Antologia di Spoon River - Edgar Lee MastersAlla scoperta di…

Antologia di Spoon River

di Nü delle Storie

Mea culpa: ammetto che la mia conoscenza del capolavoro di Edgar Lee Masters è avvenuta, ormai anni or sono, per via indiretta, attraverso il concept album di Fabrizio De André “Non al denaro, non all’amore né al cielo”, pubblicato nel lontano 1971. Su Edgar Lee Masters, sulla sua opera, sulle vicende che videro protagonisti Cesare Pavese e Fernanda Pivano, il prestigioso liceo che ho frequentato ha sempre colpevolmente taciuto. Ed è appunto su un duplice piano che la storia del capolavoro di Edgar Lee Masters merita di essere raccontata: da un lato la vicenda che ha portato alla fortunosa pubblicazione dell’opera in Italia grazie a Pavese ed alla Pivano, dall’altro l’uscita del libro in America nel 1915 e le vicissitudini che ne conseguirono per l’autore.

L’opera

Per chi non conoscesse l’opera (e di fatto è proprio per loro che è stato pensato questo articolo) chiariamo subito di cosa si tratta. L’Antologia di Spoon River è una raccolta di 244 poesie in verso libero. E, mi direte voi, fin qui nulla di eccezionale. Di eccezionale c’è invece che ogni poesia racconta, in forma di epitaffio, la vita dei residenti della cittadina immaginaria di Spoon River, ormai ospiti del cimitero locale. 47, morto che parla.
Il fatto è che ciascuno può finalmente parlare nella morte, senza paura di non essere compreso, senza più nulla da perdere. E ascoltando la voce degli abitanti del cimitero di Spoon River possiamo ricostruire un affresco di una tipica cittadina americana degli inizi del Novecento, al netto del puritanesimo e delle ipocrisie. Le storie si accavallano e in qualche modo quello che emerge è la parzialità dei punti di vista. Ognuno racconta la propria storia e le storie si intrecciano tra loro frantumandosi in molteplici versioni: quello che è liberatorio è che, finalmente, ogni ospite del cimitero di Spoon River  può dire ciò che vuole, infischiandosene della morale comune e delle regole sociali. Ma, liberi di parlare, tutti sono al contempo prigionieri della morte, prigionieri della collina su cui si erge il cimitero di Spoon River.

La scoperta di un mito

Grazie all’epistolario di Cesare Pavese possiamo ricostruire come egli sia venuto in possesso dell’Antologia; in una lettera all’amico Antonio Chiuminatto, un italo-americano che abitava negli Stati Uniti, Pavese chiede che gli venga reperita, se possibile, un’edizione economica di Spoon River Anthology di Lee Masters. È una lettera del 1930. La pubblicazione in Italia avverrà solo nel 1943.
Pavese, ricevuto il libro, lo legge e se ne innamora al punto di parlarne in altre due lettere e di pubblicarne un saggio, l’anno seguente, sulla rivista diretta da Arrigo Cajumi “La Cultura”.

Fernanda Pivano e la traduzione

Dall’entusiasmo di Pavese per l’Antologia alla sua pubblicazione, in traduzione, con l’editore Einaudi, il passo è stato tutt’altro che breve.
Fernanda Pivano, in una serie di articoli usciti del “Corriere d’Informazione”, raccolti poi in America Rossa e Nera nel 1964, ci racconta che fu Pavese a portarle l’opera di Edgar Lee Masters dopo che ella aveva chiesto al suo mentore la differenza tra letteratura americana e letteratura inglese. L’allora giovanissima Pivano rimane profondamente colpita dai versi dell’autore americano: «[…] la rivolta al conformismo, la brutale franchezza, la disperazione, la denuncia della falsa morale, l’ironia antimilitarista, anticapitalista, antibigottista: la necessità e l’impossibilità di comunicazione. In questi personaggi che non erano riusciti a farsi “capire” e non avevano “capito”, dal loro dramma di poveri esseri umani travolti da un destino incontrollabile, scaturiva un fascino sempre più sottile a misura che imparavo a riconoscerli; e per riconoscerli meglio presi a tradurli, quasi per imprimermeli in mente. […]»
Fernanda non dice nulla a
Pavese di queste traduzioni, soprattutto per una questione di pudore. Un giorno di alcuni anni dopo, tuttavia, Cesare Pavese scopre le traduzioni in un cassetto e si porta via il manoscritto.

