evidenziare in questa circostanza) uno dei suoi appartamenti, situato nel suo stesso palazzo. La gratitudine della ragazza, l’amicizia datata e immutata nell’affetto e nella stima si trasforma in un legame che l’autore racconta quasi sussurandolo, perché non venga contaminato dalle parole. Lo dipinge a pennellate sfumate, senza definirlo, lasciando intendere ciò che poteva essere e che forse non è mai stato. Solo chi coltiva in seno il fiore della maldicenza e dell’odio vede storture, oscurità, scova maligno anche laddove c’è solo luce. E tutto si contorce e si deforma.
I sentimenti di stima, di rispetto rivolti alla persona di Leo dai suoi dipendenti, collaboratori e amici si trasformano in sguardi bassi e biechi. La gratitudine, i sorrisi verso un uomo che era stato sempre attento alle esigenze del prossimo, si trasformano in labbra serrate che tacciono, ma che continuano a inventare parole. A dipingere ostilità, diffidenza verso un uomo, verso la sua persona integra, verso la sua integra vita. Ostilità e diffidenza verso quello che d’un tratto scoprono essere ebreo. E Leo è costretto a rinunciare a tutto: alla sua attività, alla sua casa, alle sue sigarette. Persino a se stesso. Labbre serrate che raccontano una verità provata da chi forse ha sentito, da chi forse ha visto; che raccontano una realtà falsa, deformata da un pensiero impregnato di un astio e un livore ingiustificati.
Il silenzio di un sentimento speciale, fatto di amicizia, stima, affetto, forse anche desiderio arriva, così, a fare rumore. Il silenzio dei gesti di una giovane donna, bella e ariana, che si scopre innamorata di un uomo più grande di lei, che si scopre innamorata di un ebreo diventa reato. Il silenzio dell’animo di un uomo che sente di nuovo il suono del suo cuore, fino ad allora fermo, quasi arrestato nella gabbia toracica di una vita di obblighi e restrizioni diventa quello di un colpevole, di uno che contamina il sangue tedesco. Leo regala a Irene dei fiori ogni tanto, delle sigarette, la domenica pranzano insieme, si scambiano opinioni, guardano alla realtà che li circonda e cercano di comprendere quello che accade e quello che potrebbe accadere. Leo conosce il confine della sua età e dell’appartenenza alla sua razza e teme. Non per se stesso, ma per quella ragazza che lo ha riportato a vivere, a sorridere. Sa cosa potrebbe succedere a lui, innamorandosi di una donna tedesca ed è pronto ad affrontarlo, ma non ha la forza di accettare quello potrebbe vivere la figlia dell’amico Kurt; non può nemmeno immaginare quali sofferenze debba sopportare Irene, giovane donna ariana contaminata da un vecchio ebreo. Non può permettere che accada.
Giovanni Grasso con la puntualità della penna che lo ha reso giornalista descrive la rapida ed efficace propaganda del pensiero nazista, il suo attecchire nel cuore e nella mente di ogni singolo e di un’intera società. Descrive la crescita del nazismo e dei suoi princìpi attraverso il racconto tenero e delicato di una storia d’amore proibita, coraggiosa, che cresce con la pazienza e la lentezza delle cose destinate a restare vere. E il lettore, mentre partecipa intensamente alla vicenda dei due protagonisti e si vergogna ancora di quella pagina di storia così buia e ignobile, deve fare uno sforzo enorme per dimenticare che quella di Leo e Irene è una pagina di vita vera, per non lasciarsi sconvolgere ancora di più da ciò che la bassezza dell’uomo riesce a partorire. E il lettore, immerso nella lettura, pagina dopo pagina, si scopre a riflettere non solo su quell’orribile passato, ma a guardare anche al suo oggi così difficile, a causa dell’odio e delle discriminazioni che continuano ancora a fiorire e ad attecchire nei cuori, nelle menti e nella società.
Un estratto
Quante volte, negli anni precedenti, erano circolati sussurri, dicerie, pettegolezzi sul rapporto fra il vecchio ebreo e la giovane tedesca? Ma a quei tempi, la gente per bene, che conosceva da anni Kaufmann e il suo stile di vita, respingeva decisamente queste volgari insinuazioni, facendone tutt’al più oggetto d risatine imbarazzate nei salotti o nei cortili.
Adesso la situazione era completamente mutata. L’incredulità, il dubbio, la compiacenza originari si erano trasformati in evidenza, scandalo, indignazione. L’affetto del vecchio verso la giovane Irene non faceva più tenerezza, non suscitava più sorrisi complici o battutine maliziose. Era una vergogna, un atto contro natura e, peggio, contro la legge.
Il virus della maldicenza, rimasto latente per anni esplose e si diffuse, come in un’epidemia, contagiando scale, cortili, botteghe, vicoli e palazzi. C’era chi raccontava, per sentito dire o per testimonianza diretta, di lussuosi regali, di cene intime, di cesti di fiori. Chi sosteneva di aver visto i due scambiarsi inequivocabili sguardi d’intesa, tenerezze, effusioni; chi rivelava confidenze e sospetti altrui, facendoli propri. E c’era persino qualcuno pronto a giurare di aver addirittura visto i due accoppiarsi nel parco, dietro un cespuglio.
Da quando Leo non era più al timone della rinomata ditta commerciale Kaufmann & Kaufmann, la gente cominciò a non salutarlo più, a marchiarlo come peccatore e a farne oggetto di pubblico biasimo. Kaufmann girovagava a piedi per il quartiere, stanco e avvilito. Aveva perduto soldi, prestigio e influenza. Era come se tutti si fossero resi conto all’improvviso e con grande sorpresa di un dato incontrovertibile ma inspiegabilmente dimenticato: che Kaufmann, cioè, fosse ebreo.
Curiosità
Icaro, il volo su Roma edito da Rizzoli, settembre 2021, è il secondo romanzo in cui Giovanni Grasso mescola storia e invenzione e ci racconta la vita dell’eroe antifascista Lauro De Bonis.
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