di Eva Luna Mascolino
Nel romanzo che Lev Nikolàevič Tolstòj pubblicò nel 1877 una sola frase apre il primo capitolo con la prepotenza e la delicatezza di una massima esistenziale, seguita a stretto giro da un capoverso che ha tutta l’aria di promettere un’evoluzione travolgente degli eventi: «Vse sčastlivye sem’i pochoži drug na druga, každaja nesčastlivaja sem’ja nesčastliva po-svoemu». Cioè, secondo la traduzione italiana del 1960 curata da Ossip Felyne per Mondadori: «Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo».
La frase in lingua originale si basa sull’alternanza tra sčastlivye (felici) e nesčastlivaja/nesčastliva (infelice), sulla ripetizione di sem’i-sem’ja (famiglie–famiglia) e sull’opposizione tra vse (tutte) e každaja (ciascuna). «Le famiglie felici si rassomiglian tutte», dunque, come appare nell’edizione Sonzogno tradotta da Enrico Mercatali nel 1957, o ancora «Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro» (Leone Ginzburg per Einaudi, 1961). Cambia lo stile, però il significato è analogo: «Tutte le famiglie felici sono simili tra loro» (Pietro Zveteremich per Garzanti, 1965), ma anche «Tutte le famiglie felici sono simili le une alle altre» (Maria Bianca Luporini per Sansoni, 1967), ovvero «Le famiglie felici si somigliano tutte» (Claudia Zonghetti per Einaudi, 2016). E quelle infelici?
A loro Ossip Felyne, come vedevamo poco sopra, ha assegnato la condanna della disgrazia, mentre per Ginzburg «ogni famiglia infelice è infelice a suo modo» e per la Luporini «ogni famiglia infelice è infelice a modo suo». Queste due varianti sono più vicine al ritmo e al lessico del testo di partenza, dal momento che proprio sulla ripetizione già menzionata di infelice-infelici punta l’autore. D’altronde, scrive Paolo Nori, «se Tolstoj, dopo dodici successive stesure, ha deciso di usare più volte, nella prima pagina del suo romanzo (e anche nelle pagine successive), la figura retorica e fonica della ripetizione», è da presumere che l’intento fosse voluto.
La questione è importante a maggior ragione perché il cosiddetto “principio” di Anna Karenina, ben diverso dal concetto di inizio di cui abbiamo parlato finora, è stato elaborato nel saggio Armi, acciaio e malattie del 1997 dal naturalista americano Jared Diamond, e definito come il test di verifica di ipotesi secondo il quale esiste davvero un solo modo per essere felici (o per ottenere successo, se applichiamo il discorso a un sistema capitalistico), mentre le ragioni che determinano un fallimento non possono essere definite da una combinazione fissa e replicabile di fattori predeterminati. In altre parole, per l’appunto, «ogni famiglia infelice è infelice a modo suo» (Zveteremich), mentre alcune traduzioni presentano tra loro delle differenze sostanziali. Con Mercatali, per esempio, leggiamo «Ogni famiglia infelice, invece, lo è a modo suo» e con la Zonghetti «le famiglie infelici lo sono ognuna a modo suo», in cui l’aggettivo è mantenuto solo nella prima delle due occorrenze.
Per capire i motivi di un’apparente “taglio” dal russo in due casi (Mercatali e Zonghetti) e di una variazione sinonimica all’apparenza evitabile, se non fuori luogo (Felyne), ci affidiamo però all’osservazione formulata dalla stessa Zonghetti durante un’intervista rilasciata a Federica Manzon per Il Piccolo: «Quella ripetizione “ogni famiglia infelice è infelice a modo suo” nell’originale non è una ripetizione. Il russo può dirlo solo in quel modo, con la ripetizione dell’aggettivo, non avendo la forma pronominale. Il secondo “infelici” che io ometto è poi nella forma breve, non è nemmeno una ripetizione cadenzata. […] Mi ha colpito che l’unico traduttore madrelingua russo, Ossip Felyne, usi un sinonimo “ogni famiglia infelice è disgraziata a modo suo”, senza il bisogno di tradurre una ripetizione che evidentemente all’orecchio russo non c’è».
Una simile considerazione rivela, allora, la crucialità di ben due elementi. Il primo: non necessariamente il parallelismo colto dagli occhi di un parlante non nativo coincide con le intenzioni di chi maneggia una determinata lingua fin dalla nascita, anzi. Il secondo: le modalità grazie a cui si può restare vicini alla cadenza, allo stile e agli espedienti retorici di un testo dovrebbero tenere conto dell’equilibrio armonico tra la forza evocativa della frase di partenza e la flessibilità creativa di quella di arrivo, senza preconcetti e con una profonda conoscenza dei due sistemi linguistici con i quali si ha a che fare. Ne consegue che tutte le traduzioni italiane degli incipit di Anna Karenina si assomigliano, ma che poi ogni traduzione sia fedele all’originale secondo un concetto di fedeltà tutto suo, con buona pace di qualunque visione monistica di questo mestiere.