La pubblicazione in Italia

Degli espedienti che Pavese utilizza per superare la censura del periodo bellico e riuscire a pubblicare con Einaudi è sempre la Pivano che ci narra alcune curiosità: per ottenere il permesso alla stampa viene richiesta l’autorizzazione alla pubblicazione per tale Antologia di S. River, un santo, si sa, fa miracoli. È con questo accorgimento che il libro esce, con il permesso del ministero della cultura popolare, solo pochi giorni prima che la casa editrice venga confiscata. Nonostante Pavese sia già ricercato non esita a raggiungere la Pivano a Torino, in un bar davanti alla stazione, per consegnarle personalmente una copia dell’opera (in realtà solo una selezione della vera antologia). Pochi giorni dopo l’Antologia appena edita viene sequestrata dalle autorità a causa della presunta immoralità della copertina, copertina che viene ben presto sostituita facendo in modo che l’opera possa iniziare a circolare ampiamente.

L’Antologia e il suo autore, in America

L’Antologia di Spoon River vede la luce nella sua prima edizione nel 1915 ottenendo, ai tempi, un incredibile successo per un libro di poesia (il primo entusiasta sostenitore fu Ezra Pound). Edgar Lee Masters, che svolge con profitto ma con scarso ardore la professione di avvocato, coglie la palla al balzo per abbandonare l’avvocatura e dedicarsi a tempo pieno alla scrittura, sua autentica passione. Gli studi per diventare avvocato erano stati infatti il frutto delle aspirazioni paterne piuttosto che una decisione autonoma del nostro. Le aspirazioni di Lee Masters vengono tuttavia castrate da un pubblico che non accoglie con lo stesso fervore le sue successive pubblicazioni. È costretto a vivere di conferenze e muore, neanche a dirlo, poverissimo.
La pubblicazione del libro, a voler essere onesti, viene accolta in modo contrastante: se infatti molte persone gridano al genio, sono parecchie quelle che si sentono tirate in causa e svergognate dagli episodi raccontati da Lee Masters, il quale, di fatto, aveva preso spunto per le sue poesie da fatti realmente accaduti.

Spoon River: Petersburg o Lewistown?

Leggendo l’Antologia è quasi impossibile non domandarsi se Spoon River esista, sia esistita o comunque, sia frutto dell’ispirazione data da luoghi reali.
All’inizio degli anni Sessanta, a quasi cinquant’anni dalla prima edizione del libro di Lee Masters, Fernanda Pivano si reca nei luoghi in cui l’autore è nato e cresciuto, cercando indizi e mettendoli a sistema con quanto dichiarato in vita dall’autore stesso. Quello che la Pivano ne desume è che dietro al nome Spoon River esistano due cittadine dell’Illinois a cui Lee Masters si è ispirato: Petersburg, dove egli ha trascorso l’infanzia,  e Lewistown, in cui ha vissuto da adolescente.
Giunta a Petersburg partendo da Springfield, la Pivano si trova di fronte ad un paesino di non più di 3000 abitanti, attraversato dal fiume Sangamon, in cui l’onta delle rivelazioni di Lee Masters ancora brucia. La giornalista riesce a a farsi mostrare, malvolentieri, la casetta in cui l’autore è vissuto da bambino, e scopre che buona parte delle persone di cui parlano gli epitaffi è sepolta nel cimitero locale, dal nome Oakland o Oak Hills. Tuttavia, giunta a Lewistown, ritiene che le atmosfere del cimitero locale e la collina su cui questo sorge siano la vera fonte di ispirazione di quello descritto nell’Antologia di Spoon River. Di fatto, sia la comunità di Petersburg che quella di Lewistown, bandirono l’autore dell’Antologia dai propri territori.

Un epitaffio

Il nostro viaggio non può concludersi senza riportare una delle poesie che compongono l’Antologia, in particolare la prima che legge Fernanda Pivano, aprendo a caso il libro, e che la colpisce a tal punto da indurla alla traduzione del libro.
Chi parla, dalla sua tomba, è Francis Turner.

Io non potevo correre né giocare
quand’ero ragazzo.
Quando fui uomo, potei solo sorseggiare alla coppa,
non bere –
perché la scarlattina mi aveva lasciato il cuore malato.
Eppure giaccio qui
blandito da un segreto che solo Mary conosce:
c’è un giardino di acacie,
di catalpe e di pergole addolcite da viti –
là, in quel pomeriggio di giugno
al fianco di Mary –
mentre la baciavo con l’anima sulle labbra,
l’anima d’improvviso mi fuggì.