Maddalena Fingerle: res familiares
Intervista di Graziano Gala
Di Maddalena ho, nitido, questo ricordo: tutte le volte in cui capitava di incrociare un suo racconto su rivista, che questo trattasse di acque parlanti, galline troppo affezionate al padrone o di cuori galleggianti si percepiva deciso il marchio di fabbrica. È bello sapere che adesso quel timbro si sia dilatato per qualcosa di ancora più ampio e compiuto che ha come titolo Lingua madre, opera vincitrice del Calvino 2020.
Maddalena, il titolo, Lingua madre: viene subito alla mente Elias Canetti con la sua lingua salvata, la ricerca del parlare, i natali del proprio lessico…
Die gerettete Zunge, che capolavoro! Che poi in tedesco Zunge è proprio la lingua nel senso fisico. Quella scena del pianerottolo non è stupenda? Di quel libro mi aveva affascinato tantissimo l’apprendimento imposto del tedesco, l’avevo letto da piccola, dovrei assolutamente rileggerlo, grazie! La ricerca delle parole è davvero centrale in Lingua madre perché il protagonista, ossessionato dalle parole che si sporcano, basa tutta la sua esistenza sulla ricerca di un linguaggio sincero. Con parole sporche – anagramma del nome del protagonista, Paolo Prescher, non si intendono le parolacce, ma parole impregnate di vissuto, esperienze e associazioni mentali che non riescono a cogliere l’essenza delle cose.
Ci racconti qualcosa su genesi e contenuti dell’opera?
All’inizio avevo solo i nomi dei protagonisti, quindi gli anagrammi, qualche immagine di Lucian Freud, di cui avevo visto un’inquietantissima mostra a Londra quando avevo forse sei anni e mia madre mi trascinò per quelle sale piene di quadri di corpi esibiti che mi angosciarono tantissimo, e l’idea che le parole si possono sporcare, anche in senso fisico. Poi sulla base di questi pochi elementi ho cercato una voce che mi convincesse e solo dopo ho costruito la storia. I due nodi tematici del testo sono il bilinguismo e il costrutto sociale di Bolzano e dell’Alto Adige da una parte e la ricerca del linguaggio e l’ossessione delle parole, dall’altra. Il collegamento tra questi è la vicenda personale del protagonista e il suo fastidio nei confronti dell’ipocrisia.
Che tempi ha richiesto la scrittura?
È difficile da stabilire perché ho utilizzato una prova che avevo fatto di un romanzo che però non stava tanto in piedi e che ho usato come serbatoio per questo. Senza contare le letture e il lavoro su altri testi che in qualche modo hanno portato a questo direi qualche mese.
Cosa auguri al testo dopo questo prestigioso premio?
Mi piacerebbe una bella pubblicazione, ovviamente. Il mio sogno sarebbe leggermi in tedesco però, devo dire.
Ci sono figure, nell’opera, alle quali ti sei affezionata?
Oddio, no. Delle cose che scrivo non mi affeziono mai, men che meno dei personaggi. Altrimenti se poi bisogna cambiare qualcosa come si fa? No no, mi affeziono forse alle cose degli altri, ai personaggi degli altri, di certo non ai miei.
Il percorso della narrativa breve è stato utile o parallelo a questo di scrittura, per così dire, lunga?
Mi viene da ridere perché mi vergogno ancora a chiamarlo romanzo, l’ho chiamato testo lungo per tanto tempo, ora provo a dire: manoscritto. I racconti non li vedo assolutamente come qualcosa di preparatorio a un romanzo, sarebbe riduttivo e forse anche offensivo nei confronti di una forma che mi affascina molto. Mi sono divertita a scrivere racconti, così come mi sono divertita a scrivere il tes… il romanzo. Certamente è stato utile scrivere racconti perché ho potuto giocare – con le parole, ma non solo – in maniera molto libera, mettendomi alla prova e soprattutto in difficoltà, ma non l’ho fatto perché utile.
Quali sono le letture predilette di Maddalena Fingerle?
L’Adone di Giovan Battista Marino! Vado in ordine sparso, eh. Poi anche la Gerusalemme di Torquato Tasso. Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, Il tempo materiale di Giorgio Vasta, Cartongesso di Francesco Maino, le Parole in gioco di Stefano Bartezzaghi, Verde acqua e la Radura di Marisa Madieri, I giochi e gli uomini di Roger Caillois, i racconti di Paolo Bozzi, Johnny und Jean di Teresa Präauer, Il nipote di Wittgenstein di Thomas Bernhard, Thomas Mann, Der Zauberberg, Le relazioni pericolose di Pierre-Ambroise-François Choderlos de Laclos, Stadelmann di Claudio Magris. Ce ne sarebbero così tanti!